venerdì 30 marzo 2018

Auguri di Pasqua

Intratteniamoci col cielo
(di Felice Celato)
Dunque è tempo di farsi gli auguri di Pasqua. Ho pensato di farlo con una esortazione di Pavel Florènskij, da Non dimenticatemi. Lettere dal Gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, citata da papa Benedetto XVI nella festa dell’Ascensione del 2010.

Osservate più spesso le stelle.
Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle o l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno… intrattenetevi col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete.

Quando avremo attraversato la “terra di nessuno” del Sabato Santo, Pasqua di Risurrezione sarà il tempo giusto per alzare gli occhi, per portare tutto il resto sotto la loro linea e per fissarli dove tutto – oltre il poco che vediamo – è Ragione, Amore, Misericordia e Giustizia.
Intratteniamoci col cielo, almeno per un po' nel giorno di Pasqua e poi, regolarmente, in ognuno dei giorni che seguiranno: farà bene, come dice Florènskij, alla nostra anima; ma anche alla nostra mente che vi troverà la vera misura di tutto e la luce che tutto schiarisce.
Buona Pasqua a tutti: a coloro che (senza loro merito) sentono la forza rigenerante della Risurrezione e si riconoscono nei sensi che essa genera; ma anche a coloro che (senza loro demerito) li considerano una favola bella che i vecchi amano raccontarsi sul fare della sera, solo perché si vanno esaurendo le loro energie; anche le favole belle possono far bene se almeno le si sa ascoltare e se si riesce a cogliere – per almeno dubitare che si tratti di favole – il lampo di luce che emana la Risurrezione negli occhi di coloro che le credono vere
Roma, 30 marzo 2018

domenica 25 marzo 2018

Passione e morte

Una signoria paradossale
(di Felice Celato)
In questa Domenica delle Palme il racconto della passione e morte di N.S. Gesù Cristo (quest’anno nella pericope di Marco) si conclude come tutti sappiamo: Egli [Giuseppe D’Arimatea ] comprato un lenzuolo, Lo depose dalla croce, Lo avvolse con il lenzuolo e Lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro. Così mi è tornata alla mente una straordinaria meditazione di Benedetto XVI di fronte alla Sindone, nel duomo di Torino, il 2 maggio del 2010. Ne ripropongo qui alcuni brani che parlano di quel lenzuolo e del mistero del Sabato Santo, che quella pietra sigilla e che più intensamente interroga l’uomo e la sua storia sul nascondimento di Dio, sul silenzio che avvertiamo nelle ore più buie della nostra esistenza e sulla luce che ci è stata data per mezzo di esse.
Nel nostro tempo, specialmente dopo aver attraversato il secolo scorso, l’umanità è diventata particolarmente sensibile al mistero del Sabato Santo. Il nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell’uomo contemporaneo, in maniera esistenziale, quasi inconscia, come un vuoto nel cuore che è andato allargandosi sempre di più….
Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato Santo: l’oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita, in modo particolare interpella noi credenti. Anche noi abbiamo a che fare con questa oscurità. E tuttavia la morte del Figlio di Dio, di Gesù di Nazareth, ha un aspetto opposto, totalmente positivo, fonte di consolazione e di speranza…. Il Sabato Santo è la “terra di nessuno” tra la morte e la risurrezione, ma in questa “terra di nessuno” è entrato Uno, l’Unico, che l’ha attraversata con i segni della sua Passione per l’uomo: “Passio Christi. Passio hominis”….. In quel “tempo-oltre-il-tempo” Gesù Cristo è “disceso agli inferi”. Che cosa significa questa espressione? Vuole dire che Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare nella solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di conforto: “gli inferi”. Gesù Cristo, rimanendo nella morte, ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi ad oltrepassarla con Lui. Tutti abbiamo sentito qualche volta una sensazione spaventosa di abbandono…. e solo la presenza di una persona che ci ama ci può rassicurare. Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato Santo: nel regno della morte è risuonata la voce di Dio. E’ successo l’impensabile: che cioè l’Amore è penetrato “negli inferi”: anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori. L’essere umano vive per il fatto che è amato e può amare; e se anche nello spazio della morte è penetrato l’amore, allora anche là è arrivata la vita. Nell’ora dell’estrema solitudine non saremo mai soli: “Passio Christi. Passio hominis”. Questo è il mistero del Sabato Santo! Proprio di là, dal buio della morte del Figlio di Dio, è spuntata la luce di una speranza nuova: la luce della Risurrezione…. Questo è il potere della Sindone: dal volto di questo “Uomo dei dolori”, che porta su di sé la passione dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre passioni, le nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati - “Passio Christi. Passio hominis” -, da questo volto promana una solenne maestà, una signoria paradossale. Questo volto, queste mani e questi piedi, questo costato, tutto questo corpo parla, è esso stesso una parola che possiamo ascoltare nel silenzio. Come parla la Sindone? Parla con il sangue, e il sangue è la vita! La Sindone è un’icona scritta col sangue; sangue di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso e ferito al costato destro. L’immagine impressa sulla Sindone è quella di un morto, ma il sangue parla della sua vita. Ogni traccia di sangue parla di amore e di vita. Specialmente quella macchia abbondante vicina al costato, fatta di sangue ed acqua usciti copiosamente da una grande ferita procurata da un colpo di lancia romana, quel sangue e quell’acqua parlano di vita. E’ come una sorgente che mormora nel silenzio, e noi possiamo sentirla, possiamo ascoltarla, nel silenzio del Sabato Santo.
Roma,25 marzo 2018 (Domenica delle Palme)
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venerdì 23 marzo 2018

