Pensieri per una
visita al cimitero
(di Felice Celato)
Il decorso del tempo avvicina alla morte: un po’, come è
ovvio, perché accorcia la vita che ci aspetta; ma un po’ anche perché accresce
la nostra pre-esperienza della morte. Della morte, infatti, per umana esperienza sappiamo solo quello
che abbiamo visto negli altri, specie in quelli più cari e vicini: l’improvviso
buio, inatteso, fulminante, talora sconvolgente; oppure il lento declino della
luce terrena, spesso condito dal dolore; il senso del vuoto negli affetti di
chi assiste impotente a quello spegnersi della luce vitale; le estreme domande. Per naturale decorso della vita, quest’ umana esperienza diventa più spessa col decorrere degli anni, quasi
a prepararci a quell’esperienza diretta che si avvicina a passi inesorabili e
della quale nessuno ha mai riferito.
Noi cristiani sappiamo per fede che sia che viviamo sia che moriamo, siamo del Signore (Rm, 14, 8); e
per questo della morte del corpo, in sé, non abbiamo paura (quand’anche
temessimo, come è naturale, il dolore che talora accompagna questo nuovo parto): quando, al momento della morte, la relazione con Dio si realizza
pienamente nell’incontro con “Colui che non muore”…allora siamo nella vita;
allora viviamo. (Benedetto XVI, Spe
salvi, 27). Forse è per questo che nel Simbolo degli Apostoli diciamo Credo…..nella comunione dei santi, la
quale riunisce assieme tutti coloro –
mondanamente “vivi” o “morti” - che hanno
ricevuto lo Spirito (J. Ratzinger, Introduzione
al cristianesimo, Queriniana, 2005, pg 325); e, quindi, ci mantiene uniti a
quelli che ci hanno preceduto nell’Incontro, anche dopo che per esso ci hanno
lasciato; siano essi Santi conclamati, santi silenziosi ed ignoti, santi per la
vita che ci hanno dedicato o, solo, fatti santi dal Perdono che fa di nuovo
giusti tutti gli uomini
Mi ripetevo queste cose nell’apparecchiarmi ai pochi passi
sulla ghiaia triste del cimitero dei miei cari, dove questi pensieri danno il
senso al semplice rito di questi giorni. Mentre riflettevo, però, non ho potuto
fare a meno, da uomo amante della ragione, di domandarmi: come spiegare questo
“sentire” su un blog che, fra i suoi
lettori, ha – diciamo – almeno un 50% di convinti increduli?
Il fatto è, cari amici increduli (veri o immaginari che
siate, originari o di ritorno, attenti o distratti dal mondo, integrali o
semplicemente anticlericali), che ciò che noi cristiani crediamo è il contenuto
di una Rivelazione (custodita, meditata ed elaborata nei secoli) alla quale
abbiamo scelto – l’opzione fondamentale
– di abbandonarci, per sfuggire a quella mancanza di senso che
condivideremmo con voi se non credessimo.
Non trovo parole migliori di quelle che seguono (J. Ratzinger, già cit., pg 37 e sg) per spiegare
questo concetto: per quanto energicamente
[il non credente ] possa atteggiarsi
a positivista, che già da un pezzo si è lasciato alle spalle ogni tentazione e
suscettibilità soprannaturale, vivendo attualmente solo di coscienza immediata,
la segreta incertezza se il positivismo abbia davvero l’ultima parola non lo
abbandonerà mai….Allo stesso modo in cui il credente ha la netta consapevolezza
di essere continuamente minacciato dall’incredulità, così la fede resta per
l’incredulo una continua minaccia ed una tentazione incombente sul suo mondo
apparentemente sempre chiuso. In una parola: non si sfugge al dilemma
dell’essere uomini. Chi pretende di sfuggire l’incertezza della fede dovrà fare
i conti con l’incertezza dell’incredulità, la quale, dal canto suo, non potrà
nemmeno dire con inoppugnabile certezza se la fede non sia realmente la verità.
In fondo, “solo” quest’opzione
fondamentale ci divide, cari amici increduli: credere vuol dire aver deciso
che il vedere, l’udire e il toccare
non fissano i limiti del nostro mondo e che esiste
una seconda forma di accesso alla realtà dalla quale è anche possibile
trarre il senso di un’esistenza veramente umana. Ciò che non può essere visto, quello che non può entrare nel nostro
raggio visivo, non è affatto l’irreale, ma è anzi l’autentica realtà: quella
che sorregge e rende possibile ogni altra realtà.
Ecco…..semplicemente da tutto ciò prendono senso i nostri
passi sulla ghiaia triste.
Roma 28 ottobre 2017
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