lunedì 26 gennaio 2015

Stupi-diario Greco

Peana
(di Felice Celato)
Mai – credo – così tanta attenzione è stata dedicata in Italia ed in Europa ad una tornata elettorale in Grecia come è accaduto in questi giorni. Per molti aspetti la cosa è comprensibile: in fondo la Grecia è il paese più segnato dalla cosiddetta austerità (pur avendo un carico fiscale largamente inferiore alla media europea!), mai un’altra nazione Europea è stata così vicina alla rottura della unione monetaria, mai – forse – un altro Paese dell’Unione è stato così percosso dalla crisi economica che tuttora perdura (non ostanti i  consistenti segni di ripresa, superiori a quelli che si sono manifestati da noi), mai i fermenti che si sono agitati durante la campagna elettorale greca hanno avuto una risonanza così minacciosa per l’Europa Unita, etc.. Però rimango sorpreso (stupito, per restare nel nostro stupi-diario) dalla eterogeneità dei plausi che accompagnano la vittoria di Syriza: si felicita Vendola e salmodia la sinistra del PD, ma godono – pare – Salvini in Italia e Marine Le Pen in Francia, del resto in linea con l’insolita alleanza che si prospetta in Grecia fra la sinistra di Tsipras e la destra di Anel. Dunque, qualcosa non torna nell’interpretazione dell’accaduto: non sarà che ancora nessuno ha ben capito cosa succederà in Grecia e, soprattutto, fra la Grecia e l’Europa?
Non mi meraviglierebbe e non sarebbe strano, visto che anche le dichiarazioni di Tsipras, al netto della retorica elettorale, non sembrano fra loro inequivoche: “Negozieremo la soluzione finanziaria giusta con l’Europa [bene, forse] ma non rispetteremo gli accordi del passato [male]” dice Tsipras. Che vuol dire? Che disconosceranno in parte o in tutto il loro debito pubblico? [ E noi, loro creditori, ne dovremmo essere contenti?] O che, più semplicemente, chiederanno all’Europa di riscadenzare il loro debito, come si suppone a Bruxelles? [E noi pensiamo che fare altrettanto potrebbe tornarci utile? Ma da noi il problema non è di scadenza del debito ma della sua consistenza e della sua incidenza economica sui nostri conti pubblici! E poi gran parte del nostro debito è in mano degli Italiani stessi che, secondo gli “ingenui”, dovrebbero godere di una proroga gratuita delle scadenze]. O, forse, i nuovi governanti Greci vorranno portare l'Euro al punto di rottura? [ E noi siamo tanto pazzi da immaginare che sia  bene pensarci anche noi?]
I prossimi giorni, forse, chiariranno il margine di manovra che la Grecia crede di avere e quelli che in realtà avrà. Non c’è fretta di fare peana. Aspettiamo e vedremo. Penso solo che alcuni dei nostri festeggiatori per l’altrui successo resteranno delusi. Ma vedremo.

