Popolo e mito
(di
Felice Celato)
Perché
– mi chiede un amico solitamente attento a quel che diciamo su questo blog
– dobbiamo dare per scontato che il fondamento di ogni populismo sia – come
abbiamo più volte detto, l’altro giorno anche citando un saggio di J-W. Muller –
il mito del popolo (moralmente puro, completamente unificato,
infallibile nella sua volontà, etc) anziché
il senso di un popolo, il giusto senso di un popolo come entità
collettiva, senza connotazioni irrazionali? [N.B. L’amico è un raffinato
cultore di storia della filosofia e perciò istintivamente portato a
contrapporre mythos a logos, cioè il mito alla ragione, come è
avvenuto sin dagli albori della nostra civiltà occidentale.]
Bene,
mi proverò a rispondere empiricamente. Chi ha mai visto il popolo? Folle più o meno compatte, sì: allo stadio
per esempio, lungo le strade del Giro d’Italia o a piazza san Giovanni o a
piazza Venezia, piccoli assembramenti di gente in coda agli uffici pubblici,
gente che ascolta silenziosa la predica del predicatore brillante, gente seduta
in una sala cinematografica; oppure singoli individui che fanno la stessa cosa
ogni giorno, in gran parte senza conoscersi (chi va al lavoro frettolosamente,
chi accompagna i bambini a scuola, chi visita una mostra), singoli avventori di
un bar in attesa davanti al banco del caffè, casalinghi telespettatori appassionati, i
clienti di un supermercato. Il popolo come tale non s’è mai visto;
nemmeno quando, secondo la retorica democratica, “si reca ordinatamente a
votare”: individui accomunati dallo stesso rito. E se si cercasse un’opinione
comune fra queste scintille di umanità, si resterebbe enormemente delusi dalla
molteplicità dei punti di vista e, spesso, dalla loro disarmante
superficialità. Allora bisogna riconoscere che il popolo è
un’astrazione, come lo sono buona parte dei nomi collettivi: l’umanità, la
gioventù, la stampa, il fogliame, la frutta, etc. Un’astrazione che sembrerebbe
coincidere – nella nostra cultura democratica – con quella di cittadinanza, di
cittadini nel loro complesso. Senonché, anche qui coincidenza non c’è. Il
cardinale Bergoglio, quando era ancora un cardinale Argentino, coglieva bene la
differenza: Cittadini è una categoria logica. Popolo è una categoria storica
e mitica, scriveva in Noi cittadini, noi come popolo (Jaca Book
2013, pg 37); e aggiungeva: Popolo non può spiegarsi solo in maniera logica;
contiene un plus di significato che ci sfugge se non ricorriamo ad altri
modi di comprensione, ad altre logiche ed ermeneutiche. E recentemente, da
Papa, è ritornato sul tema, anche citando un antropologo Argentino (Rodolfo
Kusch) che avrebbe ispirato le Sue convinzioni e correggendo l’Osservatore
Romano che, travisando una Sua frase, aveva scritto che il popolo è un concetto
mistico. Non mistico, ma mitico, precisa papa Francesco, perché il
popolo si fa in un processo, con l’impegno in vista di un obbiettivo o un
progetto comune.
Bene,
torniamo ai nostri (qui) più laici interessi. Una volta immaginato il golem (la
massa ancora priva di forma, divenuta la figura antropomorfa della mitologia
ebraica), gli si possono attribuire le più disparate proprietà. Compresa quella
di avere un’opinione, una volontà, una pulsione operativa, nelle quali si
riflettono, ovviamente, le nostre opinioni, volontà, pulsioni; che lui, in
proprio, non può avere, per il semplice fatto che è un mito; e i miti non hanno
opinioni. Ma – e qui giungiamo all’incrocio modernissimo fra comunicazione e
politica – un mito utile perché convoglia ai cittadini una loro…. pre-opinione,
cioè un’opinione che precede la vera (ed eventuale) opinione (che – l’abbiamo
detto tante volte – presuppone l’individualità e la “fatica” del pensare) e
che, per il semplice fatto di essere pre-fabbricata e pronta all’uso contro
qualcuno genericamente addebitato di tutti i mali, fa presa. E la presa diventa efficacia politica
espansiva se promanante da un’entità, da un golem, moralmente puro,
infallibile espressione di un’unica volontà. Almeno per un po’.
Per
concludere: non basterebbe ad un movimento politico, come vuole il mio amico,
avere il senso del popolo per cogliere tutti i successi che i movimenti
populisti stanno conseguendo nel mondo; perché avere il senso del popolo
è un processo unilaterale, una sensibilità che resta patrimonio di chi la ha;
occorre invece che si abbia il mito del popolo perché si attivi lo
“scambio”: da un lato, la somministrazione di opinioni pre-fabbricate,
omaggiate del requisito dell’infallibilità (perché assunte come “del popolo”) e
aggregate nel disprezzo per qualcuno (tipicamente : le élites,
indistintamente corrotte); e, dall’altro, il consenso votante nell’assunto che
chi lo richiede farà quanto il popolo è convinto di credere e di volere. E’ per
questo ombroso risvolto della rappresentanza, dice il già citato Muller, che i
populisti sono pericolosi per la democrazia. Ed è per questo che i veri
populisti hanno assoluto bisogno del mito del popolo.
Roma 5 ottobre 2017 (festa di Santa Faustina Kowalska)
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