Confini/frontiere 2
(di Felice Celato)
I lettori di questo blog
sanno bene che il tema dei confini e delle frontiere da sempre mi suggestiona;
non a caso, il primo post sull’argomento
(titolo sempre Confini/Frontiere) risale
agli “albori” di queste nostre conversazioni asincrone e, curiosamente, è
risultato – nei quasi sette anni di vita del blog – il post di gran
lunga più letto (1200 volte); forse perché il tema è di per sé suggestivo, non solo per me, magari proprio
come tema dei giorni che vive il nostro mondo. E, in sostanza, in un’ottica a
metà fra il letterario e l’emozione personale, che dicevamo, lì, dei confini?
Che
sono meri strumenti di classificazione della realtà e, come tali,….non hanno
una loro definitoria consistenza se non nella nostra connaturata esigenza di
ordinare ciò che è intrinsecamente non ordinabile.
Bene. Oggi eccomi a
segnalare un libro (Frontiere,
Il Mulino 2017, di Manlio Graziano), che, in un’ottica storico-politica
(l’autore è un professore di geopolitica presso la Sorbona di Parigi) e con
largo spettro di osservazione nello spazio e nel tempo, fornisce un quadro
sostanzialmente simile a quello delle nostre elucubrazioni: le frontiere sono uno fra i tanti oggetti
politici, nel senso che hanno un
carattere pluridimensionale e multifunzionale, e la loro impronta politica,
giuridica, sociale, morale e anche psicologica muta nel tempo e nello spazio.
Da qui, l’interrogativo naturale: le frontiere sono sempre d’attualità? La risposta è inevitabilmente
ambigua: sono al tempo stesso senescenti
e d’attualità:
senescenti, perché l'integrazione tra i mercati, le migrazioni, le armi intercontinentali, il diritto
internazionale e l'informazione digitale hanno intaccato il principio di
sovranità di cui esse si portavano garanti; d'attualità perché il loro
indebolimento ha coinciso con la rottura degli equilibri sociali, con la
trasformazione dei rapporti di forza tra le potenze e con il rimescolamento di
territori e identità…. Per molti osservatori, il ritorno di fiamma della sovranità nazionale è
la prova che lo Stato-nazione non è in crisi o perlomeno che, se prima era in
crisi, ora non lo e più. È assai più probabile invece che il ritorno di fiamma
della sovranità nazionale sia proprio la manifestazione più acuta di quella
crisi, esplosa quando è apparso evidente che le alternative allo Stato-nazione
– la liberalizzazione dei mercati, la creazione di vaste aree di libero
scambio, la formazione di unioni doganali e perfino di unioni politiche e
monetarie – non offrivano le stesse garanzie di prosperità e di sicurezza dei
vecchi Stati-nazione. Il ripristino della sovranità è apparso dunque la
soluzione più ovvia e più alla portata, corredata da una riaffermazione
dell’identità nazionale – qualsiasi cosa voglia dire – e incoronata dalla riabilitazione
delle frontiere. Come se la prosperità e la sicurezza dei vecchi Stati-nazione
fossero dipese dall’impermeabilità delle loro frontiere o dalla purezza della
loro identità nazionale e non dal fatto che quegli stati avevano il monopolio
quasi esclusivo dei mercati mondiali: un monopolio che non c’è più e che non
tornerà mai più. L’isolazionismo e l’autosufficienza non sono oggi più
possibili perché ogni tipo di produzione è legato da mille fili al mercato
mondiale e spezzarne una significa spezzarli tutti e rendere irrealizzabile
ogni tipo di produzione. ……L’errore del protezionismo non è solo quello di volere rimediare al
rallentamento dell’attività economica rallentando ulteriormente l’attività
economica. L’errore è “storico” perché rimanda al precedente degli anni ’30 del
Novecento e alle sue tragiche conseguenze. [Le sottolineature - di ogni genere - sono mie].
Queste citazioni, intergralmente
attinte dall’Introduzione del libro,
mi pare esprimano molto bene l’intero succo del testo che offre, però, come
accennavo, una messe di ragionate esemplificazioni che raccomando alla lettura
di tutti. La mia personale opinione, per qual poco che vale, coincide
largamente con quella dell’Autore (vedasi per esempio post Il “pensiero” semplicista, dell’11 luglio di quest’anno); ma
non è per questo che segnalo questo libro, veramente molto interessante anche dal punto
di vista storico.
Roma, 3 dicembre 2017 (I° domenica di avvento, tempo di
attesa e di speranza; ne sento proprio il bisogno)
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