mercoledì 29 settembre 2021

I muti e i dinosauri

Il paradosso di Franceschino

(di Felice Celato)

L’altro giorno il mio nipotino di sette anni (Franceschino, appunto, grande appassionato di dinosauri), con l’aria furba di chi sa di dire qualcosa di paradossale, ci ha fatto questo “ragionamento”: i muti sono pericolosi! Al nostro stupore per tale apodittica affermazione, ha sciorinato la sua argomentazione: Sì, perché non potendo parlare, se devono dire qualcosa la scrivono; e per scriverla consumano fogli di carta; ma la carta si fa col legno, e così si distruggono gli alberi; e se gli alberi scompaiono, gli erbivori rimangono privi di foglie e muoiono di fame; ma se muoiono gli erbivori, anche i carnivori rimangono senza cibo! E’ così che sono scomparsi i dinosauri!

Beh! L’ilarità mia e di mia moglie è stata inevitabile (e anche Franceschino ne ha riso con noi, senza nascondere però la sua soddisfazione per il “rigoroso” filo del suo “ragionamento”).

Ripensandoci sopra, ho cercato di trarre dal suo “ragionamento” qualche riflessione. La prima è di natura pedagogica: anzitutto è chiaro che i nostri bambini sono bombardati, a scuola, di elementari concetti ecologistici; il che non è certo un male, a condizione che, nel tempo, tali concetti vengano doverosamente affinati; e - visto l’ambiente di questi tempi – la missione di nonni e genitori che si vogliano concettualmente attenti al significato di ciò che si dice, si fa carica di responsabilità. La seconda riflessione, invece, ha preso – per me, inevitabilmente – il filone sociologico; e contrasta, naturalmente e in modo radicale, il punto di partenza di Franceschino: ad essere pericolosi non sono i muti (spesso naturalmente più saggi dei parlanti); e non certo perché devono scrivere per dire la loro: la scrittura, infatti, aggiunge – o dovrebbe aggiungere, con buona pace dei twitt dilaganti –  tempo al fluire delle parole; e questa sarebbe una cosa di per sé altamente benefica (assumendo che ogni cinguettatore debba essere comunque titolare di una testa, ancorché appisolata sopra alla tastiera). Ad essere pericolosi sono invece i ciarlieri (cioè i parlanti che non hanno nulla da dire; l’abbondanza è, alle volte, l’unica risorsa di chi non ha niente da dire, diceva Rostand): nella vita quotidiana (perché innervosiscono); e in quella pubblica perché forniscono linfa vitale a quella cachistocrazia parlamentare che toglie respiro alla democrazia parlamentare, di costituzionale memoria. I rappresentanti del popolo – secondo una fortunata vulgata corrente – dovrebbero parlare (e perciò se ne sforzano) la lingua del popolo, praticandone – ahinoi! – spesso la misura e i sensi; col risultato che la “mediazione” politica diventa un inutile orpello e che la rincorsa a chi la dice più “popolare” diventa la cifra della vita politica.

Talora mi “diverto” ascoltando su Radio Radicale le dirette dalle aule parlamentari e spesso mi sorprendo della banalità, della convenzionalità, della vacuità delle opinioni che sento affermare con tanto vigore retorico (la parte autenticamente comica arriva quando vengono sciorinati numeri, con milioni e miliardi spesso confusi, o con percentuali delle quali talora è evidente la sconoscenza di numeratori e denominatori).

Per seguire, però, il filo del “ragionamento” di Franceschino (il "destino" dei dinosauri), devo immaginare che i suoi amati animali mesozoici – nell’edizione contemporanea – traggano molto vantaggio proprio dai ciarlieri (e non abbiano proprio nulla da temere dai muti). Non ci credete? Leggete attentamente le cronache “politiche” di questi giorni; e vi convincerete di quanti dinosauri circolino ancora in questo ciarliero paese. Se, invece, veramente avesse ragione Franceschino e i muti fossero veramente nocivi per i dinosauri, non ci sarebbe che da erigere loro un monumento!

Roma 29 settembre 2021 (compleanno di Franceschino)

domenica 19 settembre 2021

La "farmacia nazionale"

I leaders-pomata

(di Felice Celato)

E’ curioso come nel lessico familiare certe parole finiscano per assumere significati del tutto particolari, piegate ad un uso spesso ironico, qualche volta affettuoso, talora sarcastico ma sempre strettamente convenzionale; cioè destinato a “funzionare” come significante solo in ambiti molto ristretti, magari solo quello familiare.

