domenica 27 novembre 2011

Per poco ancora ma ancora

Sic transit gloria mundi
(di Felice Celato)



Come avranno notato i pochi amici che visitano questo blog, da qualche giorno mi sono astenuto dallo scrivere: teniamo tutti il fiato sospeso per quello che può accadere del nostro bellissimo e incosciente Paese. Infuria su di noi ed attorno a noi una tempesta dagli esiti imprevedibili, che può travolgere l’Italia e l’Europa e che non si arresta con le sole dichiarazioni del nuovo governo e della zoppa e goffa governance europea.


Tutti i nodi vengono al pettine. Come abbiamo sempre pensato, non sarebbe bastato il (pur assolutamente necessario) recupero di una dignità politica internazionale dopo i tanti mesi di sciagurata gestione della nostra immagine (e non solo di questa), a risolvere i problemi di fondo che da tanto tempo vedevamo con chiarezza. L’aver tardato tanto a divenirne coscienti (in Italia), ha amplificato i rischi di una situazione (nostra) troppo a lungo occultata; ma l’implosione più vasta che rischia di travolgere l’Europa ha anche cause esterne correlate alla debolezza di importanti leadership, esaltata anche – come accade spesso ai deboli – dalla presunzione di poter giocare ruoli impropri e dai “ricatti” dei rispettivi elettorati che non sanno guardare oltre il loro naso.


L’intero mondo è seduto su una montagna di debiti, pari, più o meno, all’80% del prodotto mondiale lordo (noi siamo al 120% del nostro prodotto interno lordo); che i detentori di questi enormi crediti (come tutti sanno ad ogni debito corrisponde un credito) siano in agitazione è fin troppo normale; che la loro agitazione sia concentrata su chi ne ha di più, di debito, può meravigliare solo gli ingenui e i prigionieri delle proprie ideologie, soprattutto se le economie di questi debitori lasciano pensare che non saranno mai capaci di restituire quanto hanno ricevuto in prestito. Molte banche in tutto il mondo hanno investito parte dei depositi che ricevono dai clienti in debiti degli stati e dalla qualità di questi (anche) dipende la capacità delle banche di restituire i depositi ai depositanti, ove questi ne facciano richiesta, come pure quella di prestare denaro a chi ne necessita per sviluppare l’economia. Un loop esplosivo, come facilmente si capisce.


Dunque, come da tempo sappiamo, la situazione è di estrema gravità, per noi soprattutto (indebitati, depressi e, finora, mal guidati) ma non solo per noi. I “pensieri” che sento correre in giro sono da brivido.


Per questo, non ho avuto e non ho voglia di scrivere. Ma oggi mi ha colpito una notiziola che ben accompagna la mestizia che ci pervade: Laura Antonelli, una bellissima sex symbol di qualche decennio fa, compie 70 anni, in miseria, in solitudine, distaccata dal mondo ma – dice il Corriere – in preghiera. Le sventure subite (da un’ingiusta detenzione ad un devastante lifting andato male), la fine del glamour che ne circondava la bellezza e della bellezza stessa, l’abbandono degli amici e l’isolamento dal proprio mondo sembrano essere i capitoli di un’elegia amara della bella vita, che – purtroppo – echeggia, sia pure dal piccolo mondo frivolo dello spettacolo, le vicende di un Paese che ha anch’esso dissipato se stesso.


Per questo, forse e curiosamente, mi ha colpito questa piccola notizia che viene da un mondo cui non ho mai prestato troppa attenzione. Tutti l’avevamo ammirata, la bella e vitale Laura di Malizia, che non ha saputo conservare se stessa nelle maree della vita e che ora comprende la fatuità del proprio trascorso: ha sperperato il suo provvisorio successo, dicono i giornali, ha tentato di arrestare il decorso del tempo sul proprio volto, che costituiva buona parte della sua ricchezza; ma, dicono sempre i giornali, non sembra travolta dall’amarezza, anzi pare distaccata ed assente.


Noi, torno così ai più drammatici casi nostri, non possiamo attendere distaccati ed assenti, per quanto inutili siano i rimpianti su ciò che avremmo potuto essere, e non siamo stati, se solo fossimo stati capaci di dirci come stavano le cose; anche a noi il lifting di debito e svalutazioni alla lunga non è venuto bene, anche noi abbiamo fatto uso di droga autorappresentandoci un mondo dove si può vivere e festeggiare coi soldi degli altri. Noi però siamo ancora in tempo; per poco ancora ma ancora. Seguitiamo ad attendere con fiducia trepidante la misura dell’impatto con la realtà.


