venerdì 23 marzo 2018

Italica

“Il costo della democrazia”
(di Felice Celato)
Dopo oltre due settimane di vacanza dal vuoto (ma ancora sospese nel vuoto del voto), torno sulle nostre cose, ripartendo dal secondo libro che – come dicevo qualche giorno fa – è saltato fuori dai fondi dalla mia libreria: si tratta, anche stavolta, di un libro di poche pagine (come quello di Rabbi Nachman, sul quale abbiamo aperto una Parentesi due post fa) intitolato L’Italia ha un futuro?, pubblicato nel 2017 da Lit Edizioni ma, mi è parso di capire, scaturito da una conversazione che Ernesto Galli Della Loggia aveva intrattenuto qualche tempo prima con Massimo Arcangeli che ha poi curato la pubblicazione.
L’occasione della rilettura mi è venuta da una considerazione di Galli della Loggia sul “costo della democrazia”, anch’essa ricapitatami per caso sotto gli occhi risfogliando il volumetto e che vi riporto pressoché integralmente: Pensare l’Italia, oggi, equivale a valutare la dimensione di un declino che investe l'intera nazione, la collettività e anche la cultura. Per quanto sgradevole possa essere ammetterlo, siamo di fronte, probabilmente, a un declino storico…. Oggi ci stiamo accorgendo che il nostro vagone [il vagone di coda del treno dello sviluppo, agganciato faticosamente nel dopoguerra] è stato sganciato e si è fermato, mentre il convoglio continua per la sua strada senza di noi. A quest'idea di declino che mi investe quando penso all'Italia, si affianca la percezione di vivere un momento storico in cui bisogna ripensare…. a come abbiamo vissuto e organizzato la democrazia nel nostro Paese, perché anche da questa prospettiva i nodi sono venuti al pettine. A cominciare dal principale, ovvero il costo della democrazia. La democrazia è legata al concetto di consenso, e ogni cinque anni i nostri rappresentanti chiedono agli elettori un consenso politico che ha un determinato costo, essendo spesso ottenuto dietro un "pagamento”, ovvero tramite delle elargizioni. Forse in passato le elargizioni sono però state troppe e troppo generose, ed è perciò che ci ritroviamo con un debito di circa 2.100 miliardi [2300 oggi], in gran parte da attribuirsi al costo del consenso democratico. Questo ci pone di fronte a importanti interrogativi sul futuro del Paese. Sul nostro futuro. 
Come sempre mi accade, le varie letture mi si confrontano in testa con rimandi vicendevoli che mi aiutano a riflettere: così il tema posto da Galli della Loggia, inevitabilmente mi ha rimandato ad un altro testo estremamente interessante, di cui qui non abbiamo mai parlato estesamente perché la sua lettura risale a prima che dessimo inizio a queste conversazioni asincrone: The future of freedom - Illiberal democracy at home and abroad, di Fareed Zakaria, pubblicato negli USA 15 anni fa (2003) e qui citato fugacemente giusto nell’aprile scorso. Si tratta di una vasta esplorazione dei confini – di cui la storia ha dimostrato la mutevolezza – fra la democrazia come governo di un paese (essenzialmente: come modalità di scelta dei governanti) e la natura liberale del governare (dove per natura liberale si intende il riconoscimento fattivo di inalienabili diritti degli esseri umani, la rule of law, la limitazione del potere, l’imparzialità della legge, la separazione fra stati e chiese, etc. etc.). Confini, come dicevo, storicamente mutevoli ma anche pericolosi da frequentare perché – dice Zakaria - una democrazia senza un suo “statuto” liberale (nel senso sopra detto), non è semplicemente inadeguata ma pericolosa, portando con sé l’erosione della libertà, l’abuso del potere, le divisioni etniche e persino la guerra.
Bene. Come si sono incrociati i due testi? E’ una constatazione di Zakaria che mi riporta al costo della democrazia, perché il giornalista americano riflette sulle condizioni che fanno “durare” nel tempo la democrazia liberale e constata il fatto (che potrebbe risultare poco… romantico accettare) che una democrazia conserva nel tempo i suoi caratteri liberali solo se produce crescita (attraverso una ricchezza guadagnata, earned wealth).
A questo punto del ragionamento, è inevitabile tornare su Galli Della Loggia per riflettere su come noi abbiamo conservato una democrazia ancora liberale (non ostanti molte cose): sostituendo, con elargizioni  finanziate con debito dello stato (quindi di tutti), l’autentica crescita economica del paese, che da tempo non riusciamo più a generare, almeno  nella misura postulata dal mondo che corre.
Se le cose stanno così – e temo che così stiano – il nostro non è solo un tempo difficile; è anche un tempo molto pericoloso. Anche sotto questo profilo.
Roma 23 marzo 2018









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