Roma 26 gennaio 2015

sabato 24 gennaio 2015

70 anni dopo

27 gennaio 1945
(di Felice Celato)
Nell’imminenza del Giorno della Memoria, prima che risuonino alte e in coro le ipocrisie di ogni giorno (qualcuno ha scritto: quanti sarebbero scesi in piazza a Parigi se fossero morti solo gli ebrei del negozio kosher?), come personale omaggio alla straordinaria cultura e alla vicenda tragica del popolo ebraico, vorrei ricordare questa macchia della storia dell’umanità (e fors’anche della cristianità) con alcune parole sparse, tratte tutte da quel meraviglioso racconto di sole 20 pagine che è il grido di Yossl Rakover, dal ghetto di Varsavia il 28 aprile del ‘43 (Zvi Kolitz: Yossl Rakover si rivolge a Dio, Adelphi, 97, già citato su questo blog nel febbraio 2013):
Noi torturati, disonorati, soffocati, noi sepolti vivi e bruciati vivi, noi oltraggiati, scherniti, derisi, noi massacrati a milioni, abbiamo il diritto di sapere: dove si trovano i confini della Tua pazienza?....Che cosa ancora, sì, che cosa ancora deve accadere perché Tu mostri nuovamente il Tuo volto al mondo?
Quanto a me, Ti dico queste parole perché io credo in Te, perché credo in Te più che mai, perché ora so che sei il mio Dio, poiché di certo non sei, no, non puoi essere il Dio di quanti, con le loro azioni, hanno dato la  prova più atroce di empietà in armi. Se non sei il mio Dio, di chi sei allora il Dio? Il Dio degli assassini?.....
Tra un’ora al massimo sarò con la mia famiglia, e con milioni di altri uccisi del mio popolo, in quel mondo migliore in cui non vi sono più dubbi e Dio è l’unico pietoso sovrano…..
E più oltre:
Il mio rebbe soleva raccontarmi la storia di un ebreo che era sfuggito con la moglie e il figlio all’Inquisizione spagnola, e con una piccola barca, sul mare in tempesta, aveva raggiunto un’isoletta rocciosa. Cadde un fulmine e uccise sua moglie. Venne una tempesta e gettò suo figlio in mare. Solo e derelitto, nudo e scalzo, stremato dalle tempeste e atterrito dai tuoni e dai fulmini, con i capelli arruffati e le mani tese a Dio, l’ebreo proseguì il suo cammino sull’isola rocciosa e deserta, e si rivolse al suo Creatore con queste parole:
«Dio d’Israele, sono fuggito qui per poterTi servire indisturbato, per obbedire ai Tuoi comandamenti e santificare il Tuo nome. Tu però fai di tutto perché io non creda in Te. Ma se con queste prove pensi di riuscire ad allontanarmi dalla giusta via, Ti avverto, Dio mio e Dio dei miei padri, che non Ti servirà a nulla. Mi puoi offendere, mi puoi colpire, mi puoi togliere ciò che di più prezioso e caro posseggo al mondo, mi puoi torturare a morte, io crederò sempre in Te. Sempre Ti amerò, sempre, sfidando la Tua stessa volontà! ». 
E queste sono anche le mie ultime parole per Te, mio Dio colmo d’ira: Non Ti servirà a nulla! Hai fatto di tutto perché non avessi più fiducia in Te, perché non credessi più in Te, io invece muoio così come sono vissuto, pervaso di un’incrollabile fede in Te. Sia lodato in eterno il Dio dei morti, il Dio della vendetta, della verità e della giustizia, che presto mostrerà di nuovo il suo volto al mondo, e ne scuoterà le fondamenta con la sua voce onnipotente.

A  70 anni dalla liberazione del campo di Auschwitz (27 gennaio 1945) mi piace pensare con reverenza alle preghiere dei tanti che vi hanno trovato la morte.

