sabato 25 novembre 2017

Letture d'autunno

Meno male che domani è Cristo Re
(di Felice Celato)
Non so se è il mese di novembre, per me mese di memorie, di nostalgie e di rimpianti; o se è il sintomo (speriamo di no) di un’ incipiente depressione di meno transitoria portata (in questo caso prometto di sospendere queste note….magari contagiose); o se è il puro decorso del tempo esistenziale (volgarmente detto vecchiaia); ma il semplice sfoglio dei giornali Italiani mi suscita ogni mattina un’ondata di scoramento e di disgusto che mi resta nell’animo fino a tarda sera e che, talvolta, aggiunge persino sconforto alle già non facili nottate. Fateci caso, prendete un giornale e seguitene attentamente anche solo l’impaginazione che – come diceva un mio storico capo che di media e società ne capiva come pochi – dà il senso all’intero giornale; per esempio il Corriere della sera di ieri: le prime 8-10 pagine sono di cronaca a vario titolo nera o dipinta di nero; e di correlati, sdegnati clamori.  L’Italia già di prima mattina ti balza di fronte con l’aspetto del vecchio malvissuto di Manzoniana memoria (cap XIII de I promessi sposi, quello del tumulto del pane) che, spalancando due occhi affossati e infocati, contraendo le grinze a un sogghigno di compiacenza diabolica, con le mani alzate sopra una canizie vituperosa, agitava in aria un martello, una corda, quattro gran chiodi, con che diceva di volere attaccare il vicario a un battente della sua porta, ammazzato che fosse.
Seguono, poi, 7-8 pagine di parlare del parlare (copyright De Rita), la quotidiana dose di pretenziose banalità, nelle quali la nostra incapacità di generare aspettative (copyright ancora De Rita) sfoga la sua impotenza in reciproci rancori.
Il resto della giornata, per la verità, aggiunge all’esordio mattutino pochi conforti se non fosse per qualche lettura che talora riesce a portarti lontano dalla insostenibile noia del presente, magari verso più spirabil aere….ai campi eterni, al premio che i desideri avanza; insomma – per me – nel cuore della speranza cristiana, alla quale mi guida l’ennesima ri-lettura dell’Introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger, un testo che fa respirare (e per questo ne rileggo poche pagine al giorno, come fossero la riserva di ossigeno che talora si somministra a chi ha difficoltà respiratorie).
Vabbè! Per non indugiare nella mondana cupezza, cambiamo discorso, magari restando nel campo delle letture.
Fatalmente, però, non è confortante, almeno dal mio punto di vista, nemmeno il bel libro di Luca Ricolfi Sinistra e popolo - Il conflitto politico nell’era dei populismi, Longanesi, 2017, che ho appena finito di leggere. Ma vale la pena di parlarne brevemente (ne raccomando vivamente la lettura, specie a chi si pone le stesse mie domande su che cosa possa aspettarci dall’anno che viene) perché il libro incrocia due temi – la globalizzazione e il populismo (o, come sarebbe meglio dire, i populismi) – che in questi ultimi tempi hanno costituito l’argomento di diverse nostre conversazioni asincrone.
In estrema sintesi (il libro è molto vasto, non ostanti le “sole” 250 pagine, e il tentarne una sintesi, per di più estrema, non può che risultare altamente riduttivo e forse anche goffo) Ricolfi ritiene che la sinistra abbia perduto l’occasione di intercettare la domanda di protezione che i ceti più deboli (ai quali si era storicamente votata) hanno sviluppato, negli ultimi trent’anni e nei paesi occidentali, di fronte ai rischi dei nuovi assetti del mondo (liberalizzazione dei movimenti di capitali, servizi e merci; imponenti dinamiche migratorie); e che i populismi che si sono diffusi, in diverso grado e forme politiche, nei paesi occidentali siano il frutto – quanto si vuole acerbo – di questa non soddisfatta domanda di protezione (economica e sociale).
Il successo di questo avvicendamento (fra sinistra e populismo) nel ruolo di interprete delle paure e dei bisogni dei (nuovi) più deboli nel processo di globalizzazione, dipenderà largamente (prevede Ricolfi) dalla crescita economica e dal contenimento dei flussi migratori: nei paesi economicamente più dinamici e più organizzati nella gestione dei flussi migratori  è ragionevole pensare che la rivolta dei popoli si fermi al di qua della soglia di governo. In quelli ad economia stagnante e immigrazione incontrollata  è possibile che le forze populiste si impadroniscano del governo, da sole o con alleanze più o meno inedite.
Per strade meno argomentate questa è anche la mia convinzione; data la natura delle alternative ho – sorprendentemente – cessato di angosciarmene.
Roma 25 settembre 2017
















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