Torneremo a parlarne quando ci sarà più chiara la strada.






27 novembre 2011

domenica 13 novembre 2011

Auguri, Italia!

12.11.11


(di Felice Celato)

Non voglio esimermi, dopo un giorno tanto importante quale quello di ieri, dal tracciare un mio breve commento su quello che vedo: non perché senta di avere importanti angoli da porre in luce (ci sono molti, ottimi commenti sui migliori giornali di oggi); ma solo perché, a distanza di tempo, vorrò rileggere, con i soliti amici che mi corrispondono, le impressioni su ore tanto importanti per il nostro Paese quali sono quelle che stiamo vivendo, per verificare – speriamo – la fallacia di tante negative impressioni che ho ricavato seguendo le cronache politiche di queste ore.


Cominciamo dalla situazione che ha determinato queste ore: L’Italia è già scivolata nel burrone della inadeguatezza della sua classe dirigente; ma, per fortuna, l’Italia non è il Paese di terza classe che ha dimostrato di voler essere per troppo lungo tempo: ha radici forti e amor proprio sufficiente per aggrapparsi a se stessa e al suo storico posizionamento internazionale; e i cittadini Italiani stanno capendo molto più di certi loro politici in che condizioni l’abbiamo messa. L’Italia può ancora tornare ad essere un paese serio, come lo è stato in molti passi cruciali della sua storia, anche recente, aggrappandosi agli appigli che anche questo burrone offre ancora alle forti mani dei suoi cittadini, riportati dai fatti alla veglia.


Veniamo alle reazioni della “piazza”: le scomposte piazzate che hanno salutato la resa di Berlusconi non sono degne di un paese serio, conscio della situazione; Berlusconi, dal punto di vista istituzionale, esce meglio di come è stato. Ha governato molto male (secondo me) ma sulla base di un forte consenso democratico; ha sciupato l’immagine e la credibilità del Paese con le sue sguaiataggini e la sua abitudine alla furbizia ma è stato a lungo popolare ed è stato votato con larghezza di consenso. Ha chiesto di approvare la legge di stabilità prima di dimettersi e l’ha, secondo me dignitosamente, ottenuto. Le gazzarre sono inutili anzi dannose.


La soluzione Monti: è, secondo me, la migliore che potevamo mettere al lavoro. Il Presidente incaricato dall’ottimo Presidente della Repubblica è una persona per bene, di grandissima competenza, estraneo ad ogni faziosità, personalmente dotato di una sensibilità civile e sociale assai distante dallo stereotipo tecnocratico che alcuni cercano di cucirgli addosso, dotato di un prestigio internazionale di grandissimo livello. Non è un politico; ma la sua missione non è propriamente politica. Perché sia chiaro: egli è un commissario straordinario per una situazione di straordinaria gravità; deve salvare il Paese dal tracollo e va sostenuto con ogni possibile forza.


