Immaginare il proprio futuro
(di Felice Celato)
Il primo venerdì di dicembre è dedicato, ogni anno, ad uno
sguardo d’insieme all’annuale Rapporto Censis sulla situazione sociale del
paese. Come sanno tutti i lettori più antichi di queste conversazioni
asincrone, da molti anni considero quest’evento “culturale” come il più
importante dell’anno per chi vuole farsi un’idea ragionata e documentata delle
evoluzioni (o delle involuzioni) del nostro tessuto sociologico e, magari,
estrarne qualche probabile ipotesi di macro
tendenza del futuro. Quest’anno – per il concomitante, tristissimo saluto
funebre che abbiamo tributato ad un giovane amico scomparso (cfr. il post di qualche giorno fa) – per la prima
volta in forse vent’anni non ho partecipato alla presentazione del Rapporto e
quindi non ho usufruito delle chiavi di lettura che, da sempre, ne dà il
Presidente del Censis, Giuseppe De Rita. Le brevi considerazioni che seguono
sono quindi il frutto della diretta lettura delle Considerazioni Generali che
accompagnano i corposi capitoli di questa estesa auscultazione del sociale, da
compulsare a rate per non fare indigestione (ho visto che già le agenzie
giornalistiche diffondono numeri; come ammiro quelli che capiscono al volo e al
volo capiscono il senso dei numeri!).
In sintesi estrema tuttavia, l’analisi del Censis, come
emerge da così poco, mi pare orientata a confermare la fotografia del nostro
corpo sociale scattata negli più recenti: la
società italiana, come un compulsivo frequentatore dei social network, ha ridotto il proprio tasso di impegno e
di coinvolgimento e accresciuto l’insofferenza a coltivare l’arte del
distinguere [del discernere, si direbbe qui] a fronte dell’affacciarsi prepotente di una cultura della simulazione,
dello strumento simulativo come esercizio singolo o collettivo….lasciando la
politica con il fiato corto, nell’incessante inseguimento di un quotidiano “mi
piace”, nella personale verticalizzazione di presenza mediatica, distratta da
ogni forma di articolazione degli obbiettivi e dei metodi per conseguirli, con
programmi di governo del Paese e delle sue città tanto annunciati quanto
inattuati.
Ciò, beninteso, senza ignorare, come è solida tradizione
istituzionale (e, in fondo, passione) del Censis, i complessi (e spesso
contraddittori) processi di adattamento in corso in molti strati della nostra
società: quella Italiana è una società
che vede [forse e finalmente]
l’uscita dal lungo ciclo di regressione economica grazie all’aver messo a
valore i movimenti lenti e progressivi lungo le linee di semplificazione
settoriale, ma [e qui sta, secondo me, il drammatico problema] evitando di mettere mano alla
modernizzazione delle funzioni essenziali.
Mentre, però, una buona parte della società italiana ha
saputo [in qualche modo] ascoltare se
stessa, alimentando una voglia di futuro poco visibile ma consistente…
risalendo lungo la via dello sviluppo, ….il sistema politico e di governo [a
mio giudizio, stavolta, l’inevitabile bersaglio del Censis]…continua ad arrancare e ad affacciarsi a finestre di occasionale
visibilità….distraendosi dal dovere di favorire l’insediamento del nuovo nel
codice genetico dei soggetti dello sviluppo. Sicché un Paese invecchiato, ferito ed incerto, rimane
condizionato dalle nubi minacciose che
all’orizzonte si vedono ancora, incollando
il futuro al presente, come se
l’attesa del nuovo, la frontiera che separa l’oggi dal domani, si riduc[a] a poca cosa e si confid[i] nel fatto che presto troveremo nella
tecnologia le risposte alla crisi di questi anni.
Di qui, quella che mi è parsa la parola-chiave del Rapporto
di quest’anno: il consumo dell’immaginazione
del futuro, un consumo avvenuto senza
sostituzione, per deflazione delle
aspettative, come sintesi di un nostro deficit
culturale, politico e sociologico, che inevitabilmente intrappola il paese
lungo una faglia instabile tenuta ferma – finché regge – dal giuoco
mediatico a bassa intensità di futuro cui si limita chi ha responsabilità
di governo.
Non aggiungerei altro a questi meri accenni di una estrema
sintesi; se non l’invito, come ogni anno, a procurarsi e leggere attentamente
(e lentamente) il rapporto del Censis.
Mi preme però spendere poche righe sul generico mormorio che
avverto ogni volta che mi rivolgo a considerare la situazione del nostro Paese
[ne accennavo qui qualche settimana fa, “difendendomi” dall’accusa di coltivare
un vezzo Prezzoliniano di anti-italianità]: se c’è, fra i miei pazienti
lettori, qualche leone ( o leonessa) dotato di acuminati artigli per aggredire
il presente e sbarazzarlo di ogni sua incongrua frequentazione, beh!, che lo
faccia, e subito, per favore! Io coi miei quasi 70 anni (e poi dopo questo
funereo novembre!) non posso che limitarmi a scuotere la testa girandomi
dattorno. Leggendo la radiografia del Censis, mi pare almeno di non essere solo,
per paradossale fortuna. Forse, però, serve anche mettere un dito impietoso nelle
piaghe.
Roma 1° dicembre 2017
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