Trombe e flauti
( di
Felice Celato)
Dunque
pare proprio (vedasi Corriere della sera
del 5 novembre, pg 23 e, più in dettaglio,
World Bank Group “Prosperity for all – Ending extreme poverty”,
2014) che, non ostante l’aumento della popolazione mondiale e non ostante la
crisi del 2008, negli ultimi 30 anni l’incidenza percentuale degli umani in
condizioni di estrema povertà si sia ridotto dal 45% della popolazione mondiale
rilevato nel 1981 al 15% del 2011 (praticamente riducendosi ad un terzo), a
ritmi probabilmente sconosciuti a qualsiasi altro periodo della storia. A
questa massiccia uscita dalla condizione di estrema povertà hanno
verosimilmente corrisposto un
allungamento della vita media ed un innalzamento delle condizioni di vita delle
fasce di umanità posizionate immediatamente sopra il livello di povertà
estrema, come documenta, su base secolare, questo bellissimo video (che forse
ho già segnalato su questo blog ma
che ogni tanto vale la pena di riguardare):
Se
riflettiamo sul fatto che quel 15% è “incarnato” da più di 1 miliardo di esseri
umani, non c’è che da restare addolorati ed insoddisfatti dei progressi, anche
se nel 1981 quel 43% era fatto di quasi 2 miliardi di uomini. E tuttavia,
ragionando in termini dinamici, non possiamo che constatare gli enormi benefici
generati (non senza problemi prospettici, si badi bene!) dalla liberalizzazione dei mercati e degli
scambi sia di merci che di servizi, che di capitali avvenuta su scala globale. E
ciò con buona pace dei tanti tenaci sconoscitori di numeri e di aspiranti
populisti su scala globale che quotidianamente suonano le trombe contro
globalizzazione, mercati, competizione, capitalismo, finanza, delocalizzazioni,
etc.
Bene,
direte voi: e perché vieni a cantarci queste lodi del mercato globale?
La
mia risposta: perché, nella cupezza dello scenario Italiano (sclerotizzato da
chiacchiere vuote e da comportamenti da Corriere
dei Piccoli, nel migliore dei casi), mi piace trovare conforto, mentre attendo scettico l'annunciata bomba d'acqua su Roma, in scenari
più larghi e in visioni più ampie, a costo di misurarmi con la possibile accusa
di “mercatismo”, termine d'uso Tremontiano col quale ben difficilmente mi identifico.
Del mercato conosco, credo
abbastanza bene, le virtù e le pecche: non
lo santifico certo [i
santi infatti, essendo buoni per natura, non avrebbero bisogno – come il mercato
– di Antitrust nazionali, Europee, Americane,
etc., di Consob nazionali, Europee, Americane, etc., di Banca d’Italia e di BCE
e di altre Banche centrali Europee, Americane, etc., di mille leggi e regolamenti, nazionali, Europei,
Americani, etc., che li disciplinino], né
lo demonizzo [perché
i demoni, essendo cattivi per natura, non creano – come hanno fatto i mercati
nella storia dell’uomo – crescenti massa di ex-poveri, non allungano la vita
media di masse ingenti di ex-malati, non finanziano la ricerca medica e
scientifica, non stimolano gli uomini a fare sempre meglio, a produrre beni a
costi sempre più bassi, a muoversi con mezzi di trasporto sempre più convenienti
e veloci, a comunicare, a parlarsi coi mezzi di comunicazione prodotti a costi sempre più bassi e messi a
disposizione di masse inimmaginabili di persone (siamo arrivati a 7 miliardi di cellulari nel
mondo, di cui 3,5 in Asia !), a cercarsi da un oceano all’altro per scambiarsi
conoscenze].
Semplicemente
dovremmo saperli valutare, questi aspetti, con occhio sereno e con realismo
antropocentrico: è l’uomo che fa degli strumenti un uso benefico o un uso
malefico (Caritas in Veritate, capp.
35 e 36), a seconda delle sue inclinazioni etiche. Prendersela con lo strumento
è come immaginare che al flauto vada il merito di magistrali interpretazioni
del flautista o il demerito di eventuali sue cattive esecuzioni.
Roma, 6 Novembre 2014
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