sabato 29 aprile 2017

Ah! L'Italia!

Athyroglossia
(di Felice Celato)
Inevitabile, in questi giorni, in Italia, non essere in qualche modo coinvolti, chi come semplice lettore di giornali, chi come memore di storie conosciute più da vicino, nella ridda di parole, emozioni, sdegni, preoccupazioni, lai, satire, deprecazioni e nuove promesse, amnesie e nuove illusioni che circondano da sempre le vicende industriali di una compagnia aerea che, per tanti anni, è stata simbolo, ad un tempo, delle ambizioni e delle disillusioni di un Paese amante delle parole, e sempre e troppo restio a fare i conti con la realtà.
Mentre leggevo gli altisonanti proclami di smentiti proclami dell’altro ieri e gli orgogliosi sbandieramenti di scalognati successi, mi è tornata in mente una vecchia lettura che non riesco a focalizzare; non ricordo, cioè, dove ho letto un commento alla tragedia greca Oreste, di Euripide, scritta pochi anni prima della morte dell’autore, quando  Atene (siamo sul finire del V secolo a.C.) viveva una crisi profonda del suo regime democratico.
Nelle fosche vicende che si incentrano sul processo ad Oreste per l’uccisione della madre Clitemnestra, ad un certo punto compare un personaggio “curioso”, un instancabile, sfrenato parlatore, anche proclive allo schiamazzo, che, notava il dimenticato commentatore, viene definito col termine  greco “athyroglossos”. 
Forse proprio questo termine e la sua struttura etimologica (praticamente significa: qualcuno che ha la lingua - glossa - ma non la porta - thyra - per contenerla) si sono fissati nella mia mente e hanno fatto sì che, a distanza di tempo, me ne ricordi ancora (in fondo non sono un grande frequentatore di tragedie greche, nonostante che alcune di esse le conosca molto bene), pur avendone dimenticato la fonte. Forse, nelle intenzioni di Euripide, l’athyroglossos era il simbolo delle inquietudini ateniesi sulla sorte della democrazia.
Ecco, l’athyroglossia mi pare l’attributo dei tanti discorsi che sento sul tema dal quale siamo partiti per questa breve chiacchierata pre-domenicale; e sicuramente lo sarà dei molti che, nella tradizionale sagra delle parole che ha ventoso luogo ogni 1° maggio, inonderanno le piazze di emozionate retoriche senza memoria e senza rimorso.
Per fortunata intuizione della Chiesa cattolica, domani, in concomitanza con la festa fatta propria dai sindacati, festeggeremo il santo più silenzioso della storia, San Giuseppe Lavoratore. Al suo silenzio, alla sua abnegazione, alla sua capacità di sottomettersi ad un compito straordinariamente impegnativo e al destino che ne seguì, cercheremo di ispirarci nel desolato tacere che i tempi suggeriscono.
Roma 29 aprile 2017


giovedì 27 aprile 2017

Spigolature nominalistiche

P.D., F.I. e altre parole
(di Felice Celato)
Ferruccio De Bortoli, sul Corriere della sera di oggi, scrive un ottimo articolo su Le parole fuori luogo sui conti, un'ampia rassegna delle più frequenti, ricercate ipocrisie del nostro modo di trattare certi complicati problemi nazionali (rectius: il complicato problema nazionale delle pubbliche finanze).
Conclude amaramente De Bortoli che forse non vale la pena di seguire l'Italica moda delle ri-denominazioni ipocrite per trovare un nuovo nome al "macigno" (copyright: Cottarelli) del debito pubblico Italiano, perché tanto gli Italiani hanno rimosso il problema; e dunque, si domanda sennatamente De Bortoli, che bisogno c'è di un nuovo nome decettivo?
Io, come sapete, non sono mai....così pessimista; penso che presto del debito pubblico dovremo tornare ad occuparcene, volenti o nolenti, coscienti o incoscienti, completamente desti o usualmente sonnambuli. E allora lo sweetening exercise tanto caro ai nostri politicanti non è del tutto inutile (eh! per bacco! Cerchiamo di dargli una mano! sennò che società civile siamo?).
E così, stamane, andando al lavoro, ho pensato un po’ a come risolvere il "problema di comunicazione". Come dire agli Italiani "Roma, abbiamo un problema!" senza, per carità!, turbarli troppo?
Eccovi qui una rassegna di soluzioni (sinteticamente presentate nelle loro connotazioni funzionali), sia facendo ricorso all'inglese (più duttile per la trasformazione in sigle) sia ricorrendo al più "cavalleresco" italiano:

Soluzioni inglesi:
  • Public Debt (in sigla P.D., trasparente e moderno)
  • Financial Imbalance (in sigla F.I., più sofisticato e morbido)

N.B.: entrambe le nuove denominazioni hanno il merito di evidenziare, in sigla, le storiche radici del problema del debito pubblico; e perciò ad esse va il mio favore, di sapore linguisticamente anglofilo.

Soluzioni Italiane:
  • Eccedenza finanziaria negativa (ambiguo, tecnocratico senza essere tecnocraticamente mendace);
  • Sommatoria "tesoretti" pregressi (renziano, direi; anche vagamente sindacalese e perciò di  probabile facile  successo.....almeno fino a successivi referendum, che ad entrambi - ex Premier e Sindacati - non portano bene);
  • Disavanzi cumulati dalle Gestioni Precedenti (efficace, cinese nella struttura, politicamente autoassolutorio, dunque forse utilissimo nel possibile regime democratico diretto che ci aspetta dietro l’angolo);
  • Residui passivi di pregresse promesse (sarcastico ma veritiero).

N.B.: fra le soluzioni Italiane, la mia preferenza va a quest’ultima espressione.

Bene; chi vuole può partecipare a questo concorso di idee; ma in fretta, il tempo corre e prestissimo avremo bisogno di nuove idee per nasconderci la verità!

Roma 27 aprile 2017

martedì 25 aprile 2017

25 aprile 2017

Le due storie
(di Felice Celato)
Questa festa della Liberazione dell’Italia dall’occupazione nazi-fascista, una volta molto sentita (forse perché se ne viveva ancora un qualche sapore divisivo?) scivola via fra l’indifferenza dei più (un Paese che ha perso il senso di se stesso può forse volgersi indietro a celebrare la sua storia?), la retorica dei soliti, il ponte lungo e le scemenze dei Partigiani di Roma con la Keffiah.
D’altra parte, si sta svolgendo in Europa un grande referendum a puntate sull’Europa stessa e, francamente, il tema prende più di un Bella ciao! anche se cantato – come giusto e doveroso– a fianco della valorosa Brigata Ebraica (come peraltro ho fatto io, e non solo per amore della verità): nel Regno Unito ha vinto il No, in Olanda il Sì, in Francia per ora il Sì tiene (vedremo fra due settimane a che percentuale arriva il movimento anti-Europeista francese), in Germania le elezioni di ottobre saranno in fondo su due modelli di Europa con scarso peso, spero, per avventure destrorse. L’Italia è il Paese nel quale l’esito mi pare più incerto: da un lato la consistenza (numerica) degli anti-Europeisti espliciti; forse divisibili in autenticamente espliciti e ambiguamente impliciti come pare piaccia al giornale dei Vescovi Italiani; dall’altro l’inconsistenza (per fortuna, pare, non numerica) dei sedicenti Europeisti, taluni grossolanamente ammiccanti (come si direbbe di un Premier che fa sapere di aver fatto togliere la bandiera Europea dal suo studio o che non manca di ripetere quotidianamente il lagnoso piagnisteo anti Europeo per spingere sotto il tappeto i problemi economici e finanziari costantemente elusi), talaltri   rancorosamente ambigui per la memoria di tempestosi rapporti certamente non incolpevoli.
Insomma: il 25 aprile, quest’anno, è finito per sembrarmi, ad un tempo, celebrazione della storia passata (la Liberazione) e evidenza della storia che passa (l’Europa di domani).
Allora, forse, vale la pena di fermarsi a riflettere sul nostro rapporto con la storia, specie per chi (come me) vive il presente con passione angosciata (e spesso insofferente).
Uno dei più grandi intellettuali del secolo scorso, Joseph Ratzinger, molti anni fa (siamo nel post-Concilio ma ben prima del pontificato di Benedetto XVI) scriveva: proprio in un’epoca di grandi sconvolgimenti, in cui ciò che è accaduto fin qui sembra dileguarsi per accogliere ciò che è completamente nuovo, l’uomo ha bisogno di riflettere sulla storia, la quale riconduce alle sue proporzioni reali l’attimo da lui ingigantito e lo inquadra in un avvenimento che non si ripete mai ma non perde mai la sua unità e il suo contesto….. Lo sguardo retrospettivo non permette predizioni del futuro, ma limita l’illusione di ciò che si presenta come completamente unico e mostra come anche in passato c’è stato qualche cosa, che non è uguale, ma è ad esso paragonabile. In ciò che vi è di diverso tra ieri e oggi si fonda l’incertezza dei nostri enunciati e la novità dei nostri compiti; in ciò che vi è di uguale si fonda la possibilità di un orientamento e di una correzione…..Ecco perché la storia non può essere solo il ripostiglio delle cose di ieri [sottolineature mie,*].
Tornando dalla dimostrazione della Brigata Ebraica, commentavo con un amico – in via del tutto generale – l’abuso del presente (sia esso culturale, economico, politico, etc.) per “giudicare” il passato (culturale, economico, politico, etc.) e magari, come è divenuta futile consuetudine, per pretendere o per concedere scuse labiali (che sono spesso la risposta dovuta ad altrettanti futili grida di facile “vergogna!”).
Chi è immerso nell’attimo da lui ingigantito può perderne le proporzioni reali e, di fatto, commettere madornali errori di valutazione (come accadde, per esempio, nella guerra civile Italiana del 1943-45): si può ovviamente dolersene (e non solo ex post, come attestano tanti luminosi testimoni, ribelli al corso delle cose mentre esse accadevano o minacciavano di accadere), senza estrapolarne sic et simpliciter il giudizio, perché in ciò che vi è di diverso tra ieri e oggi si fonda l’incertezza dei nostri enunciati.
Ecco perché, nei limiti dell’accessibile, la verità rimane l’unico canone di valore sulla storia e sui percorsi degli uomini nel suo ambito…..unico canone – di questi tempi – posto in cattive mani.
Roma 25 aprile 2017 (San Marco; auguri a tutti i Marchi!)