Roma, 24 gennaio 2015

lunedì 19 gennaio 2015

Fra il che cosa ed il chi

Che cosa cercate?
(di Felice Celato)
Che cosa cercate?” è la prima frase che dice Gesù nel Vangelo di Giovanni (1,38) ai discepoli di Giovanni Battista (l’ha fatto notare domenica scorsa, alle 10 alla chiesa del Gesù, il p. De Bertolis, in una straordinaria omelia, che, come al solito, non tenterò nemmeno di riassumere ma che, come al solito, mi fa pensare per buona parte della settimana); e la prima frase che il Cristo risorto pronuncia, sempre nel Vangelo di Giovanni (Gv. 20,15, ed è sempre il buon padre De Bertolis che l’ha fatto notare), è “Chi cerchi?” , rivolto alla Maddalena, di fronte alla pietra sepolcrale rovesciata. In mezzo, “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv, 14,6), c’è la chiave che “spiega” il passaggio dal che cosa al chi, perché in fondo in quelle tre parole c’è tutto il che cosa.
Ci ri-pensavo, oggi, a quelle domande, leggendo la mail di un amico che, settimana dopo settimana, cerca con tenacia di mantenere vivo il dialogo sul presente, sempre fra un ristretto gruppo di amici, che ha chiamato, appunto, “Amici per la città”; un dialogo sempre più difficile, in mezzo al “rumore di fondo” che caratterizza il mondo di oggi disperdendone l’attenzione, anche quando alcune delle notizie che ci bombardano sarebbero tali da meritare la nostra attenta valutazione, come è avvenuto a Parigi o come accade in Nigeria, prima di essere travolte dalle news di un’altra ora.
Che cosa cerchiamo, in mezzo al rumore di fondo? Forse, se c’è, una piccola porzione stabile di ciò che ci viene propinato con ritmo fugace e con intento non sempre lodevole, la via per raddrizzare le cose, la verità che ci sfugge, la vita che ci incalza: ma non c’è mai, forse non c’è mai nell’oggi. Forse, chissà, nell’edizione del giornale di domani….
Simei, il sulfureo “direttore” di Domani, l’alienato giornale che i protagonisti di Numero zero, l’ultimo romanzo di Umberto Eco, cercano scetticamente di mettere insieme, arringa così i suoi redattori: “Non sono le notizie che fanno il giornale, ma il giornale che fa le notizie…badate che fare notizie è una bella espressione, la notizia la facciamo noi….addestratevi a far sorgere la notizia la dove non c’era o dove non si sapeva vederla, coraggio!
Ecco, sfogliando il giornale, l’unica cosa che si coglie è, nel migliore dei casi, la provvisorietà del presente, almeno quando questo viene descritto per come è.
Del resto, che diceva sant’Agostino (che abbiamo ricordato qualche giorno fa)? “E quanto al presente, se fosse sempre presente, senza tradursi in passato, non sarebbe più tempo, ma eternità. Se dunque il presente, per essere tempo, deve tradursi in passato, come possiamo dire anche di esso che esiste, se la ragione per cui esiste è che non esisterà?”
Forse, se avessimo sempre presente questa dimensione del presente, nulla ci turberebbe, per quanto confuso e turbato ci appaia, perché, in fondo, fra il che cosa ed il chi abbiamo dentro di noi la risposta che ci basta.
Buona settimana e buona riflessione a tutti.
Roma, 19 gennaio 2015


