Ovvietà
(di Felice Celato)
I tragici eventi di Parigi, con tutto il loro carico di insopportabile violenza e di intolleranza, stanno trovando su gran parte della stampa nazionale ed internazionale e anche da parte di autorevoli fonti della cultura e delle istituzioni islamiche, inappuntabili esecrazioni e chiare condanne, centrate, come è ovvio, sul rifiuto della violenza e sulla tutela del diritto di opinione e di espressione.
Non mi sembra il caso di aggiungerne altre perchè esse non appaiono in alcun modo emendabili o mitigabili.
Però, per non perdere l'abitudine a pensare, vorrei tentare alcune considerazioni che nulla hanno a che fare con l'accaduto ma, semmai, con l'esaltazione ( si badi bene: in principio inconfutabile) del diritto di espressione, e, più in particolare, del cosiddetto diritto di satira, che trova largo spazio nei commenti.
Ora, mentre il diritto di opinione non sembra conoscere accettabili limiti ( fatta salva la riprovazione che silenziosamente o espressamente ciascuno può avere per la stupidità di certe opinioni), in realtà, credo, il diritto di espressione postula ovunque diverse limitazioni, in buona parte fissate dalla legge stessa: per esempio, da noi, non si può calunniare (art. 368 del Codice Penale), non si può diffamare (art. 595 CP), non si può vilipendere certe istituzioni (art. 290 CP), non si può bestemmiare (art. 724 CP), non si può fare apologia di reati o di ideologie violente ( art. 272 CP), non si può ingiuriare (art. 594 CP), etc.
Alcune limitazioni però non sono scritte nella legge e quindi la loro violazione, tutt'al più, può trovare "condanna" in base al buon gusto, al necessario basilare rispetto degli altri, etc.; per dirla all'inglese, queste violazioni non sono direttamente enforceable, ma sono, o almeno così a me appaiono, egualmente ( come cioè la calunnia, la bestemmia, etc) riprovevoli.
Ebbene, io credo che il cosiddetto diritto di satira (che del diritto di espressione costituisce una specie) debba trovare nel buon gusto, nell'autocontrollo, nel rispetto degli altri e delle altrui culture, dei naturali criteri di auto-limitazione che non significano, ovviamente, rinunciare al sorriso ironico o anche caustico e sarcastico ma, semmai, rinunciare allo sghignazzo irridente, allo sberleffo carico di disprezzo e programmaticamente irriverente.
Si tratta, come è ovvio, di criteri di autolimitazione che dovrebbero sorgere spontanei e che ben difficilmente potrebbero patire delle ( del resto estremamente ardue e anche rischiose) limitazioni formali; ma che, appunto, dovrebbero trovare senso nelle regole non scritte di convivenza civile e di rispetto per gli altri e che potrebbero trovare "sanzione" solo nel rifiuto della comunicazione che ad esse non si ispiri. E ciò vale, secondo me, sia per la satira politica, sia, a maggior ragione, per quella religiosa.
Roma 8 gennaio 2015
PS. A conferma, se necessaria, della indipendenza di queste considerazioni dai tragici eventi parigini, che tuttavia ne costituiscono la dolorosa occasione, dichiaro di non aver mai sfogliato il Charlie Hebdo e pertanto di non saper assolutamente dire se la satira ivi espressa in vignette risponda o non risponda ai criteri che mi sembra giusto invocare.
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