giovedì 28 giugno 2012

Senza grilli per la testa


Il Censis e “le uscite possibili”
(di Felice Celato)
A conclusione di un interessante ciclo di analisi sulla società italiana e suoi attuali (gravissimi) problemi, il Censis ha organizzato una seduta di dibattito sulle uscite possibili dall’attuale fase della profonda crisi finanziaria, economica, sociale, culturale (ed antropologica) in cui si dibatte il nostro Paese. Al (troppo affollato) dibattito hanno partecipato, oltre a Giuseppe De Rita e Giuseppe  Roma (rispettivamente Presidente e Direttore del Censis stesso), i giornalisti Giuliano Ferrara e Massimo Franco, e i “grandi  saggi” dello Stato Giuliano Amato, Antonio Pedone e Mario Sarcinelli.

Il tema di fondo su cui si sono esercitati i relatori è stato posto dal Censis essenzialmente con riferimento al peso ormai chiaramente insopportabile del debito pubblico italiano.
Pare di capire (nell’ambito del dibattito ne ho avuto qualche evidenza) che ormai venga percepito più o meno da tutti, finalmente, che il problema patrimoniale dello Stato (troppo debito rispetto alla ricchezza prodotta annualmente, cioè al prodotto interno lordo)  necessita di una soluzione urgente di natura diversa da quella che è sottesa alle scelte, direi di natura economico-gestionale, fin qui operate dal Governo (un rientro di lungo periodo dal debito, sull’assunto che maggiori tasse per diversi anni e un maggior rigore permanente sulla spesa valgano ad accompagnare il debito lentamente verso livelli ritenuti accettabili, 90-100% del PIL attorno al 2020). In altri termini, pare ormai diffondersi la percezione che il problema della struttura patrimoniale dello Stato esiga, invece, una soluzione patrimoniale (sia che si tratti di un’imposta patrimoniale, ormai forse “bruciata” dalle troppe tasse caricate sui redditi dei cittadini, o di una massiccia dismissione di altri asset dello Stato per convertire le “ricchezze” di Stato – e quindi dei cittadini – in fondi necessari a ridurre significativamente, in un solo colpo, i debiti dello Stato – e quindi dei cittadini), magari seguita, in ambiente di spesa “risanato”, da una sensibile riduzione del carico fiscale sui redditi dei cittadini.
E’ inutile rivangare il perché il Governo abbia scelto la strada del rientro progressivo (difficoltà di implementazione, “veti” politici, etc); è un fatto che ormai si va facendo strada la convinzione che, senza una “spallata” al debito pubblico, ben difficilmente l’Italia riuscirà a risollevarsi dallo stato di decozione economico-finanziaria e di debolezza politico-istituzionale in Europa e sui mercati finanziari (il che, per la verità, a me era chiaro da molto tempo).
Si dice – lo accennavo poco fa – che ormai, adottata la via delle tasse patrimoniali a rate (l’IMU, i superbolli, etc) e dei cento balzelli sui redditi ben difficilmente sarebbe tollerabile una nuova tassa generale sul patrimonio: prendiamo per buona questa tesi (anche se, essendo stata approvata la riforma delle pensioni, nulla vieterebbe di abolire, con un’unica legge, tutti i balzelli introdotti nell’ultimo anno, di sostituirli con una patrimoniale secca pesante e di ridurre contemporaneamente le imposte sui redditi in misura pari all’economia di interessi che conseguirebbe, direttamente ed indirettamente, al rimborso “una tantum” del debito pubblico in eccedenza).
Resta allora (anche senza volerla collegare con una manovra fiscale, come a me tuttora sembrerebbe possibile)  l’altra “classica” soluzione patrimoniale, la vendita di beni dello Stato (immobili, partecipazioni, etc), magari – per fare da ponte sulle attuali difficoltà dei mercati azionari e immobiliari – “parcheggiando” tali asset in uno o più fondi temporaneamente rilevati da Cassa Depositi e Prestiti e da collocare nel tempo, se del caso anche tramite swap con titoli di Stato detenuti dal mercato.
Bene. Occorre, secondo me, incoraggiare questa linea d’azione, ora intravista anche dal Governo, non solo spazzando via perplessità ideologiche d’annata, ma soprattutto spiegando chiaramente l’alternativa sul piatto: alte tasse e depressione perduranti, soprassalti dei tassi di interesse, rischi di mancato rinnovo dei titoli di Stato in scadenza, ruolo debole dell’Italia in Europa, etc.
Credo che i partiti, ansiosi di uscire dal loro purgatorio, farebbero bene a pensarci, piuttosto che sparare insulsaggini bieco-populiste come quella che l’uscita dall’euro sarebbe un affare per l’Italia. La paura di Grillo non deve generare altri grilli…per la testa, chè di teste vuote in attesa di grilli ce n’è già abbastanza!
Vedremo cosa viene fuori dal famoso vertice europeo di questi giorni. Ma piuttosto che sperare in un cambiamento delle posizioni tedesche (in larga parte, secondo me, fondate), vedrei bene l’impegno a dimostrare coi fatti che anche da soli siamo in grado di affrontare con decisione i nostri problemi.
Roma, 28 giugno 2012