giovedì 15 gennaio 2015

Segnalazione

Il capitale nel XXI secolo
(di Felice Celato)
Sarebbe veramente arduo sperare che qualcuno dia seguito ai miei consigli se, come sto per fare, raccomando la lettura del libro che mi ha occupato negli ultimi quindici giorni, tenuto conto che si tratta di un libro di quasi 1000 pagine e, per di più, non di romanzo ma di un libro di economia. Eppure lo faccio con convinzione perché Il capitale nel XXI secolo, di Thomas Piketty, è un libro singolare: anzitutto perché è scritto benissimo, con un'esemplare chiarezza che lo rende adatto anche a persone che non abbiano speciali competenze economiche; poi perché è un libro di straordinario interesse, forse essenziale per intuire le possibili tendenze del nostro secolo; infine perché la trattazione ha una speciale caratteristica che ne consente la lettura su due livelli: un primo (che richiede una certa attenzione) riferito alla esposizione della tesi dell'autore; un secondo (che consente una certa agilità di lettura) riferito all'imponente documentazione storica che supporta le tesi dell'autore ( con l'aiuto di semplici ed eloquenti grafici riepilogativi)  e che, una volta compreso il senso delle tesi, può essere scorsa anche senza tentare di....memorizzare il vasto apparato documentale, che copre ( con ricostruzioni ragionate ma, come è ovvio, inevitabilmente stimate) gli ultimi 300 anni di storia economica  del mondo.
Bene: e qual è, in estrema sintesi, la tesi di fondo di Piketty? La tesi è che un tasso di rendimento del capitale costantemente superiore al tasso di crescita delle economie non può che determinare un ulteriore accrescimento delle disuguaglianze all' interno di ciascun paese e anche fra i diversi paesi; e che, poiché questa situazione è, entro certi limiti, destinata a riproporsi anche nel XXI secolo, con tutto il carico di “ingiustizia” sociale che talora si porta con sé, occorre intervenire per riavvicinare i due tassi, magari attraverso una tassa mondiale progressiva e annua sul capitale che serva a comprimere il gap fra il rendimento del capitale e la crescita economica complessiva.
Non è questo il luogo per una discussione sulla tesi, in parte esplicitamente utopica, del giovane economista francese balzato, direbbe il “buon” giornalista, agli onori della cronaca per questo libro citatissimo sui giornali (anche da “buoni” giornalisti che, evidentemente, non l’hanno letto). Perciò la segnalazione che ne faccio vuole avere un altro significato: essa cioè è basata anzitutto sul metodo (l’osservazione delle tendenze di lungo periodo, anche col soccorso di saperi diversi da quello strettamente economico, e la diffidenza per i modelli puramente matematici cui ricorrono spesso gli economisti ) e sulla modalità di trattazione, piana, ragionata e, direi, nel suo complesso anche piacevole da leggere; poi, sull’ampiezza delle ottiche utilizzate per l’analisi delle tendenze di lungo periodo, anche nelle loro fondamentali implicazioni politiche e sociali.
Direi che questo libro, come un po’ l’altro che ho segnalato qualche post fa (La società a costo marginale 0, di Jeremy Rifkin, post del 12 ottobre 2014), contiene un repertorio talmente vasto di acute riflessioni e ragionate previsioni che, come dicevo poco sopra, mi pare utilissimo per intuire le tendenze di fondo del nostro mondo nei prossimi anni.
Si dirà: ma tu hai l’ambizione di verificarle nel tempo, queste tendenze? No, rispondo, non si addice alla mia età. Ma, credo, pienamente si addice, soprattutto a quelli di noi che condividono con me la nascita nella prima metà dell’ultimo secolo del passato millennio, cercare di scrutare con ansia i tempi che aspettano i nostri figli e i nostri nipoti, perché quei tempi affonderanno senz’altro le loro radici nel presente.
Roma 15 gennaio 2015
PS. Non sarei me stesso se rinunciassi a far notare che, in un apposito capitolo sul problema del debito pubblico, Piketty esprime una tesi che da qualche tempo condivido perfettamente (vedansi post: Modesta proposta per l’emergenza del 14 giugno 2011; Il “fai da te” precipitando, del 9 novembre 2011; Esiste un’agenda possibile? del 13 maggio 2013): una tassa straordinaria sul patrimonio finalizzata al ripristino di un accettabile livello di debito pubblico.

giovedì 8 gennaio 2015

Diritto di satira

Ovvietà
(di Felice Celato)

I tragici eventi di Parigi, con tutto il loro carico di insopportabile violenza e di intolleranza, stanno trovando su gran parte della stampa nazionale ed internazionale e anche da parte di autorevoli fonti della cultura e delle istituzioni islamiche, inappuntabili esecrazioni e chiare condanne, centrate, come è ovvio, sul rifiuto della violenza e sulla tutela del diritto di opinione e di espressione.

Non mi sembra il caso di aggiungerne altre perchè esse non appaiono in alcun modo emendabili o mitigabili.

Però, per non perdere l'abitudine a pensare, vorrei tentare alcune considerazioni che nulla hanno a che fare con l'accaduto ma, semmai, con l'esaltazione ( si badi bene: in principio inconfutabile) del diritto di espressione, e, più in particolare, del cosiddetto diritto di satira, che trova largo spazio nei commenti.

Ora, mentre il diritto di opinione non sembra conoscere accettabili limiti ( fatta salva la riprovazione che silenziosamente o espressamente ciascuno può avere per la stupidità di certe opinioni), in realtà, credo, il diritto di espressione postula ovunque diverse limitazioni, in buona parte fissate dalla legge stessa: per esempio, da noi, non si può calunniare (art. 368 del Codice Penale), non si può diffamare (art. 595 CP), non si può vilipendere certe istituzioni (art. 290 CP), non si può bestemmiare (art. 724 CP), non si può fare apologia di reati o di ideologie violente ( art. 272 CP), non si può ingiuriare (art. 594 CP), etc. 
Alcune limitazioni però non sono scritte nella legge e quindi la loro violazione, tutt'al più, può trovare "condanna" in base al buon gusto, al necessario basilare rispetto degli altri, etc.; per dirla all'inglese, queste violazioni non sono direttamente enforceable, ma sono, o almeno così a me appaiono, egualmente ( come cioè la calunnia, la bestemmia, etc) riprovevoli.   