[*] La citazione è tratta dalla raccolta di scritti di Joseph Ratzinger Vedere l’amore con una bella prefazione di p. Federico Lombardi ed edito da Rizzoli (2017); per una discutibile impostazione dell’editore mancano le date precise degli scritti ivi raccolti.


mercoledì 19 aprile 2017

Spigolature desolate

I regolamenti militari
(di Felice Celato)
L’avevo già citato, questo vecchio libro letto in giovinezza e poi perduto: La trahison dès clercs, Il tradimento dei chierici, di Julien Benda. L’ho ritrovato in ebook – sia pure in edizione in lingua francese – perché mi piace conservarne la memoria profetica che, mai come oggi, mi duole sentir riecheggiare nella sua sconsolante attualità.
L’argomento è quello del ruolo degli intellettuali (i custodi e i tutori dei valori universali, secondo il filosofo Francese, che li chiama perciò “chierici”) di fronte alle esigenze della politica.
Per darvi un’idea del contenuto del libro (scritto fra le due grandi guerre) basterà riportarvi il significativo racconto che costituisce la premessa alla prima edizione del libro (1927) e il commento che ne fa brevemente l’Autore: Leone Tolstoi, allora ufficiale dell’esercito russo, vedendo un suo parigrado colpire duramente un soldato solo perché non allineato durante una marcia, si rivolse sdegnato al collega dicendo: “Che fai? Non ti vergogni di trattare così un tuo simile? Non hai letto il Vangelo?” “E tu – si sentì rispondere – non hai letto i regolamenti militari?
Questa – commenta Benda [la traduzione è mia] – è la risposta che deve attendersi sempre l’uomo spirituale che vuole governare le cose del mondo. E questo mi pare inevitabile: quelli che conducono gli uomini alla conquista delle cose non sanno che farsene della giustizia o della carità.
E tuttavia – dice ancora il filosofo Francese (e questo è il cuore del libro) – mi pare importante che esistano degli uomini che – anche se ci si fa beffe di loro – richiamano i propri simili ad altre religioni che non siano quella delle cose del mondo. Ora, questi ai quali faceva carico questo ruolo – che io chiamo i chierici – non solo non se ne curano più ma addirittura si fanno carico del ruolo opposto…..invitano gli uomini a burlarsi del Vangelo e a leggere i regolamenti militari.
Bene, fin qui Benda che scriveva quando forse i regolamenti militari incarnavano il senso delle cose del mondo. Oggi forse, più che ai regolamenti militari, verrebbe naturale contrapporre i valori dello spirito (affidati, nella visione di Benda, agli intellettuali) alla regola del consenso, la moderna maestra di quelli che conducono gli uomini alla conquista delle cose.
Ci pensavo stamane leggendo con raccapriccio l’intervista che il direttore del quotidiano dei Vescovi Italiani, Marco Tarquinio, ha rilasciato al Corriere della Sera per commentare, con malcelata soddisfazione, la sintonia raggiunta (su tre quarti dei grandi temi) col leader del Movimento 5 Stelle (M5S) a sua volta vastamente intervistato da Tarquinio stesso su Avvenire di oggi stesso: credo che il M5S debba aggiustare il tiro sulla politica estera e lavorare per un rilancio della casa comune europea, nota il direttore di Avvenire; ma per il resto, mi pare di capire ci siamo: finalmente il pusillus grex di noi cattolici, grazie al quotidiano dei suoi Pastori, ha trovato un suo punto di riferimento politico!
Molti auguri al nostro Paese!...e ai suoi Pastori (io, però, come sempre, di belare dietro ad essi belanti non me la sento proprio; politicamente, s’intende!).
Roma 19 aprile 2017