E’ il caso di un’innocua paroletta di uso cosmetico o farmaceutico (pomata, appunto) che nel nostro lessico familiare (quello mio e della mia famiglia) ha finito per assumere il senso unguentoso di qualcosa o qualcuno banale (semisolido e per uso esterno, direbbe il Dizionario Treccani), dolciastro e accattivante ma appiccicoso e sostanzialmente assai poco efficace e semmai solo lenitivo e superficiale.

Se scavo nella memoria, la nascita di questo uso del tutto familiare risale alla mia esperienza di giovane capo-famiglia che, diligentemente, accompagnava i figli alla messa domenicale in un convento dove ricevevano la loro catechesi ecclesiale a cura di ottimi frati, anche svegli e simpatici; però, nelle feste più importanti, compariva sempre un Padre Superiore (bisogna dirlo: molto ben pettinato, anche per vistose insofferenze verso una non più incipiente calvizie!) che “erogava” omelie banali e dolciastre con un tono un po' appiccicoso che ci lasciava sempre addosso il senso di untuoso che emanava dalla sua …scarsa ma ben curata chioma. Ricordo così che una volta, nel recarci a messa in una qualche solennità, ebbi a chiedere a mia figlia se fosse prevista la predica di Padre…; lì per lì, non ricordandomene il nome, dissi di Padre Pomata. Tutti ne ridemmo; ma al povero Padre questo nomignolo rimase così appiccicato che finimmo per usarlo anche quando ne ricordavamo perfettamente il nome. Anzi, finimmo per estendere l’uso dell’affisso “pomata” ai tanti personaggi – non più e non solo di ambiente chiesastico – che, per vari motivi, ci sembravano meritare il nomignolo, talora anche vagamente vezzeggiativo.

Questa – forse buffa – accezione familiare della parola pomata non manca di suggerirmi irrispettose applicazioni anche quando osservo l’oratoria mediatica di alcuni nostri leaders politici, ossessionati dalla preoccupazione di erogare lenimenti ed unguenti al loro popolo e in generale al pubblico televisivo, che, stando agli stilemi della nostra cosiddetta comunicazione (specie se di Stato), sembrerebbe necessitarne. Per carità, talvolta l’unguento è magari destinato a suscitare effetti revulsivi (cioè a provocare afflussi sanguigni ai tessuti superficiali, anche suscitando irritazione locale); ma pur sempre di pomate si tratta, untuose e spesso maleodoranti, che spesso – come gran parte delle pomate appena applicate – se ne vanno con un accurato lavaggio, si tratti di mani, di volto o di altra parte del corpo (magari della testa!). 

Bene. Poiché ognuno di noi ha le sue idiosincrasie (anche politiche), non tenterò nemmeno (anche se avrei molte idee al riguardo!) di applicare nominativamente l’appellativo di leader-pomata a nessuno dei correnti (solo per dire attuali) leaders politici di questo paese che pure di cure urgenti e profonde ha bisogno, certamente non sostituibili con l' applicazione di semplici pomate, né lenitive né revulsive. Mi pare però che i leaders-pomata non manchino (direi anzi che abbondino); che i tubetti dei loro medicamenti ingombrino il bancone della nostra “farmacia nazionale”, spesso inscatolati senza risparmio di colori sgargianti e accompagnati da bugiardini (mai una parola mi è sembrata più adatta!)  che promettono mirabilia senza contro-indicazioni e che tacciono sugli effetti collaterali, magari suscitando – quando ce ne porge una scatola – lo sguardo ironico del farmacista che conosce malattie e cure (vere) per averle a lungo studiate. 

Forse non sarebbe male se ciascuno di noi (specie quando esercita la sua coscienza di cittadino), prima di affidarsi alle pomate (e ai loro "spacciatori"politici), sentisse un medico competente e soprattutto non pietoso, perché, come dicevano i nostri nonni, il medico pietoso fa la piaga verminosa (e noi di piaghe aperte ne abbiamo molte).

Roma, 19 settembre 2021 (Festa di San Gennaro)

 

 

sabato 11 settembre 2021

Ricordi

 11 settembre

(di Felice Celato)

In fondo, per nostra somma fortuna, noi nati nell’ultimo tratto della prima metà del secolo scorso, non abbiamo ricordo alcuno (né potremmo averlo) delle tragedie immani dell’ultima guerra; solo qualche racconto dei nostri genitori, che ascoltavamo con interesse e comprensione ma forse senza cogliere appieno il dramma del loro personale coinvolgimento (del resto i miei genitori avevano un certo pudore dei loro sentimenti e spesso si ritraevano sulla soglia di questi). 

Ma, come sempre, i ricordi di fatti non vissuti direttamente godono del beneficio del tempo passato senza ferite ancora aperte. Poi, per chi ha una visione religiosa della vita, soccorre il conforto della “memoria credente” (ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, Deut. 8,2), alla quale dovremmo più spesso rivolgerci quando consideriamo la nostra vita.

