sabato 30 dicembre 2023

Un insonne 2024

L’anno delle Olimpiadi

(di Felice Celato)

Sì, ci ricorda il Sole 24 ore, in ben 62 paesi della terra, per un totale di 4 miliardi di abitanti, nel 2024 si voterà! Compresi Stati Uniti (5 novembre) ed  Europa (6-9 giugno). E, per quel che mi riguarda, basterebbero e avanzerebbero queste due consultazioni elettorali per tenermi insonne fino a novembre del prossimo anno.

Si aggrovigliano intanto i due scenari bellici che abbiamo vicino alla porta di casa, con fondate aspettative di durare ancora a lungo, trascinando con sé scie di sangue e di distruzione (e anche d’altro, ancora imponderabile). E anche qui c’è veramente poco da assopirsi!

Poi ci siamo noi, piccolo e sonnambulo punto del mondo continuamente alle prese con la sua ipertrofia emotiva, di cui abbiamo già parlato riferendo del 57° Rapporto Censis. Forse l’insonnia è più angosciante del sonnambulismo (e lo dico da insonne, senza alcun episodio sonnambulico, per quel che ne so); ma immaginare dei sonnambuli che vanno a votare… mi provoca altra insonnia!

Però, il 2024 – oltre a portarci l’avvio, finalmente, dei tanto attesi lavori per il Ponte sullo Stretto di Messina – sarà ancora un anno di Olimpiadi! E per qualche settimana – magari grazie a Jacobs e Tamberi – ci distrarremo sperabilmente, fra il 26 luglio e l’11 agosto, a votazioni Europee già espletate, però. E magari, chissà, verrà proclamata – come era d’uso nell’antica Grecia – la “tregua olimpica” (l’ekecheiria cioè la sospensione di ogni conflitto, pubblico e privato, durante lo svolgimento dei Giochi).

Per non aggrovigliarci con le date, finiamolo qui, questo post meramente augurale. Dormiremo poco nel 2024, questo è certo; e, quel poco, anche camminando verso i seggi elettorali. Ma pazienza! C’è sempre la speranza dell’ekecheiria!!!

Buon anno a tutti, nonostante tutto!

Roma 30 dicembre 2023

 

venerdì 22 dicembre 2023

"FESTIVITA'" 2023

 Gli auguri di Felice Celato

Sotto questa anodina e mondana denominazione (festività), sono tradizionalmente raggruppate – per la verità impropriamente  - due feste in realtà fra loro profondamente diverse: anzitutto il Natale, festa religiosa per eccellenza;  e, subito dopo, il Capodanno, festa laica e prevalentemente civile. Nel raggrupparle per “comodità augurale”, tuttavia mi piace tenerle separate, ancorché non manchino ragioni per viverle congiunte.

Il Natale è la festa in cui Dio si fa così vicino all’uomo da condividere il suo stesso atto di nascere, per rivelargli la sua dignità più profonda: quella di essere figlio di Dio. E così il sogno dell’umanità cominciando in Paradiso – vorremmo essere come Dio – si realizza in modo inaspettato non per la grandezza dell’uomo che non può farsi Dio, ma per l’umiltà di Dio che scende e così entra in noi nella sua umiltà e ci eleva alla vera grandezza del suo essere….. La grazia di Dio è apparsa: ecco perché il Natale è festa di luce. Non una luce totale, come quella che avvolge ogni cosa in pieno giorno, ma un chiarore che si accende nella notte e si diffonde a partire da un punto preciso dell’universo: dalla grotta di Betlemme, dove il divino Bambino è “venuto alla luce”; pochi – per quanto io ne sappia – l’hanno così brevemente ed efficacemente descritto, il senso profondo di questa festa religiosa del Natale, come ha fatto con queste parole il grande pontefice, Benedetto XVI, della cui scomparsa, giusto il 31 dicembre, cade l’anniversario. Per vie che qui non è il caso di analizzare, quest’anno, per me, uti homo et pater familias (non patriarca, per carità!), il Natale è stato particolarmente denso di umanissimi significati; auguro a tutti i miei amici e lettori di poterlo vivere con analoghe, dense sensazioni ed intenzioni: uomo moderno, adulto eppure talora debole nel pensiero e nella volontà, lasciati prender per mano dal Bambino di Betlemme; non temere, fidati di Lui!

