martedì 30 agosto 2011

La politica ed il popolo

Letture d’estate



(di Felice Celato)


Segnalo ai lettori due libri apparentemente molto diversi fra loro, per natura, epoca, taglio e finalità, ma in realtà entrambi focalizzati, con intenti diversi, sul rapporto fra le masse e la politica.


Cominciamo dal più vecchio e corposo: Massa e potere di Elias Canetti (Adelphi) ; si tratta di un testo direi più di antropologia che di sociologia, finito molti anni fa (1960) ma dopo un lungo periodo di “incubazione” e di meditazione durato 40 anni. Esso raccoglie la minuziosa analisi diacronica svolta da Elias Canetti sulla morfologia e la dinamica delle masse, còlte nel loro manifestarsi nei più disparati contesti storici ed antropologici, e del potere che ad esse si rapporta. Un testo molto esteso (quasi 600 pagine, molto dense) e complesso, scritto benissimo, non tanto per esporre una tesi ma per vivisezionare con grande acume il lato oscuro della formazione delle comunità umane e dei loro miti. Una lettura molto impegnativa, impossibile da sintetizzare, ma vivificata dalla penna di un grande scrittore, di straordinaria cultura e di grande sensibilità, forse fortemente impressionato dalla dinamica delle masse che ha caratterizzato gli –ismi a cavallo delle due guerre.


Veniamo alla seconda segnalazione: L’Umiltà del male,un libro (stavolta piccolo per estensione, nemmeno 100 pagine) appena uscito (editore Laterza) dalla penna di un sociologo italiano (Franco Cassano), incline a sintesi politico-etiche, mi pare di poter dire, di alto taglio civile. Qui è più facile delineare una sintesi (sia pure estrema) della tesi che innerva la colta trattazione: il tema di fondo è tratto da una suggestiva rilettura della Leggenda del Grande Inquisitore, un ben noto capitolo de I Fratelli Karamzov, nel quale viene narrata la contrapposizione fra un silenzioso Cristo ed un Grande Inquisitore (siamo nella Spagna del ‘500), nella quale quest’ultimo “processa” il Cristo come fondatore di un purismo etico aristocratico, buono per i pochi santi che suscita ma assolutamente inidoneo a porsi al livello delle masse, della loro insanabile immaturità e fragilità, della loro domanda di indulgenza e di mediocre felicità. Il Grande Inquisitore è dunque il cinico conoscitore delle masse che su questa cruda valutazione dei popoli fonda la dignità del suo potere direi “burocratico”, abbandonando ogni interesse per le ristrette conventicole dei puri.


Da qui, passando anche attraverso una sintesi di un più moderno e, per certi aspetti, omologo dibattito fra Adorno e Gehlen e di un crudo libro di Primo Levi (I sommersi e i salvati), si diparte una critica serrata ma serena all’atteggiamento di narcisismo etico che finisce per lasciare campo “politico” al dominio dei nuovi Grandi Inquisitori che da sempre sanno “che i confini fra il bene e il male non sono nitidi e prova(no) a costruire una zona grigia, dove offr(ono) complicità e convenienze, che spingano gli uomini ad optare per (loro), ad accettarne la protezione e il potere….per mantenere gli uomini in uno stato di perenne immaturità, come se fossero bambini. Ed i mezzi possono essere i più diversi: se nella Leggenda il Grande Inquisitore esalta il miracolo, il mistero e l’autorità, oggi (i Nuovi Grandi Inquisitori) offrirebbero anche e soprattutto i consumi, il piccolo divismo dei mediocri, il narcisismo amorale dei reality”.


Difficile non dare una lettura politica e civile alla chiara e colta trattazione che, raccogliendo in sintesi la lezione di visioni apparentemente contrapposte ma non per questo reciprocamente esclusive, conclude: “dobbiamo sperare di avere grande forza morale, ma questa forza non deve mai portarci a liquidare la nostra capacità di parlare con tutti e di provare a capirne le ragioni, a dimenticare l’enorme importanza che ogni esser umano possiede ai propri occhi, a prescindere dal suo grado di perfezione”.


