giovedì 5 ottobre 2017

Piccoli dibattiti

Popolo e mito
(di Felice Celato)
Perché – mi chiede un amico solitamente attento a quel che diciamo su questo blog – dobbiamo dare per scontato che il fondamento di ogni populismo sia – come abbiamo più volte detto, l’altro giorno anche citando un saggio di J-W. Muller – il mito del popolo (moralmente puro, completamente unificato, infallibile nella sua volontà, etc) anziché il senso di un popolo, il giusto senso di un popolo come entità collettiva, senza connotazioni irrazionali? [N.B. L’amico è un raffinato cultore di storia della filosofia e perciò istintivamente portato a contrapporre mythos a logos, cioè il mito alla ragione, come è avvenuto sin dagli albori della nostra civiltà occidentale.]
Bene, mi proverò a rispondere empiricamente. Chi ha mai visto il popolo?   Folle più o meno compatte, sì: allo stadio per esempio, lungo le strade del Giro d’Italia o a piazza san Giovanni o a piazza Venezia, piccoli assembramenti di gente in coda agli uffici pubblici, gente che ascolta silenziosa la predica del predicatore brillante, gente seduta in una sala cinematografica; oppure singoli individui che fanno la stessa cosa ogni giorno, in gran parte senza conoscersi (chi va al lavoro frettolosamente, chi accompagna i bambini a scuola, chi visita una mostra), singoli avventori di un bar in attesa davanti al banco del caffè, casalinghi telespettatori appassionati, i clienti di un supermercato. Il popolo come tale non s’è mai visto; nemmeno quando, secondo la retorica democratica, “si reca ordinatamente a votare”: individui accomunati dallo stesso rito. E se si cercasse un’opinione comune fra queste scintille di umanità, si resterebbe enormemente delusi dalla molteplicità dei punti di vista e, spesso, dalla loro disarmante superficialità. Allora bisogna riconoscere che il popolo è un’astrazione, come lo sono buona parte dei nomi collettivi: l’umanità, la gioventù, la stampa, il fogliame, la frutta, etc. Un’astrazione che sembrerebbe coincidere – nella nostra cultura democratica – con quella di cittadinanza, di cittadini nel loro complesso. Senonché, anche qui coincidenza non c’è. Il cardinale Bergoglio, quando era ancora un cardinale Argentino, coglieva bene la differenza: Cittadini è una categoria logica. Popolo è una categoria storica e mitica, scriveva in Noi cittadini, noi come popolo (Jaca Book 2013, pg 37); e aggiungeva: Popolo non può spiegarsi solo in maniera logica; contiene un plus di significato che ci sfugge se non ricorriamo ad altri modi di comprensione, ad altre logiche ed ermeneutiche. E recentemente, da Papa, è ritornato sul tema, anche citando un antropologo Argentino (Rodolfo Kusch) che avrebbe ispirato le Sue convinzioni e correggendo l’Osservatore Romano che, travisando una Sua frase, aveva scritto che il popolo è un concetto mistico. Non mistico, ma mitico, precisa papa Francesco, perché il popolo si fa in un processo, con l’impegno in vista di un obbiettivo o un progetto comune.
Bene, torniamo ai nostri (qui) più laici interessi. Una volta immaginato il golem (la massa ancora priva di forma, divenuta la figura antropomorfa della mitologia ebraica), gli si possono attribuire le più disparate proprietà. Compresa quella di avere un’opinione, una volontà, una pulsione operativa, nelle quali si riflettono, ovviamente, le nostre opinioni, volontà, pulsioni; che lui, in proprio, non può avere, per il semplice fatto che è un mito; e i miti non hanno opinioni. Ma – e qui giungiamo all’incrocio modernissimo fra comunicazione e politica – un mito utile perché convoglia ai cittadini una loro…. pre-opinione, cioè un’opinione che precede la vera (ed eventuale) opinione (che – l’abbiamo detto tante volte – presuppone l’individualità e la “fatica” del pensare) e che, per il semplice fatto di essere pre-fabbricata e pronta all’uso contro qualcuno genericamente addebitato di tutti i mali, fa presa.  E la presa diventa efficacia politica espansiva se promanante da un’entità, da un golem, moralmente puro, infallibile espressione di un’unica volontà. Almeno per un po’.
Per concludere: non basterebbe ad un movimento politico, come vuole il mio amico, avere il senso del popolo per cogliere tutti i successi che i movimenti populisti stanno conseguendo nel mondo; perché avere il senso del popolo è un processo unilaterale, una sensibilità che resta patrimonio di chi la ha; occorre invece che si abbia il mito del popolo perché si attivi lo “scambio”: da un lato, la somministrazione di opinioni pre-fabbricate, omaggiate del requisito dell’infallibilità (perché assunte come “del popolo”) e aggregate nel disprezzo per qualcuno (tipicamente : le élites, indistintamente corrotte); e, dall’altro, il consenso votante nell’assunto che chi lo richiede farà quanto il popolo è convinto di credere e di volere. E’ per questo ombroso risvolto della rappresentanza, dice il già citato Muller, che i populisti sono pericolosi per la democrazia. Ed è per questo che i veri populisti hanno assoluto bisogno del mito del popolo.

Roma 5 ottobre 2017 (festa di Santa Faustina Kowalska)

Nessun commento:

Posta un commento