sabato 18 giugno 2022

Parole

Elusione

(di Felice Celato)

Quando guardo con ansia l’intreccio dei nodi che arrivano al pettine (anche, ma non solo, come esito provvisorio di questa guerra insensata che ci ripiomba nel passato) mi viene in mente una parola che l’uso ha, in qualche modo, corroso: l’elusione [NB: dal latino ludere, giocare, beffare, ingannare, col prefisso e; stesso etimo di illusione, dal latino ludere, col prefisso in]. 

A forza di cronache giudiziarie, l’elusione è diventata un concetto di natura tributaria: l’elusione fiscale (la tax avoidance nel linguaggio internazionale, cioè la sottrazione di materia tassabile attraverso costruzioni negoziali formalmente lecite), in parte sovrapposta o contrapposta all’evasione fiscale (la tax evasion, cioè la sottrazione di materia tassabile attraverso illeciti occultamenti).

Ma l’elusione è, più in generale, un meccanismo dialettico attraverso il quale, per esempio, evitiamo di rispondere ad una domanda che ci viene rivolta; o un concreto comportamento attraverso il quale ci sottraiamo ad una verifica cui saremmo soggetti (per es. eludere la sorveglianza); o anche (e forse soprattutto) un meccanismo psicologico attraverso il quale evitiamo di occuparci di problemi che percepiamo come difficili da risolvere o, comunque, da affrontare; una sorta di tutela della propria incoscienza.

Bene: di questa tutela abbiamo per anni fatto un uso, appunto, incosciente. Gli esempi (i nodi che ora arrivano o rischiano di arrivare, tutti insieme, al pettine) sono numerosi (e clamorosi): dall’eterno problema del debito pubblico (di cui qui abbiamo parlato più volte), a quello della produttività del lavoro (il nostro già grave gap col resto dell’Europa tende a crescere nel tempo), a quello della politica energetica e della sua diversificazione (basti pensare al nucleare, alla rinuncia alla coltivazione degli ingenti giacimenti di gas in Adriatico, ai termovalorizzatori, alla distribuzione geo-politica degli approvvigionamenti), a quello del governo saggio e lungimirante dei flussi migratori, a quello della debolezza del nostro capitale umano, etc..

E’ sin troppo evidente il pay-back politico (di corto corso) che sta alla base di questa fiera dell’elusione: chi non vorrebbe essere protetto dai problemi? Chi non vorrebbe essere esentato dalla fatica del risolverli? Chi non vorrebbe ascoltare le lusinghe della deviazione retorica (tipo: il problema è un altro!)? Chi non vorrebbe credere che, per tutto sanare, c’è sempre un bonus o un ristoro, da erogare coi denari di altri? Facendo il verso ad una canzonetta di tanti anni fa, il nostro inno è diventato elusione, dolce chimera sei tu!

Ma non tutto e non sempre può essere eluso e (direbbe Omero, in Odissea, IX) l’esca dilettosa dell’autoinganno, mangiando del soave loto, inevitabilmente ci porta a sbandir dal petto la contrada natia.

E’ troppo tardi? Non credo ed in ogni caso mi auguro di no. Viviamo la nostra  vita politica in un momento di grave frattura, internazionale, senz’altro, ma anche nazionale: lo scollamento fra rappresentatività politica e governo del paese fiacca la coesione del sistema, tendendo a dilatare il divario fra le pulsioni elusive e il principio di realtà in un momento in cui si stanno innescando rischi assai seri, sicuramente più seri di quelli che, solo un anno fa, potevamo prevedere. Ma proprio la dimensione dei rischi potrebbe aprire uno squarcio di coscienza del reale che, in contesti meno drammatici, ci sfuggiva. Nonostante tutto, questo si può almeno sperare (ma non chiedetemi perché). Anzi, si deve.

Roma, 18 giugno 2022 

 

 

 

 

 

 

 

  

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