Le reazioni della politica: diciamolo subito: ottimamente il Terzo Polo, molto bene anche il PD (Letta e Bersani; meno adeguato il discorso di Franceschini alla Camera), entrambi pienamente coscienti – così mi pare – della eccezionale gravità del momento e della eccezionalità delle misure richieste. Tutto sommato accettabile anche Vendola (verso il cui movimento non ho comprovate ragioni di simpatia, a partire, a ritroso, dall’ultimo referendum); da osservare nei fatti le confuse dichiarazioni di Di Pietro; male o molto male, direi, tutti gli altri. Quelli che per anni hanno beffeggiato la storia del paese tirando fuori ad ogni piè sospinto lo slogan stucchevole del teatrino della vecchia politica, dopo tanti mesi di loro cabaret, non sono usciti dalla loro prigione culturale ed hanno inanellato una serie di prese di posizioni politicistiche degne di quel passato che deridono ma, nella fattispecie, assolutamente incongrue, del tipo: “vogliamo prima vedere il programma”, “vogliamo vedere la squadra”, “quando vorremo staccheremo la spina”, “il governo deve essere a termine”, “vogliamo questo o quell’altro ministro”, “questo governo non è stato eletto dal popolo”, etc.etc.etc. L’abissale irresponsabilità di questi tentativi di ipotecare politicamente il governo “commissariale” che il prof. Monti deve faticosamente mettere in piedi ( e che spero vivamente duri fino al 2013, altroché “presto alle elezioni”!) è espressa meglio che da qualsiasi discorso da questo semplice dato: di qui alla fine del 2012 l’Italia ha circa 300 miliardi di € di titoli di Stato in scadenza e da rinnovare, circa il doppio di quelli faticosamente e onerosamente rinnovati quest’anno! 500 punti base in più (rispetto alla Germania) solo su questo massa di debiti vale 15 miliardi di € in più di intereressi da pagare, da parte di tutti i cittadini (250 € a cranio), che si aggiungono ai circa 80 miliardi comunque già da pagare (1300 € a cranio, compresi quelli vuoti!). E ciò che vale per i cittadini (maggiori interessi da pagare) varrà anche per le imprese Italiane che dovrebbero invece competere sui mercati con imprese tedesche e francesi e spagnole e inglesi, per ridare slancio allo sviluppo! Altro che “ricatti della signorina spread!”. Per favore, l’abbiamo già detto, non scherziamo col fuoco, perché ci faremmo molto molto male!


Conclusioni: le cose che Monti dovrà fare non saranno, nel breve, piacevoli per nessuno; e tanto più spiacevoli saranno, tanto meglio faranno nel lungo termine; ma vanno fatte assolutamente per il bene di tutti e vanno fatte subito. L’Italia ha l’occasione di ri-uscire dal baratro; per ora annaspa in cerca dell’appiglio che pure ha individuato e che la può trattenere almeno sul bordo e darle la possibilità di uscirne. Le chiacchiere della peggior politica e le sguaiataggini della piazza non sono un buon viatico!


Auguri, Italia!






13 Novembre 2011, ore 17

mercoledì 9 novembre 2011

Il "fai da te", precipitando

Idee
(di Felice Celato)

L’iniziativa del dott. Melani (l’imprenditore, mi pare, toscano, che sul Corriere della Sera del 4 novembre ha pubblicato a proprie spese un appello agli italiani perché sottoscrivano titoli del debito pubblico italiano) sta avendo corso con un successo che non può non confortare; prima di tutto per la natura dell’iniziativa (un’azione chiara, spontanea, responsabile e disinteressata invece di tante chiacchiere), poi per i presupposti (la breve ed impressionante elencazione dell’origine del problema è una delle rarissime operazioni di brutale verità che siano state fatte sul debito pubblico italiano); ed infine per l’eco positiva che ha suscitato, andando a scuotere le fibre di un amor patrio che sembrava morto. Onore quindi al dott. Melani ed alla sua iniziativa.


Detto ciò, però, vorrei formulare alcune considerazioni di natura certamente meno nobile di quelle che hanno ispirato il dott Melani ma che forse non sarebbero inutili presso i tanti politici che, come è loro costume verso ogni cosa che denoti possibilità di successo, hanno prontamente sponsorizzata (con calde parole, di cui sono spesso prodighi, quando qualcosa non li tocchi) l’idea di Melani.


La logica dell’iniziativa è scambiare la ricchezza delle famiglie con titoli del debito pubblico italiano; l’effetto desiderato non è quello, ovviamente, di ridurre il debito pubblico (sempre di debito stiamo parlando; o è debito già in mano a terzi o debito di nuova emissione; ma sempre debito è quello che dovremmo “accollarci”) ma di dimostrare verso esso un interesse di mercato (e per di più proveniente dal mercato “minuto” degli italiani) che valga a far percepire la fiducia degli italiani stessi verso il proprio paese e quindi anche a contenere la crescita del costo di tale debito correlata, invece, alla diffusa sfiducia verso l’Italia, a torto o a ragione diffusasi sui mercati (e io dico, vedendo il marasma politico in cui versiamo, a ragione).


Nello stesso spirito, mi permetto di suggerire una profonda modifica alla logica dell’operazione: non scambiare ricchezza delle famiglie contro debito pubblico, ma ricchezza delle famiglie contro patrimonio pubblico, ovviamente per ridurre il debito dello stato.