Poi c’è l’anno che muore, fra “bòtti” e calici scintillanti, e quello nuovo che segue, carico – come avviene in ogni Capodanno - di speranze “palingenetiche”; che restano tuttavia affidate, nella debolezza del pensiero e della volontà, alla libertà dell’uomo, alla sua libertà di scegliere fra il bene ed il male nel fare la sua storia (personale e collettiva) nel mondo. Il 2023, infatti, a dispetto delle speranze rigenerative che inutilmente l’hanno accompagnato al suo nascere, è stato, per il mondo in cui viviamo, un anno terribile: le guerre, le loro perduranti conseguenze, le minacce insite in esse, le tante morti ("colpevoli" ed "innocenti", come accade – ed è sempre accaduto ai figli di Caino - in ogni guerra, anche quelle che, pure, hanno costituito una svolta della storia ed il fondamento di nuovi mondi, magari sulle macerie delle umane follie); e poi i minacciosi scuotimenti dei faticosi ed instabili equilibri (politici ed economici) su cui poggiavano ancora una volta le nostre umane speranze di un mondo migliore, fondate o infondate che siano state.

Siamo immersi nella nostra storia, fatta di luci e di bui, e di essa siamo parte e in qualche modo protagonisti; e ne respiriamo profumi e miasmi. E tuttavia – lo ammetto come atto di giustizia nei confronti dell’anno che si compie – conserverò una privatissima memoria dolce e positiva del 2023: mi sono avvenute, in quest’anno terribile per il mondo, ottime cose, in parte lungamente attese ed in parte del tutto inattese. Anche queste  – col gesto mentale della nostra lontanissima infanzia – mi propongo di recare alla grotta di Betlemme dove è venuto alla luce quel Bambino di Betlemme, del quale - non per mia virtù ma per dono ricevuto – ho deciso di fidarmi, avendone anche sperimentato, in tutta la vita, la dolce forza e il sostegno.

Il mio augurio, per me stesso e per tutti i miei cari ed amici, è quello di nutrire questi sentimenti per tutto l’anno che viene; di trapiantare il senso del Natale in ciascuno dei giorni che ci aspettano e di goderne a lungo i frutti, nonostante tutto. Buon Natale a tutti e un Nuovo Anno che possa almeno mantenerci al riparo dalle follie del mondo (e nostre).

Roma, 22 dicembre 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

giovedì 14 dicembre 2023

Parole

Austerità, nostra gioconda serietà

(di Felice Celato)

Si deve ai (molti e talora stolidi) detrattori di una delle donne più influenti del XX secolo, Margareth Thatcher, la “corruzione” del senso di una nobile parola latina (austeritas), della quale forse vale la pena di ricostruire il significato.

Partiamo, appunto, dal dizionario Il Latino, edito da Le Monnier per conto di Mondadori, che, al punto 3 (che qui ci interessa, cioè all’accezione figurata) recita: Austeritas -ātis f. …. 3. fig., severità: Quint. 2.2.5; tua gravitas iucunda, mitis austeritas, la tua gioconda serietà, il mite rigore, Apul. fl. 9.

Poi esploriamo la mitica Treccani che, alla voce austerità, così spiega la parola nei suoi significati italiani: austerità s. f. [dal lat. austeritas -atis; nel significato 2, è un calco dell’inglese austerity]. – 1. L’essere austero, qualità di ciò che è austero: uomo di grande austeritàausterità di vitadi costumiausterità di un ambientedi un complesso architettonico; meno comuneausterità del climadella stagione. Riferito al vino, sapore lievemente aspro e astringente: il vin vecchio, perdendo la dolcezza, acquista quella forza piena d’austerità (T. Tasso). 2. Regime economico-politico di risparmio nelle spese statali e di limitazione dei consumi privati, imposto dal governo al fine di superare una crisi economica.

E per completare la ricerca, leggiamoci, sempre dalla mitica Treccani, quali sarebbero i contrari di austero (cioè di chi pratica l’austerità): immoderato, incontinente, sfrenato, smoderato, sregolato, corrotto, lascivo, vizioso, etc.

Bene: è bastata la (stolida) impopolarità di Margaret Thatcher (sui cui meriti magari torneremo un’altra volta, quando saremo meno in vena di divagazioni) perché l’austerity, dall’essere in qualche modo una virtù del costume, diventasse lo spauracchio degli Italiani incoscienti che si affidano alla propaganda lessicale corrente (sempre da Treccani: spauracchio: ….per estensione: persona cosa, situazione che incute timore e spavento. Anche persona tanto brutta, sciupata, malridotta e simili da fare quasi paura).

Si dirà: ma si sa e si capisce! Gli Italiani non vogliono proprio essere austeri, è nella loro natura (magari aggiungendo: che tutto il mondo ammira!). E’ vero; ma, per mero controllo lessicale, si rilegga – qualche riga sopra – quali sono i contrari di austero.

E, infine, si dirà ancora: ma come ti viene in mente, poi, questa pedante ricerchetta?

Niente, così, leggiucchiando, sui giornali, le acrobazie esplicative dei commentatori sul cosiddetto nuovo Patto di Stabilità…. ma, per ora, vi risparmio digressioni lessicali sulla parola stabilità; e anche l’analisi economico-finanziaria dei benefici e dei malefici della austerity (ormai tutti ne hanno sentite di tutte, su questo tema).Nostra gravitas iucunda, mitis austeritas, la nostra gioconda serietà, il mite rigore, direbbe forse Apuleio.