sabato 15 aprile 2017

Pasqua 2017


Auguri!
(di Felice Celato)
Eccoci qua, un’altra Pasqua arriva, come sempre ricca di significati che, ciascuno di noi diversamente, sentiremo dentro, secondo i nostri sentimenti e i nostri personali bisogni di risurrezione. Quelli di noi che sono credenti, li affideranno al Risorto perché li purifichi e ci aiuti a trarne frutti di bene (per questa e per l’altra vita); quelli che credenti non sono, pur tuttavia – ne sono convinto – di un rinnovamento profondo sentiranno anch’essi bisogno, perché a nessun uomo – credo – spetta il previlegio di sentirsi pienamente soddisfatto di sé. E in fondo da sempre (forse da 3000 anni) questa festa primaverile allude ad una perenne rigenerazione e anche ad una liberazione verso una terra promessa, verso un paese bello dove scorrono latte e miele.
Anche nella nostra dimensione di cittadini del mondo non possiamo non sentire, tutti insieme, l’insoddisfazione per come stiamo utilizzando le straordinarie opportunità dei nostri tempi. La grande confusione che viviamo collettivamente, ogni giorno leggendo e vedendo quel che accade intorno a noi, sembra anch’essa postulare l’urgenza di una resurrezione profonda, direi di una palingenesi, che cancelli le scorie di torti e ragioni che agitano i nostri rancori e ne fanno un’arma micidiale della quale facciamo ancora fatica a misurare la potenza distruttiva.
In questa prospettiva il desiderio di resurrezione oltrepassa allora la sua intima dimensione personale e diventa forse un’istanza del mondo. Dell’umanità, si direbbe meglio, così tornando al significato più profondo della Pasqua cristiana; perché essa non è la festa di un Risorto ma la promessa attuale di una Resurrezione universale, offerta a tutti e ciascuno, già e non ancora.

Quest’anno la festa di Pasqua ha anche per me uno speciale significato, coincidendo, la data di domani, col 90° compleanno del papa emerito Benedetto XVI, di una persona alla quale nel tempo ho affidato gran parte dei miei…aggiornamenti spirituali (e – perché no? – spesso anche culturali).
Nel rileggere, come esercizio del triduo pasquale, alcuni scritti di papa Benedetto XVI sono tornato a constatare quanto la nostra sensibilità di cristiani del 3° millennio debba a questo maestro della fede, a questo cristianissimo difensore della ragione, a questo intellettuale dall’animo mite e dalla mente lampante che ha saputo guardare fisso al cielo e, al mondo, con occhio fedele, con attenzione trepidante ed aperta, con straordinaria fiducia nel Logos e nella potenza dell’Amore.

Perciò all’affettuoso augurio di resurrezione per tutti noi, amici e lettori di questo blog, aggiungo un modestissimo augurio di buon riposo al papa della mia…. tarda maturità.

Roma, 15 aprile 2017