Il testamento biologico
(di Felice Celato)
“La vita è il
vento, la vita è il mare, la vita è il fuoco; non la terra che si incrosta e
assume forma”,
diceva Pirandello; figuriamoci se la legge - parole che descrivono la vita e ne
disciplinano le forme - può essere vento, mare o fuoco: nessuna legge, per
quanto perfetta, può pretendere di tenere il conto di quell’impasto di ragioni,
sentimenti, passioni, emozioni e slanci di volontà che anima la vita dell’uomo;
di fronte alla vita, la legge è destinata, per sua natura, ad essere
imperfetta, come lo sarebbe una fotografia che pretenda di narrare nel
dettaglio una lunga storia.
Con
questa non recente convinzione e col fastidio che mi provoca ogni sguardo alle
“attività” della politica Italiana, ho scorso le cronache dei commossi peana e
degli sdegnati epicedi che hanno accompagnato, con parallela emotiva
esagerazione, l’approvazione della legge sul
cosiddetto testamento biologico; una legge che sarà pure imperfetta -
non sono, per mia fortuna, un esperto della materia ma almeno ho letto il testo
della legge, peraltro pomposamente ed inutilmente verboso - ma che, in fondo,
stabilisce una serie di facoltà rimesse al libero (e perciò fonte di
responsabilità morali) apprezzamento ed esercizio dei cittadini; facoltà, del
resto, aventi effetto unicamente in capo a chi le esercita.
Non sono così
rozzo da non considerare la funzione della legge nell’ indirizzo del costume e
della sensibilità dei cittadini; o da non sapere che il legislatore è un Giano
bifronte che deve guardare, continuamente e allo stesso tempo, innanzi e dietro
di sé; ma qui - credo - si verte in una materia largamente “giudicata” dal
costume (e per certi aspetti anche in sede di magistero morale della Chiesa) e - per una volta, in questo paese così amante
delle restrizioni alle libertà dei cittadini -
francamente concessiva senza essere (almeno a parer mio) in alcun modo
allarmante.
Poi
- ne sono più che convinto! – rimane intatta, almeno per il cittadino credente,
l’eterna questione di Antigone, che però si pone per quel che venisse imposto
dalla legge dello Stato in conflitto con quella di Dio; non può valere per ciò
che lo Stato (bontà sua, direbbe ogni buon statolatra)
ci conceda di fare, anche rimettendo alla valutazione del singolo la gestione di tale eventuale conflitto. Si dirà: ma
allora il medico può - ove lo ritenga
opportuno - non dare corso – quando è chiamato a farlo – alle disposizioni del
testamento biologico? Sì, secondo quello che ho capito, per ragioni tecniche in
certi casi; no (o meglio: non esplicitamente) per sue ragioni morali.
Discutibile? Forse. Ma, credo, nella concretezza delle probabili situazioni,
non al punto da sollevare complicati o frequenti casi di coscienza. E ancora:
ma l’idratazione e l’alimentazione forzata sono una terapia (e come tale
rifiutabile)? Forse non propriamente ma sono pur sempre – come dice Avvenire – atti di sostegno vitale proposti al paziente, nel senso che senza
la loro somministrazione il paziente morrebbe; e dunque perché sono diversi
dalla respirazione forzata?
Non
voglio apparire liquidatorio o risultare superficiale o non pienamente conscio
delle implicazioni possibili di questo orientamento legislativo. Del resto,
come dicevo, per mia fortuna non mi sono mai trovato a vivere i tormenti di una
decisione in tali ambiti. Dico solo che, stando al testo approvato dal
Parlamento, mi pare il caso di essere, stavolta, meno insoddisfatti del solito dell’operato del
cosiddetto Legislatore.
Roma
15 dicembre 2017
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