venerdì 15 dicembre 2017

Italica

Il testamento biologico
(di Felice Celato)
“La vita è il vento, la vita è il mare, la vita è il fuoco; non la terra che si incrosta e assume forma”, diceva Pirandello; figuriamoci se la legge - parole che descrivono la vita e ne disciplinano le forme - può essere vento, mare o fuoco: nessuna legge, per quanto perfetta, può pretendere di tenere il conto di quell’impasto di ragioni, sentimenti, passioni, emozioni e slanci di volontà che anima la vita dell’uomo; di fronte alla vita, la legge è destinata, per sua natura, ad essere imperfetta, come lo sarebbe una fotografia che pretenda di narrare nel dettaglio una lunga storia.
Con questa non recente convinzione e col fastidio che mi provoca ogni sguardo alle “attività” della politica Italiana, ho scorso le cronache dei commossi peana e degli sdegnati epicedi che hanno accompagnato, con parallela emotiva esagerazione, l’approvazione della legge sul  cosiddetto testamento biologico; una legge che sarà pure imperfetta - non sono, per mia fortuna, un esperto della materia ma almeno ho letto il testo della legge, peraltro pomposamente ed inutilmente verboso - ma che, in fondo, stabilisce una serie di facoltà rimesse al libero (e perciò fonte di responsabilità morali) apprezzamento ed esercizio dei cittadini; facoltà, del resto, aventi effetto unicamente in capo a chi le esercita.
Non sono così rozzo da non considerare la funzione della legge nell’ indirizzo del costume e della sensibilità dei cittadini; o da non sapere che il legislatore è un Giano bifronte che deve guardare, continuamente e allo stesso tempo, innanzi e dietro di sé; ma qui - credo - si verte in una materia largamente “giudicata” dal costume (e per certi aspetti anche in sede di magistero morale della Chiesa)  e - per una volta, in questo paese così amante delle restrizioni alle libertà dei cittadini -  francamente concessiva senza essere (almeno a parer mio) in alcun modo allarmante.
Poi - ne sono più che convinto! – rimane intatta, almeno per il cittadino credente, l’eterna questione di Antigone, che però si pone per quel che venisse imposto dalla legge dello Stato in conflitto con quella di Dio; non può valere per ciò che lo Stato (bontà sua, direbbe ogni buon  statolatra) ci conceda di fare, anche rimettendo alla valutazione del singolo la gestione  di tale eventuale conflitto. Si dirà: ma allora il medico può  - ove lo ritenga opportuno - non dare corso – quando è chiamato a farlo – alle disposizioni del testamento biologico? Sì, secondo quello che ho capito, per ragioni tecniche in certi casi; no (o meglio: non esplicitamente) per sue ragioni morali. Discutibile? Forse. Ma, credo, nella concretezza delle probabili situazioni, non al punto da sollevare complicati o frequenti casi di coscienza. E ancora: ma l’idratazione e l’alimentazione forzata sono una terapia (e come tale rifiutabile)? Forse non propriamente ma sono pur sempre – come dice Avvenireatti di sostegno vitale proposti al paziente, nel senso che senza la loro somministrazione il paziente morrebbe; e dunque perché sono diversi dalla respirazione forzata?
Non voglio apparire liquidatorio o risultare superficiale o non pienamente conscio delle implicazioni possibili di questo orientamento legislativo. Del resto, come dicevo, per mia fortuna non mi sono mai trovato a vivere i tormenti di una decisione in tali ambiti. Dico solo che, stando al testo approvato dal Parlamento, mi pare il caso di essere, stavolta, meno  insoddisfatti del solito dell’operato del cosiddetto Legislatore.
Roma 15 dicembre 2017







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