Nostalgia dei virologi
(di Felice Celato)
In questo (sotto molti profili) caldissimo periodo agostano ho sentito una grande nostalgia dei virologi. Mi ero così tanto abituato a leggere ogni giorno una nuova provvisoria profezia ed una confusa rivendicazione di quelle già fatte, che vedere i virologi soppiantati – sulle pagine dei giornali – dagli afganistologi e dai geopolitical strategists mi è quasi dispiaciuto. Ma, come dicevano i romani, majora premunt.
Nella congerie delle analisi sui fatti afgani, mi ha colpito particolarmente l’attenzione dedicata alla questione - tutto sommato laterale - dell’esportabilità (o della inesportabilità) della democrazia, quasi come se tutte le guerre (grandi o piccole) in cui l’Occidente si è coinvolto negli ultimi 30 anni fossero state motivate dal tentativo di, appunto, esportare la democrazia; insomma una sorta di marketing istituzionale dimentico di ogni altro e più complesso contesto. Quasi come se – per andare a qualche decennio prima – le motivazioni della II guerra mondiale fossero state quelle di insediare (o re-insediare) la democrazia in Germania o in Italia e non piuttosto la necessità di fronteggiare la folle aggressività nazi-fascista.
Allora sono andato a ripercorrere alcune fra le (non recenti e non abbondanti) letture nelle quali il tema è stato direttamente affrontato o almeno indirettamente implicato; cito in particolare il (più volte lodatissimo) volume di Fareed Zakaria The future of freedom – Liberal democracy at home and abroad (del 2003) e il poco noto Esportare la democrazia - State-building e ordine mondiale nel XXI secolo (del 2004) di Francis Fukuyama.
Senza essere uno specialista della materia, ho maturato queste personalissime (e quindi più che mai discutibili) opinioni che mi hanno aiutato almeno ad inquadrare il tema (e anche a convincermi della confusione che regna nelle opinioni che si leggono su molti giornali).
Prima di tutto farei una distinzione lessicale: quando si afferma che la democrazia non si esporta, a quale accezione della democrazia ci si riferisce? Alla democrazia funzionale (in buona sostanza al suffragio universale) o – per dirla con Zakaria - al costituzionalismo liberale (in buona sostanza al sistema valoriale che ha a che fare con i diritti liberali, il vero succo della democrazia: rule of law, limitazioni del potere, libertà individuali, economiche, politiche, religiose, di pensiero, di parola, eguaglianza di fronte alla legge, etc.)?
Capisco che solo l’uso della parola liberale possa turbare le “menti” di molti dei nostri politicanti (specie se geneticamente ossessionati dalla ricerca del consenso), ma credo che nemmeno a loro dovrebbe sfuggire che l’esportazione della sola democrazia funzionale – ove fosse la motivazione vera di tanti dei recenti eventi guerreschi e non un loro sottoprodotto forse propagandisticamente fascinoso – sarebbe un esercizio vacuo ed anzi, in sé, potenzialmente dannoso: sarebbe cioè l’applicazione di un metodo (di selezione della classe dirigente) senza alcun riferimento ad un fine (quello, appunto, liberale, come sopra molto sommariamente declinato); un po' come applicare il metodo del pedalare senza poter controllare il manubrio della bici: si pedala (e può anche far bene) ma non si sa in quale direzione.
Poi c’è la questione dei pilastri dello stato (su questo Fukuyama si diffonde ampiamente): le funzionalità economiche e quelle della pubblica amministrazione, la struttura (accentrata o decentrata) di questa, l’autonomia della amministrazione della giustizia, il sistema fiscale e quello di welfare, etc..
Senza questi pilastri lo stato – liberale nei fini e democratico nei mezzi – facilmente vacilla; e né il costituzionalismo democratico né – tantomeno – la democrazia funzionale diverrebbero efficaci (senza por mano alla solidità di almeno alcuni di questi pilastri, nei tempi che una riforma dello stato può implicare).
Dunque, per non dilungarmi troppo, mi parrebbe di poter dire che la democrazia che l’Occidente potrebbe anche aspirare ad esportare (o che ha concretamente aspirato ad esportare nel contesto di altre – e più cogenti – ragioni per l’uso della forza) non è certamente quello della sola democrazia funzionale. Ciò che – a mio debole parere – l’Occidente non solo potrebbe ma dovrebbe porre a base del suo ….marketing istituzionale è la grandezza dei valori liberali che costituiscono il fine della democrazia (e rispetto ai quali la democrazia funzionale è un semplice metodo, da solo assolutamente cieco, almeno nel breve e medio termine). E lo dovrebbe perché l’Occidente avrebbe ragione di essere orgoglioso di tali valori che, a partire dalla rivoluzione del Cristianesimo (che Fareed Zakaria pone all’origine della storia della libertà), hanno fatto sviluppare, pur in mezzo a tante cadute, la sua civiltà.
Che poi il metodo di questo marketing istituzionale (e valoriale) non possa né debba essere quello delle armi è cosa che nessuna persona di minimo buon senso potrebbe negare. Ma – come dicevo e checché possa essere anche stato detto a supporto di interventi militari – non credo che il marketing istituzionale (e men che meno valoriale) sia mai stato il vero fine del ricorso alla forza (che talora, non dimentichiamolo, può di fatto risultare inevitabile).
Roma 21 agosto 2021
Nessun commento:
Posta un commento