Illiberal democracy
(di Felice Celato)
Come
forse ricorderanno i lettori più antichi di questo blog, avevo definito conversazioni
asincrone quelle che – grazie proprio a questo (meraviglioso) mezzo – si possono comodamente svolgere fra
noi, quando ci va di scrivere o quando ci incontriamo, rilanciandoci, a voce o
per mail, frammenti di idee che magari trovano esca
proprio in queste righe, del resto rivolte solo alla promozione di un dialogo
per me sempre interessante.
Bene;
in questo spirito vi riporto un commento (orale) di un amico non insolitamente
sospettoso delle mie fisime, al quale vorrei qui rispondere: dice il mio amico
(che è uomo d’onore, direbbe
Marc’Antonio, stavolta senza ironia alcuna) che quando si aggettiva il termine democrazia c’è sempre puzza solfurea di
atteggiamenti aristocratici, elitaristi
e, in sostanza, anti-democratici; all’origine “dell’infamante” sospetto gravante
(non immotivatamente) su di me, c’è il termine di democrazia illiberale da me usato in un paio di post di qualche giorno fa.
E
dunque a me l’onere di “discolparmi, dissipando i fumi luciferini di
un’aggettivazione per la verità tutt’altro che riduttiva.
Credo
che il termine democrazia illiberale
giaccia nella mia testa da quasi quindici anni, quando lo colsi in un libro che
ho molto ammirato a suo tempo e che considero tutt’ora uno dei saggi di geo-politica
più interessanti che abbia mai letto: si tratta del volume di Fareed Zakaria The future of freedom – Illiberal democracy
at home and abroad (ed. Norton & Co., 2003). Peraltro, nel
ripercorrerne le tracce, ho scoperto che lo stesso autore aveva coniato il
termine illiberal democracy in un
saggio precedente pubblicato su Foreign
Affairs nel 1997 (appunto vent’anni fa) in larga parte poi confluito nel
libro. Leggendo il saggio (ne metto
in nota il link) e risfogliando il
volume, mi è capitato di osservare l’assoluta attualità del tema; anzi, direi,
che il quadro tracciato da Zakaria trova oggi riscontri su base globale ancora
più larga, anche se (per ora) meno drammatica (allora si citava paradigmaticamente
la vicenda Jugoslava come esempio di eletti razzisti, fascisti e separatisti
usciti da elezioni libere e corrette).
Il
fatto è che dovremmo rassegnarci a considerare la democrazia per quello che è:
nient’altro che un mezzo per scegliere i governanti; un mezzo al quale non è,
ovviamente, associata nessuna garanzia circa la qualità degli stessi, come
dimostrano infinite storie del mondo, da quando nelle varie forme la democrazia
esiste e sotto tutte le latitudini. Zakaria ne fornisce una casistica vasta in
ottica globale; ma noi potremmo attingere, più modestamente ma non meno
efficacemente, ad esempi sia dal nostro passato in fondo recente (esempi storicamente concreti) sia dal nostro temibile presente (rischi
storicamente concreti). Lo “statuto” (direi la natura) liberale del governo di
un paese, invece, non ha nulla che fare con le modalità di scelta dei
governanti (tant’è che sono esistiti stati autenticamente liberali retti da
sovrani autocratici); bensì coi contenuti del loro governare, col
riconoscimento fattivo di inalienabili diritti degli esseri umani ai quali i
governanti devono necessariamente sottomettersi ed ai quali devono essere
conformati i limiti invalicabili del loro agire (la rule of law, la limitazione del potere, l’imparzialità della legge,
la separazione fra stati e chiese, etc. etc.).
E’
vero che dalla fine dell’ultima guerra, l’Occidente si è indotto a
considerare…. abitudinariamente fusi fra loro democrazia e liberalismo (nel
senso sopra detto), sicché appare impensabile una democrazia che non sia (in
quel senso) liberale. Ma ciò non vuol dire che, per usare un’espressione di
Tocqueville, la tirannia della
maggioranza non possa tornare ad esprimere modalità di governo
assolutamente illiberali: una democrazia
senza un suo “statuto” liberale (nel senso sopra detto), conclude Zakaria, non è semplicemente inadeguata ma
pericolosa, portando con sé l’erosione della libertà, l’abuso del potere, le
divisioni etniche e persino la guerra.
E
questo, caro amico mio, è anche il mio pensiero: non saprei che farmene dei
cosiddetti valori democratici (in
termini più rigorosi: di governanti scelti democraticamente dalla maggioranza)
se non fossero indissolubilmente connessi coi valori liberali che stabiliscono
il primato della persona sullo stato e, a questo, fissano limiti invalicabili.
Ed è
per questo che temo, come scriveva Zakaria 20 anni fa, che la democrazia illiberale guadagni legittimazione, e quindi forza,
proprio dall’apparire ragionevolmente democratica.
Roma
7 aprile 2017
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