Se non mi sento di raccomandare la lettura di entrambi i volumi, mi piace però sottolineare la grande lezione civile e morale del secondo, la sua attualità e la sua attenta visione integrata del fare politico e sociale. Un ottimo libro.


30 agosto 2011














giovedì 25 agosto 2011

"Stupi-diario": Opinionismo istantaneo

Le ferie non serene del nostro “Stupi-diario”
(di Felice Celato)

Non che siano mancati, nemmeno in quest’estate tumultuosa ed angosciosa, ragioni di stupore ed anche ragioni per qualche (amaro) sorriso sulle cose che ci siamo sentiti dire. Se avessimo voluto tenerne il conto, non sarebbero bastati quotidiani aggiornamenti della nostra rubrichetta “Stupi-diario”. Sarebbe stato sufficiente porre a raffronto le cose che molti dei nostri (lungimiranti!) politici andavano dicendo non trenta anni fa e nemmeno tre anni fa ma magari tre mesi fa o poco più di tre settimane fa: l’Italia sta meglio degli altri Paesi, ora abbassiamo le tasse, i nostri conti sono in ordine (che cosa vorrà dire questa frase per un paese che ha 1900 miliardi di euro di debito non l’ho mai capito!), non c’è bisogno di alcuna manovra, le nostre azioni politiche trovano il plauso di tutti, anzi il nostro sistema pensionistico verrà preso a modello anche da altri, etc.etc nel senso “Tutto va bene Madama la Marchesa” e chi non è d’accordo è un menagramo ed un comunista!
Ma, ancora una volta, come a luglio scorso, non ne abbiamo avuto voglia, nemmeno di sorridere. Diceva un mio vecchio e glorioso capo, che sta meglio chi prevede con chiarezza dove si vada a sbattere il muso rispetto a chi, invece, non se l’aspetta (di sbattere il muso) e va avanti nell’illusione che comunque l’inutile belletto di cui si è coperto la faccia lo preservi da ogni male. Non ostante ciò, avendo avuto da tempo chiarezza sull’impatto, sentiamo con durezza la botta e abbiamo perso un po’ delle nostre propensioni al sorriso. Anche amaro.
Sullo sfondo di quest’Italia di terza classe, ci pare invece opportuno cercare di guardare in avanti, sforzandoci di cogliere in anticipo, nei discorsi di questi giorni, alcuni problemi che, temo, necessariamente dovremo affrontare presto. Non parlo –ora – delle conseguenze dirette della manovra d’emergenza nella sua ennesima edizione, che pure saranno pesanti (per quanto necessarie); parlo invece di ciò che, mi pare, si va pericolosamente costruendo attorno, in parte inevitabilmente in parte inconsciamente.
Vengo al tema: il disdoro della politica è grave e l’anti-politica avanza a grandi passi, gonfia del carburante che la nostra classe dirigente ha accumulato con larghezza per un simile processo. Non possiamo dire che il fenomeno sia inaspettato né nuovo (ci siamo già passati circa vent’anni fa e forse anche molti anni prima) né che sia difficile intravvederne le (molte) esche e le (pericolose) dinamiche che non hanno mai portato bene al nostro Paese né, credo, porterebbero bene a nessuna altra democrazia nel mondo ( la democrazia rappresentativa postula la necessità di instaurare un certo rapporto di fiducia fra il delegante ed il delegato; senza di che non c’è democrazia rappresentativa).
Temo però che, stavolta, il fenomeno possa trarre ulteriore alimento dal contesto nuovo reso possibile dalla diffusione non tanto (o non solo) dei cosiddetti social networks, che pure tanto spesso pullulano di cinguettanti emotività, ma soprattutto dall’opinionismo istantaneo che si esprime attraverso sms o attraverso gli interventi in voce (naturalmente da cellulare, cosicché si possano fare anche dalla spiaggia) sempre di più sollecitati da trasmissioni di “approfondimento” (sic!) che vorrebbero partire dall’opinione della “gente”: così dilagano opinioni incontrollate, immeditate e sommarie, suggestive e per certi aspetti liberatorie del rancore che è in ciascuno di noi, senza che nessun gestore della trasmissione riesca ad arginare efficacemente la marea montante del rancore banalizzato. E anche i commentatori “informati” che sarebbero chiamati in trasmissione a favorire la formazione di un’opinione più meditata non rifuggono (quasi mai) dallo schema retorico di partire, col loro commento, dando sommariamente ragione allo sfogo ascoltato anche quando questo è chiaramente una irresponsabile stupidaggine.
Così si accumulano fragili opinioni cialtronesche, affascinanti e diffusive perché semplici, superficialmente condivisibili e per di più in qualche modo fruitrici di una certa aura di autorità (l’hanno detto anche alla radio o alla televisione!) che ancora il mezzo attribuisce indistintamente ad ogni voce che diffonde; così si fonda il pabulum di quell’esiziale populismo (di cui abbiamo già parlato in un post di aprile scorso) che ha bisogno di un popolo educato ad immaginare che esistano sempre soluzioni facili a problemi complessi.
Una volta, se un asino ragliava lo si poteva sentire anche a cento metri di distanza e magari sull’aia del vicino anche un altro asino si metteva a ragliare; ma il clamore restava circoscritto e nella collina vicina le altre aie restavano quiete. Oggi non è più così e molti asini possono ragliare insieme collegandosi virtualmente e facendosi il controcanto a vicenda in un concerto assordante che mette a repentaglio la capacità di ascoltare altre cose.
E così, temo, si crea e si diffonde una miscela di irresponsabilità e rancore banalizzato che non può portare a nulla di buono nel contesto difficile che dovremo attraversare in autunno e in inverno: ci sono già tante ragioni di scontento e di ansia in questa stagione buia della nostra storia per abbandonare la speranza di poterne uscire, magari con una classe politica nuova, ma senza passare per le strade dolorose (e pericolose) a cui portano inevitabilmente il rancore, il disprezzo indistinto,la sfiducia sistematica, la rabbia irriflessiva.

