venerdì 1 dicembre 2017

Auscultazioni sociali

Immaginare il proprio futuro
(di Felice Celato)
Il primo venerdì di dicembre è dedicato, ogni anno, ad uno sguardo d’insieme all’annuale Rapporto Censis sulla situazione sociale del paese. Come sanno tutti i lettori più antichi di queste conversazioni asincrone, da molti anni considero quest’evento “culturale” come il più importante dell’anno per chi vuole farsi un’idea ragionata e documentata delle evoluzioni (o delle involuzioni) del nostro tessuto sociologico e, magari, estrarne qualche probabile ipotesi di macro tendenza del futuro. Quest’anno – per il concomitante, tristissimo saluto funebre che abbiamo tributato ad un giovane amico scomparso (cfr. il post di qualche giorno fa) – per la prima volta in forse vent’anni non ho partecipato alla presentazione del Rapporto e quindi non ho usufruito delle chiavi di lettura che, da sempre, ne dà il Presidente del Censis, Giuseppe De Rita. Le brevi considerazioni che seguono sono quindi il frutto della diretta lettura delle Considerazioni Generali che accompagnano i corposi capitoli di questa estesa auscultazione del sociale, da compulsare a rate per non fare indigestione (ho visto che già le agenzie giornalistiche diffondono numeri; come ammiro quelli che capiscono al volo e al volo capiscono il senso dei  numeri!).
In sintesi estrema tuttavia, l’analisi del Censis, come emerge da così poco, mi pare orientata a confermare la fotografia del nostro corpo sociale scattata negli più recenti: la società italiana, come un compulsivo frequentatore dei social network, ha ridotto il proprio tasso di impegno e di coinvolgimento e accresciuto l’insofferenza a coltivare l’arte del distinguere [del discernere, si direbbe qui] a fronte dell’affacciarsi prepotente di una cultura della simulazione, dello strumento simulativo come esercizio singolo o collettivo….lasciando la politica con il fiato corto, nell’incessante inseguimento di un quotidiano “mi piace”, nella personale verticalizzazione di presenza mediatica, distratta da ogni forma di articolazione degli obbiettivi e dei metodi per conseguirli, con programmi di governo del Paese e delle sue città tanto annunciati quanto inattuati.
Ciò, beninteso, senza ignorare, come è solida tradizione istituzionale (e, in fondo, passione) del Censis, i complessi (e spesso contraddittori) processi di adattamento in corso in molti strati della nostra società: quella Italiana è una società che vede [forse e finalmente] l’uscita dal lungo ciclo di regressione economica grazie all’aver messo a valore i movimenti lenti e progressivi lungo le linee di semplificazione settoriale, ma [e qui sta, secondo me, il drammatico problema] evitando di mettere mano alla modernizzazione delle funzioni essenziali.
Mentre, però,  una buona parte della società italiana ha saputo [in qualche modo] ascoltare se stessa, alimentando una voglia di futuro poco visibile ma consistente… risalendo lungo la via dello sviluppo, ….il sistema politico e di governo [a mio giudizio, stavolta, l’inevitabile bersaglio del Censis]…continua ad arrancare e ad affacciarsi a finestre di occasionale visibilità….distraendosi dal dovere di favorire l’insediamento del nuovo nel codice genetico dei soggetti dello sviluppo. Sicché un Paese invecchiato, ferito ed incerto, rimane condizionato dalle nubi minacciose che all’orizzonte si vedono ancora, incollando il futuro al presente, come se l’attesa del nuovo, la frontiera che separa l’oggi dal domani, si riduc[a] a poca cosa e si confid[i] nel fatto che presto troveremo nella tecnologia le risposte alla crisi di questi anni.
Di qui, quella che mi è parsa la parola-chiave del Rapporto di quest’anno: il consumo dell’immaginazione del futuro, un consumo avvenuto senza sostituzione, per deflazione delle aspettative, come sintesi di un nostro deficit culturale, politico e sociologico, che inevitabilmente intrappola il paese lungo una faglia instabile tenuta ferma – finché regge –  dal giuoco mediatico a bassa intensità di futuro cui si limita chi ha responsabilità di governo.
Non aggiungerei altro a questi meri accenni di una estrema sintesi; se non l’invito, come ogni anno, a procurarsi e leggere attentamente (e lentamente) il rapporto del Censis.
Mi preme però spendere poche righe sul generico mormorio che avverto ogni volta che mi rivolgo a considerare la situazione del nostro Paese [ne accennavo qui qualche settimana fa, “difendendomi” dall’accusa di coltivare un vezzo Prezzoliniano di anti-italianità]: se c’è, fra i miei pazienti lettori, qualche leone ( o leonessa) dotato di acuminati artigli per aggredire il presente e sbarazzarlo di ogni sua incongrua frequentazione, beh!, che lo faccia, e subito, per favore! Io coi miei quasi 70 anni (e poi dopo questo funereo novembre!) non posso che limitarmi a scuotere la testa girandomi dattorno. Leggendo la radiografia del Censis, mi pare almeno di non essere solo, per paradossale fortuna. Forse, però, serve anche mettere un dito impietoso nelle piaghe.
Roma  1° dicembre 2017





                            

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