Mi spiego meglio tornando ad enunciare per sommi punti la logica dell’idea:


1. mettere una consistente parte del patrimonio dello Stato (azioni quotate, azioni non quotate e immobili) in un fondo, gestito da un’apposta SGR, magari a controllo pubblico;


2. imporre una patrimoniale su immobili (esclusa prima casa) e ricchezza mobiliare delle famiglie;


3. compensare lo sforzo eccezionale così richiesto alle famiglie dando in cambio a chi ha pagato la patrimoniale una certa proporzione di titoli del fondo come sopra creato;


4. destinare, ovviamente, il gettito della patrimoniale a riduzione del debito pubblico (in un colpo solo, molti miliardi di euro) e l’economia di interessi che via via si genererà sul bilancio pubblico (minor debito = minori interessi, e forse anche minori tassi) a riduzione delle imposte ordinarie sui redditi, per favorire la ripresa dei consumi e sostenere il reddito disponibile dei meno agiati.


Lo spirito è lo stesso di quello del dott. Melani (chiamare le famiglie a concorrere al risanamento del debito pubblico); l’effetto sarebbe però più radicale, sia sul piano finanziario (riduzione del debito e degli interessi), sia su quello degli effetti sui mercati (sarebbe una clamorosa operazione fiducia!) , sia infine sul piano, per così dire, pedagogico (gli Italiani imparino a diffidare dei politici che promettono solo spese, perché poi alla fine il conto lo pagano loro, gli italiani, intendo dire).


Però l’iniziativa del dott. Melani ha un grosso vantaggio su quella che siamo venuti esponendo: non richiede il concorso della politica, che in questo momento sta dimostrando una clamorosa povertà di idee e di coraggio.


L’Italia non è più sull’orlo del baratro, come ormai per mesi si è detto: è nel baratro! Ancora con qualche possibilità di salvarsi, contando sugli stamina dei suoi cittadini, ma ha bisogno subito di un colpo di reni e di misure forti (altroché il monitoraggio delle transazioni in contanti superiori ai 500 €, come pure, con madornale incongruità di merito e di tempi, sento dire!): non vedendo chi le stia apprestando, rinnovo i miei complimenti al dott Melani!

9 Novembre 2011

domenica 6 novembre 2011

Stupi-diario contento

Cronache di ordinaria banalità
(di Felice Celato)


Oggi lo stupore del nostro diarietto curioso ha un tono lieto: finalmente una buona sorpresa, ancorché generata da una triste circostanza!


Spiego subito, attingendo dal Corriere della sera di oggi (pagina 6) la buona notizia: pare che si stia determinando “in rete” una specie di “indignata” (che straordinario successo per questo aggettivo!) sollevazione popolare contro una giornalista del TG2 che ha incalzato con domande a dir poco incongrue (la solita, banale caccia alle sensazioni vestita da intelligente introspezione: “Che cosa hai provato?”) un ragazzino di 16 anni che aveva appena perso sua madre nella tragica alluvione di Genova.


Buon segno! Si vede che questo modo di fare giornalismo, che da tempo mi preclude la calma fruizione (nel senso che , come direbbe Totò, “escandesco” ) di ogni servizio televisivo dedicato a fatti di cronaca nera o tragica che sia, comincia (era ora!) a nauseare anche …..”la rete” (ormai sinonimo evoluto del superato “gente”).


E’ veramente ora di dire basta alla ritualità frivola di questo (fintamente) emozionato emozionismo che, non solo specula sui sentimenti e i dolori delle persone, ma anche esalta, talora, le reazioni e le pulsioni più sconvolte ed istintive. Per carità!, nessuno nega che reazioni istintive e pulsioni siano pienamente umane e in molte situazioni anche comprensibili; ma certamente fanno parte di quel vasto modo della nostra umanità, per sua natura, destinato a restare intimo e che quando vuole manifestarsi, per restare integralmente umano (e quindi non solo pulsionale), deve essere mediato e ricomposto dalla ragione.