Roma, 14 dicembre 2023 

 

 

 

mercoledì 6 dicembre 2023

Stipi-diario dell'emotività (*)


Uno sciopero sognato

(di Felice Celato)


(*)

I lettori più stagionati di questo blog sanno che lo scopo di questa rubrichetta  (avviata, con intenti lievi, nel giugno del 2011 ma da tempo non alimentata) non è quello di attribuire arbitrarie patenti di stupidità a chicchessia ma solo quello di manifestare lo stupore di chi scrive per come va il mondo (e ciò anche se…. stupore e stupidità hanno lo stesso etimo).


Procedendo con l’analitica lettura del 57° Rapporto Censis mi sono imbattuto, qualche giorno fa, in un concetto (il mercato dell’emotività) che mi ha molto colpito per l’efficacia espressiva con cui sintetizza una sensazione che da tempo mi pervade quando, stancamente, scorro le pagine dei giornali nostrani o, tristemente, lascio affluire alle orecchie i polifonemi in uso a conduttori e a cronisti politici dell’informazione televisiva [N.B.: nel mio personale linguaggio l’espressione polifonema vorrebbe –stavolta sarcasticamente – indicare un’espressione linguistica formata da una pluralità di suoni che sono privi o hanno perso, nel tempo, il loro autonomo significato; significanti senza vero significato].

Il mercato dell’emotività presuppone, come ogni mercato, la produzione, il confezionamento, il trasporto e il commercio di qualcosa che, grazie all’incontro fra l’offerta e la domanda, trova collocamento presso i consumatori; il mercato dell’emotività è, perciò, la produzione, il confezionamento, il trasporto e lo smercio a grandi mani di emozioni, intese (Treccani) come processi interiori suscitati da un evento-stimolo rilevante per gli interessi dell’individuo, in risposta ai quali si verificano modifiche fisiologiche, che sono adattive in quanto permettono di mobilizzare le energie in maniera rapida e di far fronte ad una situazione di emergenza; il tutto muovendosi sull’uscio (spesso insuperabilmente serrato) della razionalità e della elaborazione di soluzioni, entrambe inevitabilmente più faticose della semplice percezione emozionale (e da qui il successo delle emozioni e quindi l’inconscia ma diffusa domanda di esse, cui corrisponde

inevitabilmente la loro offerta sul mercato, appunto).

Bene; se questo è – per come l’ho inteso io – il mercato dell’emotività, eccomi al sogno (audace e ...perverso) di una notte autunnale: immaginiamo che, per un mese, scendano in sciopero i trasportatori di emotività (resocontisti parlamentari, intervistatori di politici, conduttori di talk-show, etc.) e che, perciò, per un mese (non di più, per carità, perché sarebbe "democraticamente" pericoloso!) si blocchi il mercato dell’emotività veicolata negli slogan

della nostrana comunicazione politica. Immaginate, chessò, improvvisamente ferme, sulle autostrade mediatiche, lunghe file di TIR pieni di banalità e grattature di pance; e che, per esempio, Radio Radicale, per sciopero degli addetti, si veda costretta a sospendere le noiosissime, ma istruttive, trasmissioni di dibatti parlamentari, dove appare evidente – a chi purtroppo, come me, li ascolta diligentemente mentre viaggia in macchina – che pomposi relatori parlamentari parlano spesso di cose che evidentemente non hanno chiare, solo per veicolare slogan e grattature di pance ad uso di diffusione meta-parlamentare. Immaginate questo scenario e provate a svilupparne le (sempre immaginarie!) conseguenze (assumendo che il Vice-Presidente del Consiglio non provveda a precettare i trasportatori di stimoli emotivi!): per un po' si interrompe il commercio delle emotività, gli stimoli alle pance si sospendono e, magari, le teste ricominciano a pensare; i giornali risparmiano un sacco di pagine dedicate alle lofty platitudes della politica e i telegiornali recuperano tempi per la veicolazione dei loro argomenti preferiti (chessò, il compleanno di Del Piero o gli ospiti del Festival di San Remo del prossimo anno); i politici hanno più tempo per studiare i dossier e – ove necessario - per impadronirsi della differenza fra milioni e miliardi; i cronisti parlamentari non devono più – per un mese solo, però – inseguire deputati e senatori per carpirne lo slogan che si vuole canalizzare verso il mondo; la domanda di emozionalità viene temporaneamente disconnessa dalle agognate banalità!

Scenario irenico, diranno in molti, ancorché (mi raccomando!) per soli giorni trenta. Ma anche scenario speranzoso: chissà che solo trenta giorni non bastino per rimettere in azione le cellule cerebrali? In fondo il buon Dio ce ne ha fatto dono, con la sua consueta generosità!

