Letture "vaticane"
(di
Felice Celato)
Per
gentile prestito fattomene da un amico, ho letto con attenzione il libro di
Gianluigi Nuzzi: Sua Santità (Chiare
Lettere Editore) dal quale ricavo tre considerazioni, in diverso modo forse
destinate ad apparire fra loro contraddittorie.
La
prima: la rappresentazione dell’ambiente curiale che ne emerge sia pure,
secondo me, con qualche forzatura dell’interprete, è veramente impressionante.
E mortificante per un uomo di Chiesa.
La
seconda: Proprio come fedele, non ne sono però sconvolto più di tanto. La
Chiesa è fatta di uomini e gli uomini sono quello che sono; non è a questo
impasto umano che va il riferimento di chi crede nella Chiesa. Né credo che
quanto rappresentato, che rimane comunque impressionante, sia nuovo o più grave
di quanto altre volte si è manifestato nella storia (terrena) della Chiesa.
La
terza, e più generale, più che una considerazione è una serie di domande,
fra loro concatenate: leggendo, sia pure con innegabile interesse, carte sottratte
con inganno da chi le ha messe a disposizione del giornalista, ho provato una
sorta di istintivo pudico ritegno, come si avrebbe se, per avventura, ci
capitasse di far cadere gli occhi su un’altrui nudità, carpita all’insaputa di
chi è osservato. E mi sono chiesto: ma, la cosiddetta trasparenza (in questo
caso forzata), il denudamento dei pensieri attraverso i quali gli uomini (e le
istituzioni) orientano le proprie azioni, è un valore da tutelare, sempre? E’
un bene che ciascuno sappia che cosa ha pensato, confidato, detto, scritto,
considerato chi, alla fine di un percorso mentale o dialettico, assume una
decisione? Non troveremmo addirittura lascivo se una psicopolizia di Orwelliana
memoria rivelasse che pensieri ho avuto (e gli atti interni di un’istituzione
sono gli equivalenti dei pensieri intimi di un uomo prima che questo si
determini ad agire) quando mi sono formato un’opinione su una persona o su un
fatto? Perché siamo così avidi di questa trasparenza che ci fa stare qualche
ora a leggere interna corporis acta,
che altrimenti, magari, ci apparirebbero noiosi carteggi burocratici? C’è forse,
in questa curiosità, un intento distruttivo, demolitore, nihilista, quasi come
se gli arcana imperii, svelando di che lacrime grondi e di che sangue
ogni umano potere, siano una chiave per disconoscerlo, negandone anche la
necessità o anche solo la legittimità? E’, insomma, questa nostra avidità di
trasparenza, una forma tutta mentale di distruttiva anarchia, uno strumento di inconscio e
progressivo logoramento di ogni
principio di autorità e di autorevolezza? E' la Chiesa che "catalizza" queste attenzioni o la stessa cosa potrebbe accadere a qualsiasi altra istituzione, pubblica o privata (una banca, un'azienda o, che so, la redazione di un giornale)? E se è la Chiesa, perché?
Non
ho risposte che non mi appaiano, quasi tutte, per qualche verso insoddisfacenti; solo un
forte disagio, come fedele ma in fondo anche come uomo.
Roma 13 giugno 2012
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