Ebbene, io credo che il cosiddetto diritto di satira (che del diritto di espressione costituisce una specie) debba trovare nel buon gusto, nell'autocontrollo, nel rispetto degli altri e delle altrui culture, dei naturali  criteri di auto-limitazione che non significano, ovviamente, rinunciare al sorriso ironico o anche caustico e sarcastico ma, semmai, rinunciare allo sghignazzo irridente, allo sberleffo carico di disprezzo e programmaticamente  irriverente.

Si tratta, come è ovvio, di criteri di autolimitazione che dovrebbero sorgere spontanei e che ben difficilmente potrebbero patire delle ( del resto estremamente ardue e anche rischiose) limitazioni formali; ma che, appunto, dovrebbero trovare senso nelle regole non scritte di convivenza civile e di rispetto per gli altri e che potrebbero trovare "sanzione" solo nel rifiuto della comunicazione che ad esse non si ispiri. E ciò vale, secondo me, sia per la satira politica, sia, a maggior ragione, per quella religiosa.

Roma 8 gennaio 2015


PS. A conferma, se necessaria, della indipendenza di queste considerazioni dai tragici eventi parigini, che tuttavia ne costituiscono la dolorosa occasione, dichiaro di non aver mai sfogliato il Charlie Hebdo e pertanto di non saper assolutamente dire se la satira ivi espressa in vignette risponda o non risponda ai criteri che mi sembra giusto invocare. 

lunedì 5 gennaio 2015

Il tempo

Divagazioni serie e non
(di Felice Celato)

Scriveva sant’Agostino: Cos’è dunque il tempo? Se nessuno m’interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so. Questo però posso dire con fiducia di sapere: senza nulla che passi, non esisterebbe un tempo passato; senza nulla che venga, non esisterebbe un tempo futuro; senza nulla che esista, non esisterebbe un tempo presente. Due, dunque, di questi tempi, il passato e il futuro, come esistono, dal momento che il primo non è più, il secondo non è ancora? E quanto al presente, se fosse sempre presente, senza tradursi in passato, non sarebbe più tempo, ma eternità. Se dunque il presente, per essere tempo, deve tradursi in passato, come possiamo dire anche di esso che esiste, se la ragione per cui esiste è che non esisterà? Quindi non possiamo parlare con verità di esistenza del tempo, se non in quanto tende a non esistere.
Eppure…almeno nelle giunture, il tempo si sente….anche se tende a non esistere.
Certo, come spiegava Einstein, il tempo ha una sua dimensione relativa: Quando un uomo siede vicino ad una ragazza carina per un’ora, sembra che sia passato un minuto; ma fatelo sedere su una stufa accesa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora.
Eppure…, anche senza essere mai stato seduto su una stufa accesa, il tempo passato mi pare lungo e non credo che sedere vicino ad una ragazza carina mi farebbe sembrare il futuro più breve.
Già, perché, in fondo la scansione del tempo che più ci interessa è quella più sconosciuta, il futuro, anche se viviamo intensamente il presente per ragioni che abbiamo scelto e per ragioni che non abbiamo scelto. Ad essa (la scansione del tempo futuro), ad una certa età, guardiamo  non certo con la “chiave” del krònos greco (il tempo nella sua dimensione quantitativa) ma con quella del greco kairòs (il tempo nella sua dimensione qualitativa, il tempo giusto), così come lo descrive il Qoèlet (Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo…un tempo per nascere e un tempo per morire….un tempo per stracciare e un tempo per cucire….un tempo per tacere ed un tempo per parlare…), un tempo racchiuso fra il lontano già ed il prossimo non ancora di cui ci parlano Giovanni (1 Gv, 3,2) e Paolo (Rm, 5,9).
Un brillante scrittore italiano del secolo scorso (Ennio Flaiano) scherzava dicendo di avere una tale sfiducia nel futuro che ormai faceva solo progetti per il passato. A noi che sentiamo di vivere fra il già e il non ancora, ci spetta invece ancora di guardare al futuro come una serie di kairoi (di tempi giusti) per stracciare quello che va stracciato e per cucire quello che il buon Dio vorrà ancora affidare al nostro ago e alle nostre mani.
Roma, 5 gennaio 2015

