venerdì 7 aprile 2017

Conversazioni asincrone

Illiberal democracy
(di Felice Celato)
Come forse ricorderanno i lettori più antichi di questo blog, avevo definito conversazioni asincrone quelle che – grazie proprio a questo (meraviglioso)  mezzo – si possono comodamente svolgere fra noi, quando ci va di scrivere o quando ci incontriamo, rilanciandoci, a voce o per mail,   frammenti di idee che magari trovano esca proprio in queste righe, del resto rivolte solo alla promozione di un dialogo per me sempre interessante.
Bene; in questo spirito vi riporto un commento (orale) di un amico non insolitamente sospettoso delle mie fisime, al quale vorrei qui rispondere: dice il mio amico (che è uomo d’onore, direbbe Marc’Antonio, stavolta senza ironia alcuna) che quando si aggettiva il termine democrazia c’è sempre puzza solfurea di atteggiamenti aristocratici, elitaristi e, in sostanza, anti-democratici; all’origine “dell’infamante” sospetto gravante (non immotivatamente) su di me, c’è il termine di democrazia illiberale da me usato in un paio di post di qualche giorno fa.
E dunque a me l’onere di “discolparmi, dissipando i fumi luciferini di un’aggettivazione per la verità tutt’altro che riduttiva.
Credo che il termine democrazia illiberale giaccia nella mia testa da quasi quindici anni, quando lo colsi in un libro che ho molto ammirato a suo tempo e che considero tutt’ora uno dei saggi di geo-politica più interessanti che abbia mai letto: si tratta del volume di Fareed Zakaria The future of freedom – Illiberal democracy at home and abroad (ed. Norton & Co., 2003). Peraltro, nel ripercorrerne le tracce, ho scoperto che lo stesso autore aveva coniato il termine illiberal democracy in un saggio precedente pubblicato su Foreign Affairs nel 1997 (appunto vent’anni fa) in larga parte poi confluito nel libro. Leggendo il saggio (ne metto in nota il link) e risfogliando il volume, mi è capitato di osservare l’assoluta attualità del tema; anzi, direi, che il quadro tracciato da Zakaria trova oggi riscontri su base globale ancora più larga, anche se (per ora) meno drammatica (allora si citava paradigmaticamente la vicenda Jugoslava come esempio di eletti razzisti, fascisti e separatisti usciti da elezioni libere e corrette).
Il fatto è che dovremmo rassegnarci a considerare la democrazia per quello che è: nient’altro che un mezzo per scegliere i governanti; un mezzo al quale non è, ovviamente, associata nessuna garanzia circa la qualità degli stessi, come dimostrano infinite storie del mondo, da quando nelle varie forme la democrazia esiste e sotto tutte le latitudini. Zakaria ne fornisce una casistica vasta in ottica globale; ma noi potremmo attingere, più modestamente ma non meno efficacemente, ad esempi sia dal nostro passato in fondo recente  (esempi storicamente concreti) sia  dal nostro temibile presente (rischi storicamente concreti). Lo “statuto” (direi la natura) liberale del governo di un paese, invece, non ha nulla che fare con le modalità di scelta dei governanti (tant’è che sono esistiti stati autenticamente liberali retti da sovrani autocratici); bensì coi contenuti del loro governare, col riconoscimento fattivo di inalienabili diritti degli esseri umani ai quali i governanti devono necessariamente sottomettersi ed ai quali devono essere conformati i limiti invalicabili del loro agire (la rule of law, la limitazione del potere, l’imparzialità della legge, la separazione fra stati e chiese, etc. etc.).
E’ vero che dalla fine dell’ultima guerra, l’Occidente si è indotto a considerare…. abitudinariamente fusi fra loro democrazia e liberalismo (nel senso sopra detto), sicché appare impensabile una democrazia che non sia (in quel senso) liberale. Ma ciò non vuol dire che, per usare un’espressione di Tocqueville, la tirannia della maggioranza non possa tornare ad esprimere modalità di governo assolutamente illiberali: una democrazia senza un suo “statuto” liberale (nel senso sopra detto), conclude Zakaria, non è semplicemente inadeguata ma pericolosa, portando con sé l’erosione della libertà, l’abuso del potere, le divisioni etniche e persino la guerra.
E questo, caro amico mio, è anche il mio pensiero: non saprei che farmene dei cosiddetti valori democratici (in termini più rigorosi: di governanti scelti democraticamente dalla maggioranza) se non fossero indissolubilmente connessi coi valori liberali che stabiliscono il primato della persona sullo stato e, a questo, fissano limiti invalicabili.
Ed è per questo che temo, come scriveva Zakaria 20 anni fa, che la democrazia illiberale guadagni legittimazione, e quindi forza, proprio dall’apparire ragionevolmente democratica.
Roma 7 aprile 2017

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