giovedì 28 dicembre 2017

Dal 2017 al 2018

Il cuore e la ragione
(di Felice Celato)
Domanda: come sarà il 2018? Risposta sicuramente saggia: non lo sappiamo!
Domanda: vabbè, ma come ce lo aspettiamo? Risposta cauta: dipende!
Domanda: da che dipende? Risposta auspicabilmente saggia: dipende da quel che pensiamo del presente e dalla nostra propensione a proiettare sul futuro l’immagine del presente; e quindi dalla nostra speranza di vedere ripetersi le cose buone del presente o dal nostro timore di vedere ripetersi le cose cattive del presente. Anzi, poiché – come direbbe sant’Agostino – il presente, nell’istante in cui lo consideriamo presente, è già passato, forse ciò che proiettiamo sul futuro (sperandolo o temendolo) è il passato, magari recente perché più recentemente lo abbiamo conosciuto.
Lasciando da parte ciò che è concretamente stato per ciascuno di noi, il 2017 è stato per il nostro paese un anno futile: non ostanti le favorevoli condizioni per farlo (forse addirittura irripetibili nel loro sovrapporsi), non abbiamo affrontato nessuno dei problemi che avremmo dovuto affrontare (produttività sistemica, debito pubblico, riforma dello stato e delle sue opprimenti propaggini) e abbiamo vivacchiato, dopotutto nemmeno male, della ripresa del mondo; anzi – con la riforma elettorale – abbiamo messo saldi presupposti perché il 2018 sia più futile, più rissoso e più instabile del 2017 .
E tuttavia io sono lungi dal ritenere che l’Italia sia l’ombelico del mondo. Ma, guardandomi d’attorno, purtroppo mi pare di poter dire che il 2017 non sia stato un buon anno nemmeno per il mondo o, almeno, per quello occidentale: si è consolidata – è vero – una diffusa ripresa economica ( della quale, come dicevo, in parte abbiamo beneficiato) ma complessivamente si è accresciuto il grado di “nervosismo” del nostro mondo, per l’appannarsi di alcune storiche leadership (l’americana prima di tutto) e per l’emersione di fragilità politiche e strutturali tutte europee. Come abbiamo certamente notato (si veda, da ultimo, il post Letture del 3 dicembre) esiste anche una probabile matrice comune per tali scuotimenti: le società avanzate sentono il pungolo della globalizzazione e lo esorcizzano coltivando oscure aspirazioni isolazioniste e protezioniste cui corrispondono confuse domande di protezione, in gran parte fondate sul rimpianto di un mondo che non c’è più e che – a meno di tragici scenari – ben difficilmente tornerà ad esserci.
E dunque, anche considerando lo scenario allargato, stando al 2017 non ci sarebbero solidi motivi per attendersi un grande 2018, né in Italia né nel mondo occidentale.
Purtuttavia – lo si sarà capito altre volte – rispetto al mondo nel suo complesso non riesco ad essere pessimista (come mi riesce tanto bene quando penso al nostro Paese): non ostanti gli errori commessi e le minacce planetarie (energia, risorse naturali), la scommessa sul futuro (in buona sostanza: la fiducia che la “torta globale” possa continuare a crescere anche più della crescita del numero degli umani, come in fondo sta avvenendo da molti anni) mi pare ancora fondata, per quanto intense possano essere le turbative legate alla macro-redistribuzione della ricchezza implicata dalla globalizzazione. Certamente questo tipo di approccio al futuro postula una capacità di comprensione dei fenomeni in corso che troppo spesso cozza con le prospettive di breve termine delle politiche. Da questo punto di vista, manca – e questo è un tema fondamentale – l’apporto di una vera leadership culturale che possa assecondare una diffusa presa di coscienza dei “rimescolamenti” in atto nel mondo: il mondo lato sensu nord-occidentale non sarà più ricco come lo è diffusamente stato per secoli; e quello lato sensu sud-orientale vedrà sempre più rapidamente allontanarsi le larghe sacche di povertà del suo passato, fino a tendere a livelli della qualità della vita simili a quelli del comparto nord-occidentale; la dimensione e la dinamica degli aggiustamenti già vorticosamente in corso dipenderà in larga parte dai tempi della redistribuzione anche delle supremazie culturali e tecnologiche (e anche militari, inutile ogni vuoto irenismo).
Detto ciò – me ne rendo conto – del 2018 sappiamo ancora meno di quanto dicevamo all’inizio. Sul futuro, a poco serve il nostro ragionare; meglio affidarsi alle aspettative del cuore: e dunque, auguri di cuore a tutti!
(Ma – dice Manzoni – che sa il cuore? Appena poco di quello che è già accaduto).
Roma 28 dicembre 2017


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