Meno male che domani è Cristo
Re
(di
Felice Celato)
Non so
se è il mese di novembre, per me mese di memorie, di nostalgie e di rimpianti;
o se è il sintomo (speriamo di no) di un’ incipiente depressione di meno
transitoria portata (in questo caso prometto di sospendere queste note….magari
contagiose); o se è il puro decorso del tempo esistenziale (volgarmente detto
vecchiaia); ma il semplice sfoglio dei giornali Italiani mi suscita ogni
mattina un’ondata di scoramento e di disgusto che mi resta nell’animo fino a
tarda sera e che, talvolta, aggiunge persino sconforto alle già non facili
nottate. Fateci caso, prendete un giornale e seguitene attentamente anche solo l’impaginazione
che – come diceva un mio storico capo che di media e società ne capiva come pochi – dà il senso all’intero
giornale; per esempio il Corriere della
sera di ieri: le prime 8-10 pagine sono di cronaca a vario titolo nera o
dipinta di nero; e di correlati, sdegnati clamori. L’Italia già di prima mattina ti balza di
fronte con l’aspetto del vecchio
malvissuto di Manzoniana memoria (cap XIII de I promessi sposi, quello del tumulto del pane) che, spalancando due occhi affossati e infocati, contraendo le grinze a
un sogghigno di compiacenza diabolica, con le mani alzate sopra una canizie
vituperosa, agitava in aria un martello, una corda, quattro gran chiodi, con
che diceva di volere attaccare il vicario a un battente della sua porta,
ammazzato che fosse.
Seguono,
poi, 7-8 pagine di parlare del parlare
(copyright De Rita), la quotidiana
dose di pretenziose banalità, nelle quali la
nostra incapacità di generare aspettative (copyright ancora De Rita) sfoga la sua impotenza in reciproci
rancori.
Il
resto della giornata, per la verità, aggiunge all’esordio mattutino pochi
conforti se non fosse per qualche lettura che talora riesce a portarti lontano
dalla insostenibile noia del presente, magari verso più spirabil aere….ai campi
eterni, al premio che i desideri avanza; insomma – per me – nel cuore della
speranza cristiana, alla quale mi guida l’ennesima ri-lettura dell’Introduzione al Cristianesimo di Joseph
Ratzinger, un testo che fa respirare (e per questo ne rileggo poche pagine al
giorno, come fossero la riserva di ossigeno che talora si somministra a chi ha
difficoltà respiratorie).
Vabbè!
Per non indugiare nella mondana cupezza, cambiamo discorso, magari restando nel campo
delle letture.
Fatalmente,
però, non è confortante, almeno dal mio punto di vista, nemmeno il bel libro di
Luca Ricolfi Sinistra e popolo -
Il conflitto politico nell’era dei populismi, Longanesi, 2017, che ho
appena finito di leggere. Ma vale la pena di parlarne brevemente (ne raccomando
vivamente la lettura, specie a chi si pone le stesse mie domande su che cosa
possa aspettarci dall’anno che viene) perché il libro incrocia due temi – la
globalizzazione e il populismo (o, come sarebbe meglio dire, i populismi) – che
in questi ultimi tempi hanno costituito l’argomento di diverse nostre conversazioni asincrone.
In estrema sintesi (il libro è molto vasto, non ostanti le
“sole” 250 pagine, e il tentarne una sintesi, per di più estrema, non può che
risultare altamente riduttivo e forse anche goffo) Ricolfi ritiene che la sinistra
abbia perduto l’occasione di intercettare la domanda di protezione che i ceti
più deboli (ai quali si era storicamente votata) hanno sviluppato, negli ultimi
trent’anni e nei paesi occidentali, di fronte ai rischi dei nuovi assetti del
mondo (liberalizzazione dei movimenti di capitali, servizi e merci; imponenti
dinamiche migratorie); e che i populismi che si sono diffusi, in diverso grado
e forme politiche, nei paesi occidentali siano il frutto – quanto si vuole
acerbo – di questa non soddisfatta domanda di protezione (economica e sociale).
Il successo di questo avvicendamento (fra sinistra e
populismo) nel ruolo di interprete delle paure e dei bisogni dei (nuovi) più
deboli nel processo di globalizzazione, dipenderà largamente (prevede Ricolfi)
dalla crescita economica e dal contenimento dei flussi migratori: nei paesi
economicamente più dinamici e più organizzati nella gestione dei flussi
migratori è ragionevole pensare che la
rivolta dei popoli si fermi al di qua della soglia di governo. In quelli ad
economia stagnante e immigrazione incontrollata è
possibile che le forze populiste si impadroniscano del governo, da sole o con
alleanze più o meno inedite.
Per strade meno argomentate questa è anche la mia convinzione;
data la natura delle alternative ho – sorprendentemente – cessato di angosciarmene.
Roma 25 settembre 2017
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