Le due storie
(di Felice Celato)
Questa festa della Liberazione dell’Italia
dall’occupazione nazi-fascista, una volta molto sentita (forse perché se ne
viveva ancora un qualche sapore divisivo?) scivola via fra l’indifferenza dei
più (un Paese che ha perso il senso di se stesso può forse volgersi indietro a
celebrare la sua storia?), la retorica dei soliti, il ponte lungo e le scemenze
dei Partigiani di Roma con la Keffiah.
D’altra parte, si sta svolgendo in Europa un grande
referendum a puntate sull’Europa
stessa e, francamente, il tema prende più di un Bella ciao! anche se cantato – come giusto e doveroso– a fianco
della valorosa Brigata Ebraica (come peraltro ho fatto io, e non solo per amore
della verità): nel Regno Unito ha vinto il No, in Olanda il Sì, in Francia per
ora il Sì tiene (vedremo fra due settimane a che percentuale arriva il
movimento anti-Europeista francese), in Germania le elezioni di ottobre saranno
in fondo su due modelli di Europa con scarso peso, spero, per avventure
destrorse. L’Italia è il Paese nel quale l’esito mi pare più incerto: da un
lato la consistenza (numerica) degli anti-Europeisti espliciti; forse
divisibili in autenticamente espliciti
e ambiguamente impliciti come pare
piaccia al giornale dei Vescovi Italiani; dall’altro l’inconsistenza (per
fortuna, pare, non numerica) dei sedicenti Europeisti, taluni grossolanamente ammiccanti (come si
direbbe di un Premier che fa sapere di aver fatto togliere la bandiera Europea dal
suo studio o che non manca di ripetere quotidianamente il lagnoso piagnisteo
anti Europeo per spingere sotto il tappeto i problemi economici e finanziari
costantemente elusi), talaltri rancorosamente ambigui per la memoria di
tempestosi rapporti certamente non incolpevoli.
Insomma: il 25 aprile, quest’anno, è finito per
sembrarmi, ad un tempo, celebrazione della storia passata (la Liberazione) e
evidenza della storia che passa (l’Europa di domani).
Allora, forse, vale la pena di fermarsi a
riflettere sul nostro rapporto con la storia, specie per chi (come me) vive il
presente con passione angosciata (e spesso insofferente).
Uno dei più grandi intellettuali del secolo scorso,
Joseph Ratzinger, molti anni fa (siamo nel post-Concilio ma ben prima del
pontificato di Benedetto XVI) scriveva: proprio
in un’epoca di grandi sconvolgimenti, in cui ciò che è accaduto fin qui sembra
dileguarsi per accogliere ciò che è completamente nuovo, l’uomo ha bisogno di riflettere
sulla storia, la quale riconduce alle sue proporzioni reali l’attimo da lui
ingigantito e lo inquadra in un avvenimento che non si ripete mai ma non
perde mai la sua unità e il suo contesto….. Lo sguardo retrospettivo non
permette predizioni del futuro, ma limita l’illusione di ciò che si presenta
come completamente unico e mostra come anche in passato c’è stato
qualche cosa, che non è uguale, ma è ad esso paragonabile. In ciò
che vi è di diverso tra ieri e oggi si fonda l’incertezza dei nostri
enunciati e la novità dei nostri compiti; in ciò che vi è di uguale si fonda
la possibilità di un orientamento e di una correzione…..Ecco perché la
storia non può essere solo il
ripostiglio delle cose di ieri [sottolineature mie,*].
Tornando dalla dimostrazione della Brigata Ebraica,
commentavo con un amico – in via del tutto generale – l’abuso del presente (sia
esso culturale, economico, politico, etc.) per “giudicare” il passato
(culturale, economico, politico, etc.) e magari, come è divenuta futile
consuetudine, per pretendere o per concedere scuse labiali (che sono spesso la
risposta dovuta ad altrettanti futili grida di facile “vergogna!”).
Chi è immerso nell’attimo
da lui ingigantito può perderne le
proporzioni reali e, di fatto, commettere madornali errori di valutazione
(come accadde, per esempio, nella guerra civile Italiana del 1943-45): si può ovviamente
dolersene (e non solo ex post, come
attestano tanti luminosi testimoni, ribelli al corso delle cose mentre esse
accadevano o minacciavano di accadere), senza estrapolarne sic et simpliciter il giudizio, perché in ciò che vi è di diverso tra ieri e oggi si fonda l’incertezza dei
nostri enunciati.
Ecco perché, nei limiti dell’accessibile, la verità
rimane l’unico canone di valore sulla storia e sui percorsi degli uomini nel
suo ambito…..unico canone – di questi tempi – posto in cattive mani.
Roma 25 aprile 2017 (San Marco; auguri a tutti i
Marchi!)
[*] La citazione è tratta dalla raccolta di scritti
di Joseph Ratzinger Vedere l’amore
con una bella prefazione di p. Federico Lombardi ed edito da Rizzoli (2017);
per una discutibile impostazione dell’editore mancano le date precise degli
scritti ivi raccolti.
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