giovedì 25 agosto 2011

"Stupi-diario": Opinionismo istantaneo

Le ferie non serene del nostro “Stupi-diario”
(di Felice Celato)

Non che siano mancati, nemmeno in quest’estate tumultuosa ed angosciosa, ragioni di stupore ed anche ragioni per qualche (amaro) sorriso sulle cose che ci siamo sentiti dire. Se avessimo voluto tenerne il conto, non sarebbero bastati quotidiani aggiornamenti della nostra rubrichetta “Stupi-diario”. Sarebbe stato sufficiente porre a raffronto le cose che molti dei nostri (lungimiranti!) politici andavano dicendo non trenta anni fa e nemmeno tre anni fa ma magari tre mesi fa o poco più di tre settimane fa: l’Italia sta meglio degli altri Paesi, ora abbassiamo le tasse, i nostri conti sono in ordine (che cosa vorrà dire questa frase per un paese che ha 1900 miliardi di euro di debito non l’ho mai capito!), non c’è bisogno di alcuna manovra, le nostre azioni politiche trovano il plauso di tutti, anzi il nostro sistema pensionistico verrà preso a modello anche da altri, etc.etc nel senso “Tutto va bene Madama la Marchesa” e chi non è d’accordo è un menagramo ed un comunista!
Ma, ancora una volta, come a luglio scorso, non ne abbiamo avuto voglia, nemmeno di sorridere. Diceva un mio vecchio e glorioso capo, che sta meglio chi prevede con chiarezza dove si vada a sbattere il muso rispetto a chi, invece, non se l’aspetta (di sbattere il muso) e va avanti nell’illusione che comunque l’inutile belletto di cui si è coperto la faccia lo preservi da ogni male. Non ostante ciò, avendo avuto da tempo chiarezza sull’impatto, sentiamo con durezza la botta e abbiamo perso un po’ delle nostre propensioni al sorriso. Anche amaro.
Sullo sfondo di quest’Italia di terza classe, ci pare invece opportuno cercare di guardare in avanti, sforzandoci di cogliere in anticipo, nei discorsi di questi giorni, alcuni problemi che, temo, necessariamente dovremo affrontare presto. Non parlo –ora – delle conseguenze dirette della manovra d’emergenza nella sua ennesima edizione, che pure saranno pesanti (per quanto necessarie); parlo invece di ciò che, mi pare, si va pericolosamente costruendo attorno, in parte inevitabilmente in parte inconsciamente.
Vengo al tema: il disdoro della politica è grave e l’anti-politica avanza a grandi passi, gonfia del carburante che la nostra classe dirigente ha accumulato con larghezza per un simile processo. Non possiamo dire che il fenomeno sia inaspettato né nuovo (ci siamo già passati circa vent’anni fa e forse anche molti anni prima) né che sia difficile intravvederne le (molte) esche e le (pericolose) dinamiche che non hanno mai portato bene al nostro Paese né, credo, porterebbero bene a nessuna altra democrazia nel mondo ( la democrazia rappresentativa postula la necessità di instaurare un certo rapporto di fiducia fra il delegante ed il delegato; senza di che non c’è democrazia rappresentativa).
Temo però che, stavolta, il fenomeno possa trarre ulteriore alimento dal contesto nuovo reso possibile dalla diffusione non tanto (o non solo) dei cosiddetti social networks, che pure tanto spesso pullulano di cinguettanti emotività, ma soprattutto dall’opinionismo istantaneo che si esprime attraverso sms o attraverso gli interventi in voce (naturalmente da cellulare, cosicché si possano fare anche dalla spiaggia) sempre di più sollecitati da trasmissioni di “approfondimento” (sic!) che vorrebbero partire dall’opinione della “gente”: così dilagano opinioni incontrollate, immeditate e sommarie, suggestive e per certi aspetti liberatorie del rancore che è in ciascuno di noi, senza che nessun gestore della trasmissione riesca ad arginare efficacemente la marea montante del rancore banalizzato. E anche i commentatori “informati” che sarebbero chiamati in trasmissione a favorire la formazione di un’opinione più meditata non rifuggono (quasi mai) dallo schema retorico di partire, col loro commento, dando sommariamente ragione allo sfogo ascoltato anche quando questo è chiaramente una irresponsabile stupidaggine.
Così si accumulano fragili opinioni cialtronesche, affascinanti e diffusive perché semplici, superficialmente condivisibili e per di più in qualche modo fruitrici di una certa aura di autorità (l’hanno detto anche alla radio o alla televisione!) che ancora il mezzo attribuisce indistintamente ad ogni voce che diffonde; così si fonda il pabulum di quell’esiziale populismo (di cui abbiamo già parlato in un post di aprile scorso) che ha bisogno di un popolo educato ad immaginare che esistano sempre soluzioni facili a problemi complessi.
Una volta, se un asino ragliava lo si poteva sentire anche a cento metri di distanza e magari sull’aia del vicino anche un altro asino si metteva a ragliare; ma il clamore restava circoscritto e nella collina vicina le altre aie restavano quiete. Oggi non è più così e molti asini possono ragliare insieme collegandosi virtualmente e facendosi il controcanto a vicenda in un concerto assordante che mette a repentaglio la capacità di ascoltare altre cose.
E così, temo, si crea e si diffonde una miscela di irresponsabilità e rancore banalizzato che non può portare a nulla di buono nel contesto difficile che dovremo attraversare in autunno e in inverno: ci sono già tante ragioni di scontento e di ansia in questa stagione buia della nostra storia per abbandonare la speranza di poterne uscire, magari con una classe politica nuova, ma senza passare per le strade dolorose (e pericolose) a cui portano inevitabilmente il rancore, il disprezzo indistinto,la sfiducia sistematica, la rabbia irriflessiva.

Roma, 25 agosto 2011



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