Un giovane amico
(di Felice Celato)
Se ne è andato, in fretta, Enrico, dopo l’ultimo
caffè, dopo una birra e una pizza al sole della terrazza del golf.
Gli è venuto meno il soffio della vita che pure apparteneva di diritto ai suoi 43
anni, per quanto sofferti.
Gli amici, la
chitarra, le inquiete canzoni, l'amore dalle donne, non sono bastati per legarlo ai giorni, quando quel soffio si è fatto più flebile.
La canzone che cantava parlava di un viaggio verso “la terra che aspettiamo “ che “sarà come una mamma che rimbocca i nostri
sogni”.
Non gli sfuggiva, però, la sofferenza del viaggio; la
conosceva, del resto, la sofferenza, non ostanti i suoi giovani anni, ma gli
pareva una garanzia: “arriveremo prima se
soffriamo” diceva Enrico nella sua canzone.
Già solo a metà del viaggio, la sua terra continuava a
sognarla bella, sì, ma – ora gli pareva – solo “ bella da lontano”; all’approdo, poi, “non era quella che sembrava, ha sbagliato capitano, mi sa dire – ora – dove siamo?”.
E dunque s’è frettolosamente allontanato dalla terra dove era
arrivato con sofferenza inutile, come portato da un capitano che forse ha sbagliato la rotta.
E, in silenzio, s’è rimesso in viaggio, di nuovo, per un’altra
terra.
Che ti sia dolce, Enrico, quest’altra terra dove già sei
arrivato, dolce come una mamma che rimbocchi i tuoi sogni di quiete! Ti faccia
compagnia la tua chitarra mentre canti, stavolta, nella terra bella da vicino. Bella per sempre.
Roma 27 novembre 2017
Nessun commento:
Posta un commento