Roma, 25 agosto 2011



sabato 20 agosto 2011

Ipertrofia del presente e risveglio d'agosto

(di Felice Celato)
Credo che non sfugga a nessuno, nemmeno a chi voglia guardare con occhi pietosi alle vicende del nostro povero Paese, che l’Italia ha scelto da tempo, fors’anche senza rendersene conto, di porsi al di fuori dei grandi flussi culturali e politici dei tempi che corrono: mentre il mondo si affanna ad individuare e ricomporre nuovi equilibri economici e sociali in dimensione planetaria, mentre le politiche dei singoli paesi sperimentano gli effetti delle cessioni di sovranità che storia e mercati impongono ormai a tutti (ovviamente per primi ai paesi europei che, in maniera lungimirante, le hanno anche volute), mentre le pressioni demografiche affacciano l’ urgenza di soluzioni eticamente sostenibili prima ancora che economicamente e socialmente, noi da molto tempo ormai abbiamo scelto la strada di un folle presentismo, un senso cieco del presente còlto nella sua dimensione intra-elettorale (orizzonte fisso: le elezioni successive), dimentico di ogni responsabilità verso il futuro, prima ancora che ignaro della nostra storia e delle nostre vocazioni spirituali.



E allora per anni ci siamo baloccati con grossolane semplificazioni della realtà, buone per alimentare l’ideologia populista che produce frutti avvelenati (si veda il nostro post del 16 aprile ultimo scorso: Populismo), come per una legge di Gresham applicata al mondo delle idee: le idee cattive cacciano dal mercato quelle buone, come avveniva delle monete. Così il padanismo è diventato un sentimento, l’ anti-europeismo un riflesso condizionato, l’ ostilità preconcetta e speciosa verso i fenomeni migratori un’arma elettorale e, ad un tempo, una politica perseguita con rozzezza di misure e grossolanità di parole, le condizioni del debito pubblico una fisima dell’Europa burocratica, la vanità di una ridicola autostima è diventata una costante delle nostre autorappresentazioni, la fatuità uno stile di vita, la giocosità irresponsabile è diventata un modo di rapportarci di fronte alla serietà dei problemi. Come Dippold, l’ottico di Spoon River, ma con diverse intenzioni, ci siamo messi le lenti che trasforma(no) tutto il mondo in un giocattolo e ci siamo detti: Molto bene, faremo gli occhiali così!


