martedì 10 ottobre 2017

Piccoli dibattiti / 2

Ruminazioni e altre spigolature
(di Felice Celato)
Rimuginando fra me e me il problema del popolo come mito (che da qualche tempo mi appassiona), ovvero (cfr. post dell’altro giorno) del popolo golem dei politici populisti, mi sono spostato a considerare il mito negativo che il popolo come mito postula: le élites corrotte e immorali. Dico subito che il mito negativo mi lascia perplessità non meno gravi di quelle che mi suscita il popolo come mito (positivo): per ragioni di vita mi è capitato il caso di aver frequentato a lungo ambienti dei quali facilmente si presumerebbe l’elitarismo (culturale, sociale e perfino economico); da vecchio come ormai sono, lontano ormai da ogni rapporto con le élites come categoria sociologica ma geloso custode delle poche amicizie che magari in tali ambienti mi è capitato di sviluppare e che tuttora conservo (e si tratta peraltro – ormai – solo di élites intellettuali), posso guardare con distacco al mondo che ho attraversato, convinto  di avervi trovato luminosi costruttori di bene e spietati egocentrici, meravigliosi gentiluomini e paludati farabutti, avidi affamati e disinteressati facitori, competenti e cialtroni impenitenti; né più né meno di quanto mi è accaduto di incontrare nel mondo del cosiddetto popolo che ho pure a lungo frequentato; se posso dire: qui mancava solo il paludamento; talora. Non ho trovato caratteristiche morali distintive; semmai solo culturali (e con le debite eccezioni).
Le élites – si dice, quando, intelligentemente, ci si allontana dal loro mito negativo e ci si avventura nella storia – hanno commesso degli errori. Non ho difficoltà a crederlo (è appena uscito un libro di Paolo Mieli, Il caos Italiano – Alle radici del nostro dissesto, che non ho ancora letto e che, pare, ne fa un censimento storico da leggere). Come ne ha commessi (di errori) il popolo nella sua più mitizzata configurazione (guardavo l’altro giorno un bellissimo video – pubblicato da corriere.it – delle folle oceaniche osannanti all’annuncio delle leggi razziali in Italia: avranno anche sbagliato le élites che hanno reso possibile il fascismo ma il fascismo stesso è indubbiamente stato un fenomeno di popolo; e l’antifascismo, per lunghi anni, un fenomeno di élites, culturali, ancora). Come (sempre di errori)  ne commette (o ne può commettere) ogni singolo uomo macinato dalla macchina della storia; commentando le reazioni che aveva suscitato il suo famoso libro La banalità del male, Hannah Arendt scriveva: abbiamo preteso che gli esseri umani siano capaci di distinguere il bene dal male anche quando per guidare se stessi non hanno altro che il proprio raziocinio; il quale può essere completamente frastornato dal fatto che tutti coloro che li circondano hanno altre idee.
Mentre ruminavo queste cose, anche frugando in qualche libro letto in tempi diversi, mi è capitato per caso sotto gli occhi questo brano del professor Giuseppe Bedeschi (ne: Il liberale che non c’è, di AA.VV., Castevecchi 2015) che, fatalmente, richiama il tema applicandosi alla genesi del nostro debito pubblico; poiché i miei lettori sanno bene quanto l’argomento mi appassiona (e preoccupa) non ho trovato niente di meglio che trascrivervelo, come tappa (provvisoria) della ruminazione in corso: Proprio la vicenda del nostro debito pubblico dimostra, credo, come sia impossibile cercare una formula assolutoria del tipo: in tutti questi decenni la nostra società civile  è stata sana, ma è stata vittima di una cattiva gestione della cosa pubblica, messa in atto dalla nostra classe politica. No, in quel debito pubblico ci sono infinite «voci» che si sono riversate sulla società civile, la quale le richiedeva con tutte le sue forze: dalla massiccia evasione fiscale (che non è mai stata affrontata seriamente, con sistemi efficaci) alle pensioni-baby, alle «pensioni di anzianità» (come venivano chiamate ipocritamente, per occultare il fatto che si trattava di «pensioni di giovinezza», perché permettevano di lasciare il lavoro a poco più di cinquant'anni anni, quando la vita media aveva raggiunto e superato gli ottanta), alle innumerevoli pensioni di invalidità (fasulla), agli infiniti privilegi concessi a innumerevoli corporazioni, e via enumerando. Tutti uniti in quest'opera vergognosa e dissennata: uniti gli elettori e gli eletti, i partiti e i sindacati, la società civile e la società politica. In un Paese che non ha più nessuna cognizione dello Stato, della nazione, del bene comune, della tutela delle giovani generazioni, e che vede soltanto il «particulare», in un tale Paese i privilegi dei gruppi, delle corporazioni, delle singole categorie, si sono imposti, e hanno formato un formidabile mastice, che ha tenuto e tiene insieme un tutto indistinto, privo di identità e di idealità. 
Seguiranno forse ulteriori ruminazioni (per gli improbabili appassionati del tema).

Roma 10 ottobre 2017



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