Una passione inutile
(di Felice Celato)
Provo a formulare una previsione
sull’esito di queste imminenti elezioni, più che altro per mantenere in
esercizio un certo mio (presunto) pessimismo Italia-centrico, [curiosamente, in
ottica globale, sono un (presunto) ottimista; i lettori più assidui, sanno
tuttavia il limitato credito che faccio alle parole ottimismo/ pessimismo].
Pur amando conoscere sempre “le
dimensioni” dei problemi (ripeto spesso: sempre acqua è, ma un bicchiere
disseta, un’ondata travolge) mi asterrò dal tentare l’esercizio del number
guessing: ce ne sono già tanti di sondaggi, noti e sotterranei, che tentare
la sorte (perché di questo si tratterebbe, nella nebbia che mi avvolge) mi pare
un esercizio futile. Fra l’altro, ormai siamo alla vigilia delle elezioni e fra
pochissimi giorni conosceremo 'sti famosi numeri.
Dirò invece, per sommi capi, come
prevedo l’Italia del 5 marzo: più divisa, egualmente confusa, più pericolosa,
più pericolante.
A prescindere da chi “vincerà”,
l’Italia mi pare soffocata dai suoi problemi di sempre, esaltati da
un contesto internazionale dove l’insicurezza e la domanda di protezione
purchessia sono diventate una cifra diffusa del mondo lato sensu
occidentale, non contrastati (da noi) da adeguati anticorpi.
Mi spiego meglio : (1) i problemi di
sempre sono, alla radice, culturali (il nostro è un paese con basso
livello di istruzione, con un senso dello stato assai carente, con un grado di
auto-coscienza deformato dai complessi di cui soffriamo, con un invincibile amore
per le narrazioni suggestive); nel tronco, sociologici (questa
deficienza culturale si è incistata in un senso della società familistico,
formalistico-legalitario, stato-centrico e, ad un tempo, anti statale); nei
rami, antropologici (gli italiani, invecchiati e rancorosi, senza passione
del futuro, abituati ad un’acritica dieta mediatica, moralisti spesso senza morale, vivono
in una costante deflazione delle aspettative, sfiduciati e sfibrati al punto da
avere incollato il futuro al presente).
(2) Populismo e sovranismo (l’abbiamo detto più volte) non sono fenomeni
puramente Italiani, anche se, da noi, hanno assunto una consistenza rilevante,
esaltati da una classe dirigente debole, senza capacità di indirizzo, e che fa
fatica ad esprimere validi anticorpi al degrado, fors’anche per sfiducia nella
capacità di farsi ascoltare dagli Italiani. (3) La natura ed il grado di
stagionatura dei nostri problemi economico-finanziari (bassa produttività,
debito debordante, apparato burocratico, in senso lato, costoso e oppressivo,
crollo demografico, difficoltà a convivere con l’euro, etc.) non si prestano ai
pannicelli caldi che una coalizione gracile e mal assortita può apprestare,
nella logica della conservazione di un indirizzo governante che si è rivelato
incerto e short-sighted (e che lo
sarà ancora di più se la coalizione che il 4 marzo dovesse imporre sarà basata sull’inconsistenza delle
visioni). D’altra parte, uno stravolgimento dell’indirizzo governante (checché
ne pensino gli autorevoli fautori della clamorosa discontinuità, sia pure
riguardata come benefico momento della verità), per quanto per molte ragioni
auspicabile, sembra porre, fra l'altro, enormi problemi di coesistenza coi nostri
posizionamenti geo-politici, oltreché di compatibilità culturale (e non solo) col resto dei
maggiori paesi europei.
Se questo è il quadro (e, si badi
bene, non tutto è farina oscura del mio oscuro sacco, come può constatare chi
abbia letto anche solo le mie note sui rapporti Censis o anche la mia recente
segnalazione del libro di Carlo Cottarelli sui peccati capitali della nostra
economia) le elezioni che vengono non possono che apparirmi (per fare il verso
a Sartre) “una passione inutile”, un esercizio
democratico a cui ci sottoponiamo con scettica passione, per esorcizzare il vuoto
che ci siamo costruiti d’attorno.
Sì, certo, non ostante tutto ciò,
andrò a votare, come dicevo qualche giorno fa, per non avere rimorsi ma pronto
alle delusioni, col cervello e non con la pancia, aggrappato all’idea di essere
(ancora) un cittadino Europeo e che nell’Europa risieda la nostra salvezza; e,
in fondo (vi parrà strano) con una (intra-mondana) speranza: che il nostro
paese sia, alla fine, migliore della classe dirigente che ha espresso.
Roma 1°marzo 2018
P.S.: mi impegno a tentare con tutte
le forze di non fare commenti nei giorni successivi al voto; del resto
sarebbero inutili, perché la situazione sarà dolorosamente chiara nella sua
assoluta confusione. Salvo eventi imprevisti – che, a questo punto, spero -
sono convinto di riuscire a mantenere l’impegno.
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