Eppure, quando – come accade ad una certa età – si va indietro col pensiero, non mancano i ricordi di come abbiamo vissuto l’attraversamento del nostro tempo, forse non affollato di tragedie immani (in fondo, è bene ricordarlo a tutti, il nostro mezzo secolo sta conoscendo una lunga fase di relativa pace, sconosciuta ai secoli scorsi, come si può facilmente costatare solo consultando le statistiche di OurWorldInData, al capitolo War and Peace), ma pur sempre segnata dalle follie della violenza di Caino.

Lungo questa linea, ricordo con diversa intensità (ma anche con diverso coinvolgimento) due diversi episodi che hanno segnato l’ultimo cinquantennio della mia vita con emozioni e patemi difficili da dimenticare (saranno gli omologhi dei ricordi di guerra dei nostri genitori?): il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro e la tragedia delle Twin Towers (di cui, appunto, oggi ricorre il ventennale e di cui oggi faccio – anch’io – personale memoria).

Ricordo di averlo vissuto, l’evento delle Twin Towers, quasi in diretta, insieme a persone che, come me e in ragione della loro attività, avevano modo di sentire quei drammatici eventi come direttamente incidenti sulla loro vita pur se lontani nello spazio. Stavo ricevendo, in quel pomeriggio dell’11 settembre 2001, gli esponenti di una grande banca d'affari americana per discutere delle prospettive del settore di cui allora mi occupavo (il trasporto aereo), quando la mia straordinaria assistente entrò nella sala delle riunioni, col volto molto turbato; e – senza profferire parola – accese il televisore. Al mio sguardo stupito, Laura rispose: DEVE vedere, anzi DOVETE vedere.

Subito cominciarono a scorrere le terribili immagini che ormai tutti conosciamo, e sulla faccia di ciascuno di noi lo sgomento si fece drammatico pallore, incredulo e commosso. Il nostro mondo stava improvvisamente conoscendo una svolta di proporzioni gigantesche, una cesura storica ed economica di cui di lì a poco avremmo conosciuto gli effetti; immediati (per la banca americana si trattava di un attentato ai suoi propri gangli vitali) e di lungo periodo (per il trasporto aereo fu l’inizio della crisi più lunga e profonda della sua non lunghissima storia; l’aereo civile da strumento di progresso veniva trasformato improvvisamente in strumento di morte, i passeggeri usati come micidiali componenti di proiettili impazziti dall’uomo).

Oggi, i giornali ed i media in generale ricordano l’evento, oltre che ovviamente per il suo tragico death toll, per il suo significato geo-politico, significato non certo minore; ma, rievocarlo per l’incidenza diretta che ebbe sulla mia vita professionale, mi è venuto spontaneo; e dunque lo faccio con i miei tenaci lettori, certo della loro comprensione per questa “personalizzazione”, da persona – diranno i più giovani di essi – a dir poco anziana.

Roma 11 settembre 2021

 

 

 

giovedì 2 settembre 2021

Segnalazioni

Due letture parallele

(di Felice Celato)

Intense letture hanno accompagnato questi ultimi giorni fra fine agosto ed inizio settembre; a parte la gestione di qualche baruffa polemica fra amici [che costituiscono il sale benedetto di questa mia prima (?) – direi: pensosa (?) – vecchiaia] sono stato assai preso da due volumi sullo stesso argomento e diversi fra loro ma entrambi certamente non tranquillizzanti. 

[Visto che si tratta di due segnalazioni, mi prenderò qualche libertà sul limite delle 750 parole che ho (quasi) sempre rispettato]. 

