domenica 22 agosto 2021

Sui giornali d'agosto

 Nostalgia dei virologi

(di Felice Celato)

In questo (sotto molti profili) caldissimo periodo agostano ho sentito una grande nostalgia dei virologi. Mi ero così tanto abituato a leggere ogni giorno una nuova provvisoria profezia ed una confusa rivendicazione di quelle già fatte, che vedere i virologi soppiantati – sulle pagine dei giornali – dagli afganistologi e dai geopolitical strategists mi è quasi dispiaciuto. Ma, come dicevano i romani, majora premunt.

Nella congerie delle analisi sui fatti afgani, mi ha colpito particolarmente l’attenzione dedicata alla questione - tutto sommato laterale - dell’esportabilità (o della inesportabilità) della democrazia, quasi come se tutte le guerre (grandi o piccole) in cui l’Occidente si è coinvolto negli ultimi 30 anni fossero state motivate dal tentativo di, appunto, esportare la democrazia; insomma una sorta di marketing istituzionale dimentico di ogni altro e più complesso contesto. Quasi come se – per andare a qualche decennio prima – le motivazioni della II guerra mondiale fossero state quelle di insediare (o re-insediare) la democrazia in Germania o in Italia e non piuttosto la necessità di fronteggiare la folle aggressività nazi-fascista.

Allora sono andato a ripercorrere alcune fra le (non recenti e non abbondanti) letture nelle quali il tema è stato direttamente affrontato o almeno indirettamente implicato; cito in particolare il (più volte lodatissimo) volume di Fareed Zakaria The future of freedom – Liberal democracy at home and abroad (del 2003) e il poco noto Esportare la democrazia - State-building e ordine mondiale nel XXI secolo (del 2004) di Francis Fukuyama.

Senza essere uno specialista della materia, ho maturato queste personalissime (e quindi più che mai discutibili) opinioni che mi hanno aiutato almeno ad inquadrare il tema (e anche a convincermi della confusione che regna nelle opinioni che si leggono su molti giornali).

Prima di tutto farei una distinzione lessicale: quando si afferma che la democrazia non si esporta, a quale accezione della democrazia ci si riferisce? Alla democrazia funzionale (in buona sostanza al suffragio universale) o – per dirla con Zakaria - al costituzionalismo liberale (in buona sostanza al sistema valoriale che ha a che fare con i diritti liberali, il vero succo della democrazia: rule of law, limitazioni del potere, libertà individuali, economiche, politiche, religiose, di pensiero, di parola, eguaglianza di fronte alla legge, etc.)?

Capisco che solo l’uso della parola liberale possa turbare le “menti” di molti dei nostri politicanti (specie se geneticamente ossessionati dalla ricerca del consenso), ma credo che nemmeno a loro dovrebbe sfuggire che l’esportazione della sola democrazia funzionale – ove fosse la motivazione vera di tanti dei recenti eventi guerreschi e non un loro sottoprodotto forse propagandisticamente fascinoso – sarebbe un esercizio vacuo ed anzi, in sé, potenzialmente dannoso: sarebbe cioè l’applicazione di un metodo (di selezione della classe dirigente) senza alcun riferimento ad un fine (quello, appunto, liberale, come sopra molto sommariamente declinato); un po' come applicare il metodo del pedalare senza poter controllare il manubrio della bici: si pedala (e può anche far bene) ma non si sa in quale direzione.

Poi c’è la questione dei pilastri dello stato (su questo Fukuyama si diffonde ampiamente): le funzionalità economiche e quelle della pubblica amministrazione, la struttura (accentrata o decentrata) di questa, l’autonomia della amministrazione della giustizia, il sistema fiscale e quello di welfare, etc..

Senza questi pilastri lo stato – liberale nei fini e democratico nei mezzi – facilmente vacilla; e né il costituzionalismo democratico né – tantomeno – la democrazia funzionale diverrebbero efficaci (senza por mano alla solidità di almeno alcuni di questi pilastri, nei tempi che una riforma dello stato può implicare).

Dunque, per non dilungarmi troppo, mi parrebbe di poter dire che la democrazia che l’Occidente potrebbe anche aspirare ad esportare (o che ha concretamente aspirato ad esportare nel contesto di altre – e più cogenti – ragioni per l’uso della forza) non è certamente quello della sola democrazia funzionale. Ciò che – a mio debole parere – l’Occidente non solo potrebbe ma dovrebbe porre a base del suo ….marketing istituzionale è la grandezza dei valori liberali che costituiscono il fine della democrazia (e rispetto ai quali la democrazia funzionale è un semplice metodo, da solo assolutamente cieco, almeno nel breve e medio termine). E lo dovrebbe perché l’Occidente avrebbe ragione di essere orgoglioso di tali valori che, a partire dalla rivoluzione del Cristianesimo (che Fareed Zakaria pone all’origine della storia della libertà), hanno fatto sviluppare, pur in mezzo a tante cadute, la sua civiltà.