Italica

“Il costo della democrazia”
(di Felice Celato)
Dopo oltre due settimane di vacanza dal vuoto (ma ancora sospese nel vuoto del voto), torno sulle nostre cose, ripartendo dal secondo libro che – come dicevo qualche giorno fa – è saltato fuori dai fondi dalla mia libreria: si tratta, anche stavolta, di un libro di poche pagine (come quello di Rabbi Nachman, sul quale abbiamo aperto una Parentesi due post fa) intitolato L’Italia ha un futuro?, pubblicato nel 2017 da Lit Edizioni ma, mi è parso di capire, scaturito da una conversazione che Ernesto Galli Della Loggia aveva intrattenuto qualche tempo prima con Massimo Arcangeli che ha poi curato la pubblicazione.
L’occasione della rilettura mi è venuta da una considerazione di Galli della Loggia sul “costo della democrazia”, anch’essa ricapitatami per caso sotto gli occhi risfogliando il volumetto e che vi riporto pressoché integralmente: Pensare l’Italia, oggi, equivale a valutare la dimensione di un declino che investe l'intera nazione, la collettività e anche la cultura. Per quanto sgradevole possa essere ammetterlo, siamo di fronte, probabilmente, a un declino storico…. Oggi ci stiamo accorgendo che il nostro vagone [il vagone di coda del treno dello sviluppo, agganciato faticosamente nel dopoguerra] è stato sganciato e si è fermato, mentre il convoglio continua per la sua strada senza di noi. A quest'idea di declino che mi investe quando penso all'Italia, si affianca la percezione di vivere un momento storico in cui bisogna ripensare…. a come abbiamo vissuto e organizzato la democrazia nel nostro Paese, perché anche da questa prospettiva i nodi sono venuti al pettine. A cominciare dal principale, ovvero il costo della democrazia. La democrazia è legata al concetto di consenso, e ogni cinque anni i nostri rappresentanti chiedono agli elettori un consenso politico che ha un determinato costo, essendo spesso ottenuto dietro un "pagamento”, ovvero tramite delle elargizioni. Forse in passato le elargizioni sono però state troppe e troppo generose, ed è perciò che ci ritroviamo con un debito di circa 2.100 miliardi [2300 oggi], in gran parte da attribuirsi al costo del consenso democratico. Questo ci pone di fronte a importanti interrogativi sul futuro del Paese. Sul nostro futuro. 
Come sempre mi accade, le varie letture mi si confrontano in testa con rimandi vicendevoli che mi aiutano a riflettere: così il tema posto da Galli della Loggia, inevitabilmente mi ha rimandato ad un altro testo estremamente interessante, di cui qui non abbiamo mai parlato estesamente perché la sua lettura risale a prima che dessimo inizio a queste conversazioni asincrone: The future of freedom - Illiberal democracy at home and abroad, di Fareed Zakaria, pubblicato negli USA 15 anni fa (2003) e qui citato fugacemente giusto nell’aprile scorso. Si tratta di una vasta esplorazione dei confini – di cui la storia ha dimostrato la mutevolezza – fra la democrazia come governo di un paese (essenzialmente: come modalità di scelta dei governanti) e la natura liberale del governare (dove per natura liberale si intende il riconoscimento fattivo di inalienabili diritti degli esseri umani, la rule of law, la limitazione del potere, l’imparzialità della legge, la separazione fra stati e chiese, etc. etc.). Confini, come dicevo, storicamente mutevoli ma anche pericolosi da frequentare perché – dice Zakaria - una democrazia senza un suo “statuto” liberale (nel senso sopra detto), non è semplicemente inadeguata ma pericolosa, portando con sé l’erosione della libertà, l’abuso del potere, le divisioni etniche e persino la guerra.
Bene. Come si sono incrociati i due testi? E’ una constatazione di Zakaria che mi riporta al costo della democrazia, perché il giornalista americano riflette sulle condizioni che fanno “durare” nel tempo la democrazia liberale e constata il fatto (che potrebbe risultare poco… romantico accettare) che una democrazia conserva nel tempo i suoi caratteri liberali solo se produce crescita (attraverso una ricchezza guadagnata, earned wealth).
A questo punto del ragionamento, è inevitabile tornare su Galli Della Loggia per riflettere su come noi abbiamo conservato una democrazia ancora liberale (non ostanti molte cose): sostituendo, con elargizioni  finanziate con debito dello stato (quindi di tutti), l’autentica crescita economica del paese, che da tempo non riusciamo più a generare, almeno  nella misura postulata dal mondo che corre.
Se le cose stanno così – e temo che così stiano – il nostro non è solo un tempo difficile; è anche un tempo molto pericoloso. Anche sotto questo profilo.
Roma 23 marzo 2018