Il risveglio di agosto nella sua drammaticità, da questo punto di vista, può essere, ancora, benefico: quando manovra di luglio, ri-manovra di agosto e ri-ri-manovra di settembre avranno depositato le scorie di questo confuso malgoverno dei problemi, ci ritroveremo più poveri di valori patrimoniali, più gravidi di problemi, più aspri e rabbiosi, forse più soli. Ma almeno la sveglia sarà, speriamo, suonata (e, ancora speriamo, senza bisogno di scossoni violenti) per questo nostro antico, tenace e gioioso popolo, capace di geniali adattamenti e, talvolta, di sforzi inauditi.


L’Italia, voglio sperare, è migliore dei suoi politicanti, superficiali, talora grossolani e spesso mendaci. Occorre ritrovare subito le strade abbandonate per questo lungo sonno della ragione: un europeismo autorevole e credibile, un’apertura al mondo rispettosa e disciplinata con saggezza, un senso profondo del futuro e delle responsabilità intergenerazionali, un sentimento liberale verso mercati aperti e controllati.


Posso sbagliare ma non vedo stagliarsi nella attuale classe politica italiana un leader capace di incarnare tutte insieme queste caratteristiche, che pure avevano costituito la parte migliore della nostra cultura nella storia meno recente; ma l’Italia ne ha di sicuro fra le “riserve” della sua classe dirigente migliore, che si è anche sperimentata con riconosciuto successo sugli scenari europei; e sta ai politici dell’opposizione e, più in generale, agli uomini di buona volontà, liberi e forti (come diceva Don Sturzo, all’indomani della prima guerra mondiale), trovarlo e sorreggerne con lealtà lo sforzo per rifare dell’Italia un paese al passo col mondo nuovo che si appresta attorno a noi. In fondo non sarebbe nemmeno la prima volta che un premier viene scelto al di fuori delle schiere dei partiti (e i precedenti sono confortanti, da Ciampi a Prodi).


Fin qui, lo scenario sperato; non sfuggono però i molti ostacoli che si frappongono alla sua realizzazione. Tralasciando quello, ovvio, correlato al grado di incerta condivisione di queste nostre considerazioni, ne menzionerei, fra i molti, due, uno politico e l’altro macro-economico:


(1) Come assicurare la rapida transizione politica, preservando il segnale di “manovra approvata” che ognuno comunque (qualunque essa sia) si attende?


(2) Come attuare con urgenza una forte politica del denominatore (come l’ha chiamata, non a caso, il professor Monti sul Corriere della sera di qualche settimana fa, alludendo al denominatore del rapporto Debito/PIL) soprattutto se lo scenario economico mondiale vira verso la recessione?


Sul primo punto, confesso di non avere idee ma mi pare occorra contare più su un probabile sfaldamento della maggioranza che su un’efficace “spallata”dell’opposizione; il varo parlamentare della ri-ri-manovra potrebbe attivare, stavolta beneficamente, distinguo e prese di posizione elettoralistiche che non potrebbero non avere rilievo istituzionale (penso, per esempio, ad una richiesta di voto di fiducia, successivo alla approvazione della manovra).


Il secondo punto è ancora più complicato: per non ritrovarci fra pochi mesi a discutere, in uno scenario tragico, di una nuova spremitura fiscale (magari rispolverando la patrimoniale accantonata solo per mantenere formalmente il punto elettoralistico), quando il rialzo dei costi del nostro debito avesse divorato buona parte della ri-ri-manovra di settembre, occorre inventare in fretta un percorso fatto di liberalizzazioni e privatizzazioni (altroché baggianate come quella fatta coi recenti referendum sull’acqua!) e recuperi di produttività. Non facile, comunque. Ma estremamente urgente.


Roma, 20 agosto 2011