Il primo: di Anne Applebaum, Il tramonto della democrazia – Il fallimento della politica ed il fascino dell’autoritarismo (Mondadori 2021).  Si tratta di un saggio intenso ed informato, scritto da una giornalista e  saggista statunitense naturalizzata polacca che svolge un’ampia ed assai interessante rassegna dei sintomi della crisi profonda delle democrazie, muovendo da quelle dell’Europa orientale (Polonia ed Ungheria), per giungere infine a quella statunitense, passando per il Regno Unito della Brexit, per la Spagna di Vox, etc. La tesi di fondo  mette in evidenza come alle Grandi Bugie del XX secolo (le grandi costruzioni ideologiche del comunismo e del fascismo) siano succedute – nel pavimentare la strada agli autoritarismi – le Bugie di Media Grandezza (la realtà alternativa sviluppata organicamente…spesso costruita con cura, con l’aiuto delle moderne tecniche di marketing, della segmentazione del pubblico e di campagne sui social media); e ciò, per fare della rabbia un’abitudine e della divisività la normalità, per modo che la polarizzazione venga trasferita dal mondo on-line alla realtà…Il mezzo, il veicolo potente di tale canalizzazione verso la pubblica opinione delle Bugie di Media Grandezza, è ovviamente l’on-line… dove nessuno è costretto ad assumersi la responsabilità di ciò che dice… dove l'ironia, la parodia e meme cinici vengono posti a disposizione della cosiddetta pubblica opinione, per “informarsi” e, allo stesso tempo, divertirsi. Il disarmonico stridore che caratterizza la politica moderna; gli accessi d'ira a cui si assiste sulle televisioni via cavo e al telegiornale della sera; il ritmo veloce dei social media; i titoli dei giornali che, a scorrerli, cozzano l'uno contro l'altro; l'esasperante lentezza, al contrario, di burocrazia e tribunali: tutto ciò ha snervato quella parte della popolazione che predilige (o si è convinta di prediligere) l'unità e l'omogeneità. La democrazia è sempre stata chiassosa e turbolenta, ma quando le sue regole vengono seguite finisce per creare consenso. Il dibattito moderno no. Esso, invece, suscita in alcuni il desiderio di tacitare a forza gli altri.

Il secondo, invece, è un corposo saggio, più strutturato dal punto di vista concettuale ma non meno preoccupante (ancorché prevalentemente “ambientato” nella democrazia statunitense): si tratta del volume di Tom Nichols (autore già segnalato su queste pagine in Letture, del 14 12 2018, per l’ottimo saggio su La conoscenza e i suoi nemici, Luiss press, 2018) intitolato Our own worst enemy – The assault from within on modern democracy (Oxford University Press, 2021, disponibile in e-book, per ora in lingua originale). In esso l’autore, un brillante saggista ed accademico statunitense, svolge un’analisi disarmante e appassionata…. sui “tumori” che, dall’interno, corrodono l’organismo democratico (nel senso della liberal democracy), un organismo (a durable edifice of institutions) che esige l’esercizio di squisite virtù civiche (tolleranza, fiducia  nei diritti individuali, senso del responsabilità, spirito di sacrificio di ogni personale egoismo, cooperazione, etc); virtù civiche che a loro volta rimandano ad un complesso di virtù personali senza le quali nessuna forma di governo può assicurare libertà e benessere per tutti: in the modern democracies …. that edifice is now being washed away by the citizens themselves, as civic virtue drowns in narcissism, anger… resentment… choleric nostalgia.

Sono questi (narcisismo pandemico, rabbia, risentimento e confusa nostalgia di un passato immaginato come migliore del presente) i “nemici interni” della democrazia: when an entire population slides after years of peace and plenty into narcissism and resentment and entertains itself with comforting lies about the past in order to avoid the responsibilities of the present, the political environment sinks into a corrosive slurry that eats away at the foundations of democracy.

Fin qui le sconfortate analisi di contesto dei due autori, largamente sovrapponibili ancorché basate su campi di osservazione parzialmente diversi, argomentate diversamente  e “accentate” diversamente (la Applebaum sottolinea forse di più la maliziosa manipolabilità e Nichols la naturale endemicità dei fenomeni osservati). In entrambe, tuttavia, (come sopra visto per la Applebaum) i media (nella loro odierna indomabile ed indiscreta iper-connettività senza mediazione critica) svolgono un ruolo decisivo: Our ability to communicate instantly, anonymously, and without reflection has immortalized moments of stupidity …..that in an earlier time would have rightly gone unnoticed, scrive Nichols; …the sheer size of our interaction with the virtual world, and the speed with which that world has enveloped all of us, has created a vast and yet lonely space, where we are both too connected and too isolated at the same time.

Sui rimedi anche, i due autori diversamente convergono: la resistenza liberale, sinteticamente invocata da Applebaum, diventa, in Nichols, una più articolata proposta che si può anche condividere solo in parte ma che, in fondo, si richiama ai valori fondamentali di una democrazia liberale, senza nascondersi la difficoltà del percorso di riscoperta ma sottolineandone la decisiva inevitabilità.

Concludendo: due letture interessanti, urticanti e certo non confortanti, anche per noi, specie se si applicano questi scenari internazionali a quelli italiani che osserviamo ogni giorno. Consiglio ai miei asincroni corrispondenti la lettura di almeno uno dei due volumi (entrambi gradevoli nello stile dell’esposizione); il primo soprattutto per la ricchezza degli aggiornamenti su realtà politiche forse meno note (almeno a me) ma non lontane dalle nostre (non solo geograficamente!); il secondo (in ottobre la Luiss Press ne farà uscire la traduzione italiana) per la ricchezza e l’estensione delle argomentazioni.

Roma, 2 settembre 2021.