Italia-Germania
(di
Felice Celato)
I
“miei” lettori sanno bene o almeno hanno intuito le mie vive simpatie per il
“mondo tedesco” (dove la parola “mondo” intende la cultura, la società, la
mentalità, etc.; il tutto riferito alla Germania post-bellica, ovviamente). Una
simpatia del resto nutrita di sempre positive esperienze di quel mondo, anche
nelle molte occasioni di lavoro.
E
quindi non avranno ragione di sorprendersi per la poco patriottica
considerazione che segue, in controtendenza col filone dell’antica, italica,
istintiva antipatia verso il tedesco; quella, per intenderci, che fa sì che la
più grande soddisfazione sportiva del nostro paese sia il mitico
Italia-Germania 4-3 nella semifinale dei Campionati mondiali di calcio del 1970,
non ostanti i tanti innegabili successi calcistici della nostra, sia pur non
recente, tradizione pallonara; o quella che ci fa gongolare quando, nelle
barzellette, assegniamo al tedesco il ruolo di duro di comprendonio che spesso da noi è - ingiustamente
- dei carabinieri o, in Francia - altrettanto ingiustamente - dei belgi; o
quella che, in un estremo tentativo di “obiettività” o per bilanciare qualche complesso, ci fa
dire che se i tedeschi amano gli italiani ma non li apprezzano, noi li
apprezziamo ma non li amiamo.
Vengo
al punto di questa spigolatura: secondo me la differenza - direi: plastica -
fra i nostri mondi sta tutta in questa espressione, nel modo, cioè, con cui
definiamo - in Italia ed in Germania - i naturali esiti politici del
proporzionalismo politico-elettorale (sia pur diversamente bilanciato) caratteristico dei due paesi: in Germania l’accordo fra avversari elettorali
per governare il Paese, specie quando manca una chiara praticabilità
maggioritaria, si chiama grosse
Koalition; da noi si chiama l’inciucio, che, addirittura è diventato
un leitmotiv negativo di tutte le
campagne elettorali.
Pensateci
un attimo: là, di là delle Alpi e sulle rive del Reno, il senso possente (grosse) di una coalizione per fare
fronte alle divisioni (coalescere in latino significa unirsi
strettamente), della supremazia delle esigenze della comunità sugli interessi
di parte, della larga convergenza sui valori essenziali e sulle esigenze del
fare, della ricerca di ciò che unisce, a scapito di ciò che divide nel momento
della contesa politica. Al di qua delle Alpi, da noi, e già sin dalle rive del
Po, per dire la stessa cosa nella medesima situazione, troviamo l’inciucio, un termine che
costituisce forse la massima eredità politica di D’Alema e che,
onomatopoieticamente, allude - beffardo e sprezzante - al pettegolezzo
popolaresco, allo scambio poco onorevole di inconfessabili favori, al pateracchio
maneggione fatto sulla pelle di altri e definito per solo amore del potere.
Si
dirà: ma stai dando importanza ad una questione di lessico mediatico che
proprio non la merita! Non è vero, il linguaggio è lo “specchio della mente”
come lo sarebbero, dell’anima, gli occhi: chi
parla male, pensa male e vive male, diceva un personaggio di un film di
Nanni Moretti che, forse, costituisce, a sua volta, la maggiore eredità culturale
della sinistra Italiana. E poi il linguaggio è anche specchio dei tempi: tanti
anni fa, nella stessa situazione, in un’Italia che non c’è più, né
sociologicamente né antropologicamente, si parlava di compromesso storico!
Roma,
20 marzo 2018 (Giornata Internazionale della Felicità e, per “colpa” della rotazione terrestre, anticipato equinozio di
primavera)
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