sabato 20 agosto 2011

Ipertrofia del presente e risveglio d'agosto

(di Felice Celato)
Credo che non sfugga a nessuno, nemmeno a chi voglia guardare con occhi pietosi alle vicende del nostro povero Paese, che l’Italia ha scelto da tempo, fors’anche senza rendersene conto, di porsi al di fuori dei grandi flussi culturali e politici dei tempi che corrono: mentre il mondo si affanna ad individuare e ricomporre nuovi equilibri economici e sociali in dimensione planetaria, mentre le politiche dei singoli paesi sperimentano gli effetti delle cessioni di sovranità che storia e mercati impongono ormai a tutti (ovviamente per primi ai paesi europei che, in maniera lungimirante, le hanno anche volute), mentre le pressioni demografiche affacciano l’ urgenza di soluzioni eticamente sostenibili prima ancora che economicamente e socialmente, noi da molto tempo ormai abbiamo scelto la strada di un folle presentismo, un senso cieco del presente còlto nella sua dimensione intra-elettorale (orizzonte fisso: le elezioni successive), dimentico di ogni responsabilità verso il futuro, prima ancora che ignaro della nostra storia e delle nostre vocazioni spirituali.



E allora per anni ci siamo baloccati con grossolane semplificazioni della realtà, buone per alimentare l’ideologia populista che produce frutti avvelenati (si veda il nostro post del 16 aprile ultimo scorso: Populismo), come per una legge di Gresham applicata al mondo delle idee: le idee cattive cacciano dal mercato quelle buone, come avveniva delle monete. Così il padanismo è diventato un sentimento, l’ anti-europeismo un riflesso condizionato, l’ ostilità preconcetta e speciosa verso i fenomeni migratori un’arma elettorale e, ad un tempo, una politica perseguita con rozzezza di misure e grossolanità di parole, le condizioni del debito pubblico una fisima dell’Europa burocratica, la vanità di una ridicola autostima è diventata una costante delle nostre autorappresentazioni, la fatuità uno stile di vita, la giocosità irresponsabile è diventata un modo di rapportarci di fronte alla serietà dei problemi. Come Dippold, l’ottico di Spoon River, ma con diverse intenzioni, ci siamo messi le lenti che trasforma(no) tutto il mondo in un giocattolo e ci siamo detti: Molto bene, faremo gli occhiali così!


Il risveglio di agosto nella sua drammaticità, da questo punto di vista, può essere, ancora, benefico: quando manovra di luglio, ri-manovra di agosto e ri-ri-manovra di settembre avranno depositato le scorie di questo confuso malgoverno dei problemi, ci ritroveremo più poveri di valori patrimoniali, più gravidi di problemi, più aspri e rabbiosi, forse più soli. Ma almeno la sveglia sarà, speriamo, suonata (e, ancora speriamo, senza bisogno di scossoni violenti) per questo nostro antico, tenace e gioioso popolo, capace di geniali adattamenti e, talvolta, di sforzi inauditi.


L’Italia, voglio sperare, è migliore dei suoi politicanti, superficiali, talora grossolani e spesso mendaci. Occorre ritrovare subito le strade abbandonate per questo lungo sonno della ragione: un europeismo autorevole e credibile, un’apertura al mondo rispettosa e disciplinata con saggezza, un senso profondo del futuro e delle responsabilità intergenerazionali, un sentimento liberale verso mercati aperti e controllati.


Posso sbagliare ma non vedo stagliarsi nella attuale classe politica italiana un leader capace di incarnare tutte insieme queste caratteristiche, che pure avevano costituito la parte migliore della nostra cultura nella storia meno recente; ma l’Italia ne ha di sicuro fra le “riserve” della sua classe dirigente migliore, che si è anche sperimentata con riconosciuto successo sugli scenari europei; e sta ai politici dell’opposizione e, più in generale, agli uomini di buona volontà, liberi e forti (come diceva Don Sturzo, all’indomani della prima guerra mondiale), trovarlo e sorreggerne con lealtà lo sforzo per rifare dell’Italia un paese al passo col mondo nuovo che si appresta attorno a noi. In fondo non sarebbe nemmeno la prima volta che un premier viene scelto al di fuori delle schiere dei partiti (e i precedenti sono confortanti, da Ciampi a Prodi).


Fin qui, lo scenario sperato; non sfuggono però i molti ostacoli che si frappongono alla sua realizzazione. Tralasciando quello, ovvio, correlato al grado di incerta condivisione di queste nostre considerazioni, ne menzionerei, fra i molti, due, uno politico e l’altro macro-economico:


(1) Come assicurare la rapida transizione politica, preservando il segnale di “manovra approvata” che ognuno comunque (qualunque essa sia) si attende?


(2) Come attuare con urgenza una forte politica del denominatore (come l’ha chiamata, non a caso, il professor Monti sul Corriere della sera di qualche settimana fa, alludendo al denominatore del rapporto Debito/PIL) soprattutto se lo scenario economico mondiale vira verso la recessione?


Sul primo punto, confesso di non avere idee ma mi pare occorra contare più su un probabile sfaldamento della maggioranza che su un’efficace “spallata”dell’opposizione; il varo parlamentare della ri-ri-manovra potrebbe attivare, stavolta beneficamente, distinguo e prese di posizione elettoralistiche che non potrebbero non avere rilievo istituzionale (penso, per esempio, ad una richiesta di voto di fiducia, successivo alla approvazione della manovra).


Il secondo punto è ancora più complicato: per non ritrovarci fra pochi mesi a discutere, in uno scenario tragico, di una nuova spremitura fiscale (magari rispolverando la patrimoniale accantonata solo per mantenere formalmente il punto elettoralistico), quando il rialzo dei costi del nostro debito avesse divorato buona parte della ri-ri-manovra di settembre, occorre inventare in fretta un percorso fatto di liberalizzazioni e privatizzazioni (altroché baggianate come quella fatta coi recenti referendum sull’acqua!) e recuperi di produttività. Non facile, comunque. Ma estremamente urgente.


Roma, 20 agosto 2011






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