sabato 16 giugno 2012

Stupi-diario economico


Capire di che si tratta: “vasto programma!”
(di Felice Celato)
Leggo (Il sole 24 ore del 13 giugno, pagina 2) che secondo i dati consuntivi e le previsioni di importanti banche internazionali il famoso rapporto Debito Pubblico / PIL passerebbe a fine 2014 al 137%, secondo la seguente tendenza:
2010     118,6 %
2011     120,1 %
2012     121,0 % (stima Morgan Stanley)
2014     137,0 % (stima Citigroup)
Supponiamo che la stima Citigroup possa essere esagerata (le cifre del governo sono senz’altro più favorevoli, ma non per questo più rassicuranti); è certo però – che come da tempo è chiaro a (quasi) tutti – che il problema dello stock del debito pubblico (anche per effetto della contrazione del PIL) è il problema di questo Paese, come, del resto anche la cancelliera tedesca ha ribadito qualche giorno fa (e del resto, pur convinti della teutonica rigidità della Merkel, come si fa a darle torto? Se gli Italiani non mettono mano alle loro ricchezze per tamponare il loro debito, perché dovrebbero farlo i Tedeschi accollandosi una parte del nostro debito?)
E il governo – che certamente se ne rende conto – vista la difficoltà di conciliare misure a breve per contenere la crescita del debito con le esigenze di crescita economica (o meglio, come ha detto benissimo Bersani a Otto e mezzo qualche giorno fa: di contenimento della recessione) si è (finalmente) deciso ad affrontare il nostro problema patrimoniale con una soluzione patrimoniale (in questo caso, la vendita di asset dello Stato, temporalmente “mediata” attraverso la costituzione di appositi fondi per il collocamento di immobili e partecipazioni – per ora – di Enti Locali), la cui necessità ed urgenza ci erano molto chiare già molti mesi fa.
Ottimo, ancorché senza dubbio si sarebbe potuto e dovuto partire prima: solo con una “spallata” al debito pubblico si può risolvere un problema che altrimenti ci porteremmo dietro per altri decenni, durante i quali i cittadini sarebbero continuamente “vessati” da una pressione fiscale depressiva ed insopportabile.
E allora che fa il responsabile dell’ economia del PD, onorevole Fassina? Salta fuori con un clamoroso “altolà”, come dicono i banalizzatori del parlare: "Un conto è valorizzare e vendere una parte degli immobili pubblici, che non sono essenziali alle funzioni dello Stato e gli enti territoriali devono svolgere, un altro è vendere le partecipazioni nelle poche grandi imprese statali che abbiamo
Poi, però, (leggo su 24Notizie.com del 15 giugno)  fortunatamente Fassina ha  aggiunto che si vuole "capire di che cosa si tratta". Vasto programma, direbbe De Gaulle!
Lo dico col massimo della presunzione consentito dalla serietà e dalla complessità della situazione: senza abusati veti ideologici, occorre fare in fretta e molto di più, se del caso usando anche l’oro della Banca d’Italia, per abbattere decisamente il debito pubblico: abbiamo capito di cosa si tratta? O abbiamo ancora bisogno che qualcuno ce lo spieghi in qualche asta dei titoli di Stato?

