Athyroglossia
(di Felice Celato)
Inevitabile,
in questi giorni, in Italia, non essere in qualche modo coinvolti, chi come
semplice lettore di giornali, chi come memore di storie conosciute più da
vicino, nella ridda di parole, emozioni, sdegni, preoccupazioni, lai, satire,
deprecazioni e nuove promesse, amnesie e nuove illusioni che circondano da
sempre le vicende industriali di una compagnia aerea che, per tanti anni, è
stata simbolo, ad un tempo, delle ambizioni e delle disillusioni di un Paese
amante delle parole, e sempre e troppo restio a fare i conti con la realtà.
Mentre
leggevo gli altisonanti proclami di smentiti proclami dell’altro ieri e gli
orgogliosi sbandieramenti di scalognati successi, mi è tornata in mente una vecchia
lettura che non riesco a focalizzare; non ricordo, cioè, dove ho letto un
commento alla tragedia greca Oreste, di
Euripide, scritta pochi anni prima della morte dell’autore, quando Atene (siamo sul finire del V secolo a.C.)
viveva una crisi profonda del suo regime democratico.
Nelle
fosche vicende che si incentrano sul processo ad Oreste per l’uccisione della
madre Clitemnestra, ad un certo punto compare un personaggio “curioso”, un
instancabile, sfrenato parlatore, anche proclive allo schiamazzo, che, notava
il dimenticato commentatore, viene definito col termine greco “athyroglossos”.
Forse proprio questo termine e la sua struttura etimologica (praticamente
significa: qualcuno che ha la lingua - glossa
- ma non la porta - thyra - per
contenerla) si sono fissati nella mia mente e hanno fatto sì che, a distanza di
tempo, me ne ricordi ancora (in fondo non sono un grande frequentatore di
tragedie greche, nonostante che alcune di esse le conosca molto bene), pur
avendone dimenticato la fonte. Forse, nelle intenzioni di Euripide, l’athyroglossos era il simbolo delle
inquietudini ateniesi sulla sorte della democrazia.
Ecco,
l’athyroglossia mi pare l’attributo
dei tanti discorsi che sento sul tema dal quale siamo partiti per questa breve chiacchierata
pre-domenicale; e sicuramente lo sarà dei molti che, nella tradizionale sagra
delle parole che ha ventoso luogo ogni 1° maggio, inonderanno le piazze di emozionate
retoriche senza memoria e senza rimorso.
Per
fortunata intuizione della Chiesa cattolica, domani, in concomitanza con la
festa fatta propria dai sindacati, festeggeremo il santo più silenzioso della
storia, San Giuseppe Lavoratore. Al suo silenzio, alla sua abnegazione, alla
sua capacità di sottomettersi ad un compito straordinariamente impegnativo e al
destino che ne seguì, cercheremo di ispirarci nel desolato tacere che i tempi
suggeriscono.
Roma
29 aprile 2017
Nessun commento:
Posta un commento