giovedì 1 marzo 2018

Italica

Una passione inutile
(di Felice Celato)
Provo a formulare una previsione sull’esito di queste imminenti elezioni, più che altro per mantenere in esercizio un certo mio (presunto) pessimismo Italia-centrico, [curiosamente, in ottica globale, sono un (presunto) ottimista; i lettori più assidui, sanno tuttavia il limitato credito che faccio alle parole ottimismo/ pessimismo].
Pur amando conoscere sempre “le dimensioni” dei problemi (ripeto spesso: sempre acqua è, ma un bicchiere disseta, un’ondata travolge) mi asterrò dal tentare l’esercizio del number guessing: ce ne sono già tanti di sondaggi, noti e sotterranei, che tentare la sorte (perché di questo si tratterebbe, nella nebbia che mi avvolge) mi pare un esercizio futile. Fra l’altro, ormai siamo alla vigilia delle elezioni e fra pochissimi giorni conosceremo 'sti famosi numeri.
Dirò invece, per sommi capi, come prevedo l’Italia del 5 marzo: più divisa, egualmente confusa, più pericolosa, più pericolante.
A prescindere da chi “vincerà”, l’Italia mi pare  soffocata dai suoi problemi di sempre, esaltati da un contesto internazionale dove l’insicurezza e la domanda di protezione purchessia sono diventate una cifra diffusa del mondo lato sensu occidentale, non contrastati (da noi) da adeguati anticorpi.
Mi spiego meglio : (1) i problemi di sempre sono, alla radice, culturali (il nostro è un paese con basso livello di istruzione, con un senso dello stato assai carente, con un grado di auto-coscienza deformato dai complessi di cui soffriamo, con un invincibile amore per le narrazioni suggestive); nel tronco, sociologici (questa deficienza culturale si è incistata in un senso della società familistico, formalistico-legalitario, stato-centrico e, ad un tempo, anti statale); nei rami, antropologici (gli italiani, invecchiati e rancorosi, senza passione del futuro, abituati ad un’acritica dieta mediatica, moralisti spesso senza morale, vivono in una costante deflazione delle aspettative, sfiduciati e sfibrati al punto da avere  incollato il futuro al presente). (2) Populismo e sovranismo (l’abbiamo detto più volte) non sono fenomeni puramente Italiani, anche se, da noi, hanno assunto una consistenza rilevante, esaltati da una classe dirigente debole, senza capacità di indirizzo, e che fa fatica ad esprimere validi anticorpi al degrado, fors’anche per sfiducia nella capacità di farsi ascoltare dagli Italiani. (3) La natura ed il grado di stagionatura dei nostri problemi economico-finanziari (bassa produttività, debito debordante, apparato burocratico, in senso lato, costoso e oppressivo, crollo demografico, difficoltà a convivere con l’euro, etc.) non si prestano ai pannicelli caldi che una coalizione gracile e mal assortita può apprestare, nella logica della conservazione di un indirizzo governante che si è rivelato incerto e short-sighted (e che lo sarà ancora di più se la coalizione che il 4 marzo dovesse  imporre sarà basata sull’inconsistenza delle visioni). D’altra parte, uno stravolgimento dell’indirizzo governante (checché ne pensino gli autorevoli fautori della clamorosa discontinuità, sia pure riguardata come benefico momento della verità), per quanto per molte ragioni auspicabile, sembra porre, fra l'altro, enormi problemi di coesistenza coi nostri posizionamenti geo-politici, oltreché di compatibilità culturale (e non solo) col resto dei maggiori paesi europei.
Se questo è il quadro (e, si badi bene, non tutto è farina oscura del mio oscuro sacco, come può constatare chi abbia letto anche solo le mie note sui rapporti Censis o anche la mia recente segnalazione del libro di Carlo Cottarelli sui peccati capitali della nostra economia) le elezioni che vengono non possono che apparirmi (per fare il verso a Sartre) “una passione inutile”, un esercizio democratico a cui ci sottoponiamo con scettica passione, per esorcizzare il vuoto che ci siamo costruiti d’attorno.
Sì, certo, non ostante tutto ciò, andrò a votare, come dicevo qualche giorno fa, per non avere rimorsi ma pronto alle delusioni, col cervello e non con la pancia, aggrappato all’idea di essere (ancora) un cittadino Europeo e che nell’Europa risieda la nostra salvezza; e, in fondo (vi parrà strano) con una (intra-mondana) speranza: che il nostro paese sia, alla fine, migliore della classe dirigente che ha espresso.
Roma 1°marzo 2018

P.S.: mi impegno a tentare con tutte le forze di non fare commenti nei giorni successivi al voto; del resto sarebbero inutili, perché la situazione sarà dolorosamente chiara nella sua assoluta confusione. Salvo eventi imprevisti – che, a questo punto, spero - sono convinto di riuscire a mantenere l’impegno.

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