Roma 16 giugno 2012


mercoledì 13 giugno 2012

Una lettura inquietante


Letture "vaticane"
(di Felice Celato)
Per gentile prestito fattomene da un amico, ho letto con attenzione il libro di Gianluigi Nuzzi: Sua Santità (Chiare Lettere Editore) dal quale ricavo tre considerazioni, in diverso modo forse destinate ad apparire fra loro contraddittorie.
La prima: la rappresentazione dell’ambiente curiale che ne emerge sia pure, secondo me, con qualche forzatura dell’interprete, è veramente impressionante. E mortificante per un uomo di Chiesa.
La seconda: Proprio come fedele, non ne sono però sconvolto più di tanto. La Chiesa è fatta di uomini e gli uomini sono quello che sono; non è a questo impasto umano che va il riferimento di chi crede nella Chiesa. Né credo che quanto rappresentato, che rimane comunque impressionante, sia nuovo o più grave di quanto altre volte si è manifestato nella storia (terrena) della Chiesa.
La terza, e più generale, più che una considerazione è una serie di domande, fra loro concatenate: leggendo, sia pure con innegabile interesse, carte sottratte con inganno da chi le ha messe a disposizione del giornalista, ho provato una sorta di istintivo pudico ritegno, come si avrebbe se, per avventura, ci capitasse di far cadere gli occhi su un’altrui nudità, carpita all’insaputa di chi è osservato. E mi sono chiesto: ma, la cosiddetta trasparenza (in questo caso forzata), il denudamento dei pensieri attraverso i quali gli uomini (e le istituzioni) orientano le proprie azioni, è un valore da tutelare, sempre? E’ un bene che ciascuno sappia che cosa ha pensato, confidato, detto, scritto, considerato chi, alla fine di un percorso mentale o dialettico, assume una decisione? Non troveremmo addirittura lascivo se una psicopolizia di Orwelliana memoria rivelasse che pensieri ho avuto (e gli atti interni di un’istituzione sono gli equivalenti dei pensieri intimi di un uomo prima che questo si determini ad agire) quando mi sono formato un’opinione su una persona o su un fatto? Perché siamo così avidi di questa trasparenza che ci fa stare qualche ora a leggere interna corporis acta, che altrimenti, magari, ci apparirebbero noiosi carteggi burocratici? C’è forse, in questa curiosità, un intento distruttivo, demolitore, nihilista, quasi come se gli arcana imperii, svelando di che lacrime grondi e di che sangue ogni umano potere, siano una chiave per disconoscerlo, negandone anche la necessità o anche solo la legittimità? E’, insomma, questa nostra avidità di trasparenza, una forma tutta mentale di distruttiva anarchia, uno strumento di inconscio e progressivo logoramento  di ogni principio di autorità e di autorevolezza? E' la Chiesa che "catalizza" queste attenzioni o la stessa cosa potrebbe accadere a qualsiasi altra istituzione, pubblica o privata (una banca, un'azienda o, che so, la redazione di un giornale)? E se è la Chiesa, perché?
Non ho risposte che non mi appaiano, quasi tutte, per qualche verso insoddisfacenti; solo un forte disagio, come fedele ma in fondo anche come uomo.
Roma 13 giugno 2012

