domenica 5 giugno 2022

Appropriatezza

Linguaggi e vocalizzi

(di Felice Celato)

Il fastidio (di più: la nausea) e la fatica di questi tempi nostrani offrirebbero molti spunti per la loro stessa oggettivazione, almeno con riferimento al nostro angusto contesto valligiano; ma indagarli – questi spunti – sarebbe un esercizio triste e tutto sommato generatore di ulteriori disgusti, di cui nessuno veramente cosciente sente il bisogno: meglio lasciarli al loro prepotente erompere, quando – come diceva mia madre – il troppo è troppo (e accade più spesso di quanto non ne scriva).

Mi soffermerò invece brevemente sul più superficiale (e al tempo stesso più generalizzato) dei fastidi che mi suscita la lettura dei giornali, non (solo) per i fatti che vi si leggono ma anche per i modi con cui (molto spesso) questi stessi vengono commentati: l’inappropriatezza dei linguaggi.

Se si cerca sul dizionario Treccani, l’appropriatezza del linguaggio viene definita prevalentemente nel suo significato linguistico, nel senso cioè della proprietà linguistica dell’esprimersi. Per carità, ascoltando (o leggendo) molti dei discorsi che si sentono fare dai nostri opinion leaders (per i nostri politicanti sarebbe meglio dire opinions followers, data la loro soggezione al piacionismo opinionale) si pongono inquietanti interrogativi anche sotto questo profilo; ma non è  questo che, qui, più mi preoccupa (in fondo alle gravi carenze culturali del nostro paese abbiamo fatto l’abitudine; e l’ascolto quotidiano di quel che si pensa o si dice, da noi, in ambito politico – e, spesso, giornalistico – è l’esercizio più sconfortante che si possa consigliare a chi cerchi di capire dove siamo diretti).

C’è invece un profilo della appropriatezza che ha a che fare con la gravitas (forse direbbe Calenda, che ha utilmente “riesumato” il concetto), cioè il rigore, la serietà, la dignità, la consistenza dell’argomentare in materie tanto delicate ed importanti quali sono quelle che sono affidate a chi, dei fatti e delle idee, è chiamato ad assumersi la responsabilità, per la buona ragione che li deve governare (i fatti) ed esporre (i fatti e le idee) in maniera coerente con il ruolo ricoperto, con la serietà delle circostanze, con la gravità delle conseguenze degli enunciati e con l’estrema complessità delle situazioni che viviamo. Non si può parlare di delicati equilibri internazionali, di problematici assetti economici, energetici e politici, di trattative estremamente complesse e rischiose, di situazioni (anche non nuove) gravide di conseguenze da soppesare (finalmente!) con l’attenzione che meritano, senza usare un linguaggio appropriato a quelle delicatezze, complessità, rischiosità, ricadute. [Men che meno, ovviamente, si possono decentemente proporre alla pubblica attenzione “ideone” destinate a durare l’espace d’une nuitmagari configurando azioni, più o meno bizzarre, destinate solo a compiacere le ambizioni di proedria (da Treccani: diritto di sedere nei primi posti a teatro, nei teatri dell’Antica Grecia in particolare) di personaggi che in contesti più seri faticherebbero a trovare posto in loggione].

Bene, anzi male; ma a questo sconcertante concerto di vocalizzi inappropriati, mi pare ci siamo fatti avvezzi (complici tanti talk-shows televisivi!) al punto che siamo disposti ad accettare che, per esempio, una precisazione polemica diventi – su molti giornali – uno schiaffo o uno sbugiardamento; un ribasso di borsa un crollo, come un rialzo uno schizzo; un aumento dei prezzi un’impennata, o, viceversa, un calo dei valori una frana; un’opinione di una banca d’affari una minaccia al Paese o, viceversa, un endorsement mafioso; una riforma del gravoso sistema pensionistico una stangata; un realistico richiamo ai gravissimi problemi del debito pubblico una bufala ricorrente; un (fondatissimo) dubbio sulle distorsioni del reddito di cittadinanza un attacco ai poveri; e così via, come si potrebbe esemplificare a lungo, anche uscendo dal perimetro politico-economico.

                       

Oggi è il giorno di Pentecoste, la festa cardine della cristianità, nella quale si celebra l’affidamento della Verità all’opera dello Spirito Santo nella storia (una terza e "definitiva" fase della Rivelazione). E’ veramente notevole che la prima manifestazione esterna di questa “consegna” venga descritta negli Atti degli Apostoli (At. 2, 1-11) attraverso un fenomeno linguistico (dove la lingua è strumento di comunicazione): Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di essi. Ed essi furono tutti pieni dello Spirito Santo. E cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi..... La folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua...Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?... e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio.

Mi pare perciò appropriato ai sensi di questa nota proporre ai miei lettori fideles la rilettura dell’inno allo Spirito Santo che si recita in chiesa: Veni, Sancte Spiritus, et emitte caelitus lucis tuae radium….. 

Roma, 5 giugno 2022

 

 

 

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