PS. Questi pensieri sono dedicati ad un amico che compie gli anni.


giovedì 1 gennaio 2015

2015, rischiose previsioni

2015, fra Peter Pan e Mersault
(di Felice Celato)
Voglio iniziare l’anno avventurandomi in una rischiosa previsione: credo che l’Italia uscirà, nel 2015, da quella che tecnicamente si chiama recessione (cioè la perdurante diminuzione del PIL, Prodotto Interno Lordo; nel 2012 –2,4, nel 2013 –1,9; nel 2014, forse, - 0,5.%), dopo, appunto, 3 anni di forte contrazione del PIL (quasi 5 punti percentuali nel triennio, corrispondenti, più o meno, a un’ottantina di miliardi di € di minor ricchezza prodotta nel 2014, rispetto ai 1640 del 2011).
Mi piacerebbe pensare che all’origine di questa sperata “ripresina” ci possano essere le misure adottate e progettate, con grande strepito di trombe, dal nostro Paese; ma temo di non potermi avventurare anche in questa spericolata previsione (che pure, ovviamente, mi farebbe immenso piacere) perché penso che, se ripresa ci sarà, le ragioni finiranno per essere altre (nella sostanza, intendo, non nelle parole): per nostra fortuna i tassi di interesse eccezionalmente bassi, il petrolio in forte calo e il dollaro più forte verso l’euro, sembrano essere, nel complesso, concomitanti eventi esterni di natura tale da spingere verso una moderata ripresa degli investimenti, da un lato per le contrazioni di costo che determinano (petrolio e interessi), dall’altro per il sostegno che offre il deprezzamento dell’euro agli esportatori. A ciò aggiungasi il “traino” che può determinare sulla nostra economia il previsto tasso di sviluppo di altre circostanti (USA, Eurozona, etc). Se a ciò si aggiungerà anche qualcosa di “fatto” in questi mesi, sarà bene ma – se ben intendo ciò che è stato fatto (il che non è detto) – non credo che peserà più di tanto.
Ma, ancora temo, le buone notizie finiscono qui: intanto perché questi concomitanti eventi esterni sono aleatori per la loro stessa natura; poi perché il contesto internazionale mi pare tanto complesso (questione Greca, Ukraina e crisi Russa, amletismi Europei, etc., per tacere del Medio Oriente) da farmi temere l’improvviso innesco di tensioni politiche e finanziarie difficili da fronteggiare nelle posizioni di debolezza culturale, economica e finanziaria che da tempo ci caratterizzano; infine perché continuo a vederci così rumorosamente confusi e discordi nella individuazione dei nostri mali (e dei conseguenti rimedi) e così incerti nell’imboccare la strada giusta (anche nelle poche cose per le quali la intravvediamo) che temo la consueta oscillazione pendolare fra le sindromi che ci portiamo addosso: da un lato, quella di Peter Pan, l’aeternus puer, il giocherellone che non vuole crescere, che non vuole fare i conti con la realtà, sempre alla caccia di prove della propria eccezionalità (sia l’Italia Germania 4-3 o l’italiana astronauta o la ricercatrice affermata), sempre egocentrico ed ottimista; dall’altra, la  sindrome di Mersault, che non spera più perché addirittura “si è liberato della speranza” per aprirsi “alla dolce indifferenza del mondo”, come dice di se stesso Lo straniero di Camus, e, per sentirsi “meno solo”, si augura solo “che ci siano molti spettatori il giorno della…(sua propria) esecuzione”.
Noi, certamente, non ci sentiamo Mersault ma nemmeno Peter Pan: vorremmo essere solo persone serie che, guardando al prossimo futuro con ragionata speranza e fondati timori, pensano che sia possibile uscirne fuori salvi, ma solo aggrappandosi alla verità e alla fatica, virtù che Peter Pan non ama. Per questo il 2015 ci appare un anno di volatili opportunità e di pesanti rischi. Speriamo bene ( a fine anno tireremo le somme, se ci saremo).

Roma 1° gennaio 2015