Questo vale per il dolore e le sue manifestazioni ed anche per l’umana disposizione al perdono da parte delle vittime indirette di fatti di cronaca nera: quante volte sentiamo porre, con untuosa insinuazione e voce impostata, la domanda "intelligente": “Ma lei perdona chi le ha fatto tanto male?”, magari quando il sangue delle vittime è ancora caldo? Che senso banale diamo, in questo modo, alla dimensione sublime del vero perdono, al suo significato puro e purificante, che comunque richiede un travaglio interiore e una raffinazione del sentimento forte e delicata ad un tempo?


Dunque se comincia una reazione diffusa a questo tipo di giornalismo, bene, molto bene, per una volta ci stupiamo con favore! Speriamo che i direttori  di telegiornali (e di giornali) ne  tengano conto.


6 novembre 2011

venerdì 4 novembre 2011

Letture per una speranza civile

L’eclissi della borghesia

(di Felice Celato)

Come sanno tutti i miei “corrispondenti intellettuali” (cioè gli amici preziosi con cui mi piace – e mi fa bene – scambiare opinioni sul mondo, su come va e su come vorremmo che andasse), da molti anni sono un attento lettore di Giuseppe De Rita ed un estimatore ammirato del modo, lucido e ad un tempo pietoso, con cui guarda alle vicende del nostro Paese, con scorci di intuizioni talora forse un po’ visionarie ma sempre confortate da un ricco patrimonio di evidenze e da analisi quantitative accurate ed affidabili (come possono esserlo le indagini sociologiche).


Anche questo suo nuovo libro L’eclissi della borghesia, Laterza, 2011 (scritto in collaborazione con Antonio Galdo) non mi ha deluso.


L’evidente eclissi della borghesia italiana ( qui la borghesia è intesa non nel senso in cui la intendevano i vetero social-comunisti ma come la classe sociale con una funzione politica, come l’ avanguardia che produce movimento, mobilità, sviluppo e che vive il senso di una responsabilità collettiva; in altri termini come l’ossatura della classe dirigente di un Paese) viene analizzata brevemente nelle sue dinamiche storiche e nelle sue conseguenze sociologiche e politiche.


A questa eclissi ha corrisposto l’impoverimento della vita politica italiana e l’arroccamento dell’humus naturale della borghesia nel “presentismo” di una “cetomedizzazione” abdicativa e pavida del futuro, fatta di derive corporative e familistiche, localistiche ed isolazioniste al Nord e disimpegnate ed opache al Sud dove non sono mancati fenomeni estesi di resa al degrado.


Eppure, e questa è la benefica visionarietà di De Rita, partendo dalla singolare resilienza che – secondo De Rita – la nostra società nel suo complesso ha saputo ( anche in tempi economicamente così inquietanti come i presenti ) esprimere nel profondo, è possibile “nutrire nuove speranze facendo affidamento su alcuni segnali di un’inversione di tendenza”. E quali sono questi segnali, che, tutti insieme, chiamano in causa una rinnovata borghesia? Anzitutto l’esaurimento del lungo ciclo della soggettività (del quale Berlusconi è stato il più abile rappresentante politico), ove al primato dell’io sono stati piegati leggi naturali, codici morali e persino il peccato, ridimensionando anche il ruolo della Chiesa Italiana (peraltro non immune anch’essa da angusti arroccamenti, che ne hanno determinato la crisi presente); poi la ripresa di forme di partecipazione collettiva che si esprime anche in un forte volontariato ed in una spinta all’autorganizzazione (qui il richiamo è alla Big Society di Cameron, ma anche, aggiungerei io, a quanto va proponendo Pellegrino Capaldo nel suo Progetto su www.perunanuovaitalia.it )ed alla sussidiarietà civile.


In sostanza, concludono De Rita e Galdo, “le acque immobili di questa palude stagnante che è oggi la società italiana, possono essere agitate anche da un rilancio delle virtù civili che partono dal profondo della nostra coscienza e non da semplici pulsioni individuali”;il tutto a condizione che si determini in noi un ardore, di qualcosa che brucia dentro di noi.


Bene; questo è il piccolo ma non trascurabile libro che consiglio a tutti di leggere: comunque fa bene pensare che chi è tanto solido (e lucido) nell’analizzare i mali della nostra società e della nostra cultura anche civile, comunque coltivi “nuove speranze”, per le quali, da parte mia, non posso che desiderare analogo fondamento.

3 Novembre 2011 (vola lo spread ma noi pensiamo al π, quota 3,14)