domenica 10 giugno 2012

Nuove ragioni di dilaniamento civile


Unioni omosessuali?
(di Felice Celato)
Eccomi qua, sempre sconfortato ma  (purtroppo) non distratto.
Pare, dico pare, che fra le tante priorità del Paese (debito pubblico, depressione economica, infrastrutture civili come giustizia e burocrazia, spending review,  spesa sanitaria, criminalità diffusa, depressione sociologica, riforma elettorale, revisione degli assetti costituzionali, etc), il PD stia avviandosi a dilaniarsi su un tema che a me pare molto ma molto laterale e che invece a Bersani pare urgente e, forse, anche aggregante (e, direbbe Shakespeare, Bersani è uomo d'onore!): le unioni omosessuali.
Non avendo familiarità culturale col tema, ho provato a rileggere un documento che, nella sua problematicità, mi pare apra uno spiraglio per il depotenziamento della questione, un depotenziamento che potrebbe risultare utile per contenere la marea montante della confusione mentale. E poiché penso che quos Deus perdere vult, prius dementat mi affanno a pensare se c’è una via per verificare se Dio ha proprio deciso di perderci (e in questo caso tanto varrebbe abbandonarsi alla follia e scendere in strada gridando: Viva Pippo, Pluto e Paperino!), cercando di non perdere la testa (anche) su questo tema.
Il documento (Riconoscere le unioni omosessuali? ) non è freschissimo (Aggiornamenti Sociali del giugno 2008) e, credo, in seguito rivisitato sulla stessa rivista, ma, a mio parere può essere utile, così com’è, per riflettere senza scannarsi su un tema, ripeto, in fondo tanto poco urgente.
In sostanza, conclude la rivista dei pp. Gesuiti dopo un’ampia discussione del tema, “il riconoscimento giuridico del legame tra persone dello stesso sesso, quale presa d’atto di relazioni già in essere, trova la sua giustificazione in quanto tale relazione sociale concorre alla costruzione del bene comune. Prendersi cura dell’altro, stabilmente, è forma di realizzazione del soggetto e al tempo stesso contributo alla vita sociale in termini di solidarietà e condivisione. Ed è proprio per questa relazionalità che il legame tra persone dello stesso sesso, così come avviene per altre forme di relazione sociale, può essere garantito, non nella forma di un privilegio concesso in funzione della particolare relazione sessuale, ma nel riconoscimento del valore e del significato comunitario di questa prossimità.
La politica e la norma di legge esauriscono qui il proprio compito, prendendo atto senza ulteriori precisazioni di un legame in essere. Non spetta al legislatore indagare in che modo la relazione viene vissuta sotto altro profilo che non sia quello impegnativo, ma necessariamente generico, dell’assunzione pubblica della cura e della promozione dell’altro e di altri — che assumono tipologie e manifestazioni diverse —, fatto salvo intervenire quando vengano meno il rispetto e la tutela della persona, con danno conseguente. Invaderebbe campi che non le appartengono una scelta politica che volesse stabilire a priori forme accettabili di espressione di quel legame — ad esempio affettiva e sessuale — e in base a esse riconoscere e garantire determinate tutele. Nel riconoscimento dei propri limiti e quindi delle proprie responsabilità la politica e il potere dello Stato mostrano rispetto per le persone e ne riconoscono la priorità. In questo quadro la scelta di riconoscere il legame tra persone dello stesso sesso appare giustificabile da parte di un politico cattolico. Essa rappresenta un’opzione confacente al bene comune, di promozione di un legame socialmente rilevante, di un punto di equilibrio in un contesto pluralista in cui potersi riconoscere, di risposta praticabile a una esigenza presente nell’attuale contesto storico. E ciò senza mettere in discussione il valore della famiglia, evitando così indebite analogie, abusi e pericolosi scivolamenti verso ulteriori pretese. [Il grassetto è degli autori, le sottolineature sono mie.]
Il testo mi pare idoneo a costituire, su questa nuova (?) urgenza (?) che il segretario del PD ha posto, un laico (!) consenso anche da parte di chi, a torto o a ragione, sinceramente o strumentalmente, ma comunque legittimamente, si dichiara portatore di una “visione cattolica del mondo”. Ma, lo immaginano i miei lettori di questi tempi, io non sono ottimista sulla possibilità che non si litighi violentemente anche su questo. Vedremo.
Roma, 10 giugno 2012