Roma  6 dicembre 2023

 

 

 

 

 

 

venerdì 1 dicembre 2023

Censis 57°

Pessimisti ed ottimisti

(di Felice Celato)

Come ogni anno, ormai da molto tempo, il primo venerdì di dicembre è dedicato al Censis e alla sua annuale radiografia (quest’anno è la 57°) della società italiana, come emerge dalla congerie di dati che, su di essa, il Censis elabora, allinea ed interpreta. E come ogni anno, provo ad individuare le parole-chiave che danno un primo senso sintetico dell’analisi, traendole dalle pagine introduttive del corposo volume, alla cui (integrale) lettura ovviamente è necessario fare rinvio prima di trarre – come invece domani inevitabilmente avverrà su molti giornali – auspici o negative premonizioni per costruire la consueta nostra banale antinomia fra ottimismo e pessimismo (non sempre puramente intellettuale).

Molte scie, nessuno sciame: accomunando promesse di inclusione, occasioni di benessere, investimenti in capitale umano o patrimoniale, il nostro Paese ha costruito in decenni il proprio meccanismo di vita sociale, preferendo, per così dire, lo sciame allo schema, l'arrangiamento istintivo al disegno razionale. Uno sciame che oggi appare disperdersi distaccando dietro di sé mille scie divergenti…. Gli sciami si sono dispersi: quel meccanismo di promozione e mobilità sociale [che aveva costituito il nostro modello di sviluppo] si è usurato. La vitalità complessiva, probabilmente maggiore che negli anni recenti si dirada in una sequenza di scie, tracce fluide a bassa potenza unitaria, linee sottili a cui mettersi in coda con poche relazioni e pochi condizionamenti, in una solitudine montante di assetto e vita sociale.

Ciechi dinnanzi ai presagialcuni processi economici e sociali largamente prevedibili nei loro effetti sembrano rimossi dall'agenda collettiva del paese o comunque sottovalutati. Benché il loro impatto sarà dirompente per la tenuta del sistema, l'insipienza di fronte ai cupi presagi si traduce in una colpevole irresolutezza nel fronteggiarli con efficacia, per prevenire, per quanto è possibile, quelli che si annunciano come probabili collassi.

Sonnambulila società italiana, sembra (…) affetta da un sonnambulismo diffuso: al di là del coinvolgimento ordinario nelle tante ed articolate attività della vita quotidiana, la comunità nazionale sembra riposare in una sorta di torpore, in un sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali di lungo periodo dagli effetti potenzialmente funesti.

Ipertrofia emotiva: una ipertrofia della sfera emotiva ravvisabile nella nostra società, la rende impermeabile alle buone ragioni dei fatti e delle cifre e vanifica i tentativi di imbastire una discussione argomentata, finalizzata alla ricerca di soluzioni lungimiranti. Nell'atmosfera emotiva in cui la società italiana si è immersa, vincono le credenze fideistiche: ogni verità ragionevole può d'improvviso essere ribaltata, sbullonata dal piedistallo della indubitabilità per effetto di una nuova onda emotiva.

I desideri minori: è il tempo dei desideri minori, non più uno stile di vita all'insegna della corsa irrefrenabile verso maggiori consumi come sentiero prediletto per conquistarsi l'agiatezza, ma una più pacata ricerca nel quotidiano di piaceri consolatori per garantirsi uno spicchio di benessere - magari temporaneo e reversibile - in un mondo ostile. Il consumo progressivo non è più la forza vitale che trascina gli italiani e che li spinge a lavorare di più per generare più reddito da spendere. Insomma, non agiscono più gli “eroici furori” della passata epopea perché  il cambiamento del rapporto con il proprio tempo e la ridefinizione della gerarchia dei valori fa sì che l'energia individuale, che in passato si traduceva in una spinta collettiva, ora si condensa in una nuova soggettività dei desideri a bassa intensità, che finisce per smorzare il ciclo.

 

Certamente, come accennavo all’inizio, queste brevi citazioni servono solo a dare un’idea di quello che a me sembra il mood interpretativo del Censis di quest’anno. E certamente anch’esse contengono, se proprio si vuole, più di qualche spunto per alimentare la banale antinomia di cui sopra. Tuttavia, lo ripeto, nelle sue oltre 400 pagine, il 57° Rapporto del Censis credo contenga tutti gli elementi perché ciascuno possa meglio sostanziare la propria visione del presente. I pronostici per il futuro (questo sono in sostanza i nostri ottimismi o i nostri pessimismi) restano affidati alla sicura lettura delle posterità, che hanno il grande vantaggio di potere giudicare questo presente come passato e quei pronostici come fallaci o veritieri.

Roma 1°dicembre 2023