Che poi il metodo di questo marketing istituzionale (e valoriale) non possa né debba essere quello delle armi è cosa che nessuna persona di minimo buon senso potrebbe negare. Ma  – come dicevo e checché possa essere anche stato detto a supporto di interventi militari – non credo che il marketing istituzionale (e men che meno valoriale) sia mai stato il vero fine del ricorso alla forza (che talora, non dimentichiamolo, può di fatto risultare inevitabile).

Roma 21 agosto 2021

 

 


 

domenica 8 agosto 2021

Emozioni estive

 La messa di Neghelli

(di Felice Celato)

Oggi, essendo domenica ed avendone – grazie a Dio – l’abitudine, ho partecipato ad una Messa…. in provincia. Dopo forse un anno continuato (complice il Covid ma anche una certa senile odofobia, il fastidio per i viaggi, Reiseangst, credo direbbe Freud), dopo forse un anno continuato, dicevo, di solenni Messe nella magnifica Chiesa Romana del Gesù (con tutto il contorno solenne, misurato, curato e colto dell’ambiente Gesuita) ho partecipato ad una messa…in provincia, a Neghelli, piccolo sobborgo di Orbetello, piccolo paese (una volta di pescatori, oggi forse prevalentemente di operatori del turismo) sulla laguna di fronte al Monte Argentario. Il “contorno” qui non poteva essere più diverso da quello per me abituale da quasi un ventennio. Una chiesa moderna, direi semplice e quasi spoglia; un ambiente umano assai differente da quello “colto” e forse “borghese” (o, se si vuole, “radical chic”) dei “clienti dei Gesuiti” (ironico o forse sarcastico copyright di matrice gesuita, naturalmente), che confluiscono ogni domenica al centro per ascoltare il predicatore – diciamo – “famoso” e, comunque, sempre interessante (anche quando fustiga con furia i fedeli); un “pretino” giovane (non credo abbia 30 anni!); una predica breve e sensata (un solo concetto nient’affatto banale: il miracolo come forma quotidiana della “conoscenza” di Dio); un uditorio piccolo (una quarantina di persone), tutto di residenti (io e mia moglie eravamo forse gli unici “ospiti” della comunità locale); un piccolo coro (due uomini e due donne, bravissimi!); tante comunioni quanti erano i fedeli.

La Messa, come sa bene ogni pio cattolico, è la stessa – nel suo significato intrinseco – ovunque la si partecipi; ma la messa di Neghelli sul finire mi ha lasciato un’emozione particolare, forse “scandalosa” se giudicata secondo correnti (e talora interessate) vulgate: la Chiesa c’è! C’è, forse di nuovo pusillus grex di fronte allo Zeitgeist, frammezzo al suo popolo, col suo eterno messaggio (al riparo dalle mode dei tempi, più piccola e nascosta di un tempo ma non meno “fedele”), con la sua capacità di parlare ai milieux sociologici più diversi, con messaggi profondi, con sensi perenni e preziosi per tutti, sottratti alla “logica democratica” dei numeri ed ascritti all’ “economia della salvezza”!

Confesso che – se è consentito così esprimersi – la Messa di Neghelli mi è stata emozionalmente “utile”; mi ha consolato e sottratto alle mie meditazioni sconfortate di questi tempi: pensate che – complice una ennesima rilettura di un paio di libri del “ciclo americano” di Isaac B. Singer, Ombre sull’Hudson e Anime perdute – mi ero abbandonato alla ruminazione di un noto “aforisma” di Kant: “dal legno storto di cui è fatto l’uomo non si può fabbricare nulla che sia veramente dritto”; concetto forse “triste”, specie se misurato sulla scala dei nostri orgogli di specie, ma in fondo non molto lontano da quello incastonato al centro di un antico inno allo Spirito Santo: sine Tuo numine, nihil est in homine, nihil est innoxium

E – se posso esprimermi così in un “luogo” anche minimamente mediatico ma frequentato anche da “laici” – lo Spirito Santo mi è parso presente nella chiesa di Neghelli, in una piccola comunità di fedeli di un piccolo paese della Maremma, a ricordarci che senza di Lui non possiamo fare nulla (o, per venire alle mie ruminazioni, senza di Lui possiamo solo fare il nulla, come è del resto naturale per il legno storto della nostra umanità). 

Orbetello, 8 agosto 2021, san Domenico Guzman