Uno sciopero sognato
(di Felice Celato)
(*)
I lettori più stagionati di questo blog sanno che lo scopo di questa rubrichetta (avviata, con intenti lievi, nel giugno del 2011 ma da tempo non alimentata) non è quello di attribuire arbitrarie patenti di stupidità a chicchessia ma solo quello di manifestare lo stupore di chi scrive per come va il mondo (e ciò anche se…. stupore e stupidità hanno lo stesso etimo).
Procedendo con l’analitica lettura del 57° Rapporto Censis mi sono imbattuto, qualche giorno fa, in un concetto (il mercato dell’emotività) che mi ha molto colpito per l’efficacia espressiva con cui sintetizza una sensazione che da tempo mi pervade quando, stancamente, scorro le pagine dei giornali nostrani o, tristemente, lascio affluire alle orecchie i polifonemi in uso a conduttori e a cronisti politici dell’informazione televisiva [N.B.: nel mio personale linguaggio l’espressione polifonema vorrebbe –stavolta sarcasticamente – indicare un’espressione linguistica formata da una pluralità di suoni che sono privi o hanno perso, nel tempo, il loro autonomo significato; significanti senza vero significato].
Il mercato dell’emotività presuppone, come ogni mercato, la produzione, il confezionamento, il trasporto e il commercio di qualcosa che, grazie all’incontro fra l’offerta e la domanda, trova collocamento presso i consumatori; il mercato dell’emotività è, perciò, la produzione, il confezionamento, il trasporto e lo smercio a grandi mani di emozioni, intese (Treccani) come processi interiori suscitati da un evento-stimolo rilevante per gli interessi dell’individuo, in risposta ai quali si verificano modifiche fisiologiche, che sono adattive in quanto permettono di mobilizzare le energie in maniera rapida e di far fronte ad una situazione di emergenza; il tutto muovendosi sull’uscio (spesso insuperabilmente serrato) della razionalità e della elaborazione di soluzioni, entrambe inevitabilmente più faticose della semplice percezione emozionale (e da qui il successo delle emozioni e quindi l’inconscia ma diffusa domanda di esse, cui corrisponde
inevitabilmente la loro offerta sul mercato, appunto).
Bene; se questo è – per come l’ho inteso io – il mercato dell’emotività, eccomi al sogno (audace e ...perverso) di una notte autunnale: immaginiamo che, per un mese, scendano in sciopero i trasportatori di emotività (resocontisti parlamentari, intervistatori di politici, conduttori di talk-show, etc.) e che, perciò, per un mese (non di più, per carità, perché sarebbe "democraticamente" pericoloso!) si blocchi il mercato dell’emotività veicolata negli slogan
della nostrana comunicazione politica. Immaginate, chessò, improvvisamente ferme, sulle autostrade mediatiche, lunghe file di TIR pieni di banalità e grattature di pance; e che, per esempio, Radio Radicale, per sciopero degli addetti, si veda costretta a sospendere le noiosissime, ma istruttive, trasmissioni di dibatti parlamentari, dove appare evidente – a chi purtroppo, come me, li ascolta diligentemente mentre viaggia in macchina – che pomposi relatori parlamentari parlano spesso di cose che evidentemente non hanno chiare, solo per veicolare slogan e grattature di pance ad uso di diffusione meta-parlamentare. Immaginate questo scenario e provate a svilupparne le (sempre immaginarie!) conseguenze (assumendo che il Vice-Presidente del Consiglio non provveda a precettare i trasportatori di stimoli emotivi!): per un po' si interrompe il commercio delle emotività, gli stimoli alle pance si sospendono e, magari, le teste ricominciano a pensare; i giornali risparmiano un sacco di pagine dedicate alle lofty platitudes della politica e i telegiornali recuperano tempi per la veicolazione dei loro argomenti preferiti (chessò, il compleanno di Del Piero o gli ospiti del Festival di San Remo del prossimo anno); i politici hanno più tempo per studiare i dossier e – ove necessario - per impadronirsi della differenza fra milioni e miliardi; i cronisti parlamentari non devono più – per un mese solo, però – inseguire deputati e senatori per carpirne lo slogan che si vuole canalizzare verso il mondo; la domanda di emozionalità viene temporaneamente disconnessa dalle agognate banalità!
Scenario irenico, diranno in molti, ancorché (mi raccomando!) per soli giorni trenta. Ma anche scenario speranzoso: chissà che solo trenta giorni non bastino per rimettere in azione le cellule cerebrali? In fondo il buon Dio ce ne ha fatto dono, con la sua consueta generosità!
Roma 6 dicembre 2023
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