martedì 5 giugno 2012

Un profondo (spero temporaneo) sconforto


Cupio dissolvi

Grillismo e, andando indietro, leghismo, giustizialismo, qualunquismo, fascismo, giacobinismo, etc.
Forse esiste, radicato nel fondo del nostro animo e della nostra mente, un recesso ribollente ed opaco nel quale alberga un’insopprimibile tendenza verso la semplificazione sommaria ed irosa, beffarda, insofferente di ogni complessità, impenetrabile al discernimento, avida di colpevolizzazioni e di esecuzioni, clamorosa per natura.
E da questo recesso opaco (che chiamerei la radice del “gridismo”, con allusione certa alla normale tonalità vocale di ogni sua esternazione ma anche alla sua insopprimibile tendenza all’invocazione di nuove “grida”, nel manzoniano senso di nuove norme, brevi e severe, contro i ribaldi del tempo), da questo recesso opaco di tanto in tanto erutta un vulcano di banalismo feroce, che – proprio per la sua naturale radicazione – rapidamente infetta di sé l’ambiente umano col miraggio di giuste soluzioni, vigorose e semplici, per problemi complessi e sfiniti dalla loro stessa difficoltà; e con l’individuazione sommaria di un responsabile semplificato – spesso unitario, per l’essere unico o collettivo – di ogni diffusa iniquità, vera o presunta tale in base ad un’analisi frettolosa e suggestiva che abbia in sé il pregio di apparire chiara ed indiscutibile. 
Se fosse vera questa ipotesi (dell’insondata opacità  di un recesso della nostra mente che ci fa naturalmente proclivi al gridismo) non ci sarebbe da stupirsi delle tentazioni di alcuni nostri politici – a corto di consensi – a rincorrere gli epigoni del gridismo sul loro campo, affacciando di quando in quando strade facili, soluzioni abborracciate (o semplicemente sciocche) o comportamenti irrispettosi, travestiti da  protesta civile.
E, invece, puntualmente ed inutilmente, ci stupiamo; ci stupiamo dell’ex premier che invoca la stampa in proprio di Euro (ride Giannelli, beato lui, con la vignetta dei falsari); ci stupiamo del sindaco di Roma che non va alla festa della Repubblica; ci stupiamo dell’ex ministro degli Interni che dice che le spese per la festa della Repubblica sono “soldi buttati nel cesso”; ci stupiamo che il responsabile economico del PD (che sicuramente di economia e di mercati ne sa molto), il segretario dell’IDV e della Lega invochino a gran voce le elezioni subito; ci stupiamo che il PD pensi ad una lista Gomorra (magari prodomo di una lista Sodoma), che il PdL pensi ad un comico (stavolta di professione) come capolista; ci stupiamo dei sondaggi; ci stupiamo che i partiti si diano da fare per portare consensi a chi gli erode ogni giorno il loro, già declinante per suo conto; ci stupiamo di tante cose – forse troppe – che sembrano guidare di nuovo il Paese nel caos “della dispersione delle idee, delle decisioni e del linguaggio”(come dice De Rita).
E allora, se è radicato dentro di noi così insopprimibilmente, questo recesso ribollente ed opaco che di tanto in tanto riemerge come un melmoso fiume carsico, messo da parte ogni stupore (forse residuo inconsistente di un modo antico e serioso di guardare al mondo), non ci resta che abbandonarci al gridismo. Ma sì, abbandoniamoci anche noi alle parole gridate in libertà, al parlare per parlare, anzi – sempre De Rita – al parlare del parlare, all’opinionismo istantaneo, al gorgo delle grida, al cupio dissolvi di ben più nobile memoria! Lasciamoci definitivamente andare alle onde, deponiamo ogni illusione di riscatto e di dignità, ubriachiamoci di idiozie, prendiamo atto che stiamo vivendo una crisi antropologica….e buona notte! Forse è inutile persino  addolorarsi.

5 giugno 2012

sabato 2 giugno 2012

Stupi-diario inquieto



Domande
(di Felice Celato) 

Non ci va di sorridere in questa buia primavera, come dicevamo l'altro ieri.
Ma, leggendo i giornali, ci vengono alcune (polemiche) curiosità:

Perché se compro una cosa sapendo che è stata rubata sono un ricettatore e, invece, se pubblico un documento rubato, sono un eroe della trasparenza?
[Badate che la risposta politically correct la so già; evitate di darmela o di darvela, le banalità circolano, purtroppo, senza bisogno di ulteriori “portatori sani”.]

Perché il PD invece di rinnovarsi al suo interno per produrre nuovi frutti, immagina di innaffiare i fiori delle aiole circostanti al tronco arido?
[idem, come sopra; a proposito: avete letto l’intervista di Grillo a 7? Va letta, purtroppo.]

Perché nel nostro strano Paese, se succede (ahinoi!) un terremoto in maggio si pensa di annullare la celebrazione della repubblica e se, invece, il terremoto accade in aprile, non si pensa di abolire il 1° maggio?
[idem, come sopra.]

Perché non si vedono sventolare le bandiere un po' stinte dei nostri pacifisti-umanitaristi (prevalentemente) di sinistra di fronte alle stragi del dittatore Siriano?
[Anche qui la risposta la so ma non è nemmeno  politically correct.]

Roma, 2 giugno 2012 (la repubblica sfila senza fanfare)