martedì 24 ottobre 2017

Mah!

Perplessità referendarie
(di Felice Celato)
Sui referendum del Lombardo Veneto abbiamo già espresso le nostre perplessità col post dell’altro giorno. Oggi i giornali italiani offrono una larga messe di commenti e di valutazioni di varia natura, sugli esiti e sulle prevedibili conseguenze. Perciò non è proprio il caso di improvvisarne qui altre, forse nemmeno dotate di comprabile conoscenza degli ambienti sociologici nei quali si sono svolte le consultazioni di cui discutiamo.
Mi va però di soffermarmi brevemente sul commento che più mi colpito per crudezza e semplicità. Mi riferisco all’articolo dello scrittore Ferdinando Camon su La Stampa di oggi (titolo: Se la capitale diventa un nemico). Non so se è vero quanto vi scrive lo scrittore veneto, commentando il referendum svoltosi nella sua regione: l’uomo veneto odia Roma e tutto ciò che è romano, quindi anche l’Italia, sentita come una provincia romana….L’odio verso Roma è la spinta che fa emergere l’identità dell’uomo veneto, che si manifesta soprattutto come identità economica e fiscale. L’uomo è i soldi che ha. E questo, se così è, non è certamente bello; e – di per sé – sicuramente non foriero di buone cose.
Quel che, fin d’ora, mi appare certo è che dal “successo” del referendum Veneto (quello Lombardo è stato, pare, un mezzo fallimento, organizzativo e numerico; si dice: perché, in realtà, Milano è l’unica città Italiana veramente Europea; il che giustificherebbe però il solo flop numerico) non potranno che nascere non imprevedibili (e forse desiderate) beghe di portata largamente eccedente le nostre capacità di soluzione. Almeno di quelle attualmente messe in vetrina dalla governance politica di questo sciagurato paese.
Lasciamo da parte, perché proprio non mi appassionano, le discussioni sulla natura dell’esito referendario ai fini degli equilibri all’interno della Lega (o della coalizione di centro-destra): politicume inadeguato alla natura, gravità ed urgenza dei nostri problemi, al di là di quello che ne possano pensare gli ideologi dell’ottimismo per principio.
Il fatto è, però, che le interpretazioni che si danno al 98% dei consensi espressi dal 57 % degli elettori veneti (che sono, tutti insieme, meno del 10 % di quelli Italiani) al quesito (deamicisiano, lo definisce Camon) sono a dir poco....vaste; comunque largamente eccedenti l’ambito sociologico della consultazione.  La domanda era: Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia? Ai Sì, si daranno ora le valenze che si vorrà, comprese quelle già enunciate dal presidente della Regione Veneto sui famosi residui fiscali di cui abbiamo parlato nel post precedente.
La vicenda – della quale vedremo presto le conseguenze sul livello di rissosità del nostro ambiente politico, in un tempo che proprio non ne necessita – mi suggerisce una considerazione – se mi è consentito – di natura meta-politica, starei per dire morale, sempre aggrovigliata però sul nodo del rapporto fra opinione pubblica e politica.
Che la politica, in un sistema democratico, abbia necessità di un saldo rapporto col detentore del potere (il dèmos) è cosa fisiologica, insita negli stessi meccanismi della rappresentanza: i politici, per così dire, si nutrono delle istanze del popolo e – attraverso il meccanismo che li seleziona e li rende (o dovrebbe renderli) idonei allo scopo – le interpretano, le rappresentano e, quando è possibile, le trasformano in azione di governo, politicamente e tecnicamente mediata. Di più: nell’esercitare tale rappresentanza, i politici possono anche alimentare il dèmos di stimoli che ne guidino le sensibilità e ne arricchiscano la capacità di comprendere e anche di desiderare una “riprogettazione” della società in cui vive. E’ questo – se vogliamo – il lato attivo della rappresentanza politica, che, in qualche modo, costituisce l’essenza della leadership che si desidera incarnata dal politico.
Ma, nella vicenda Veneta, siamo lontani, secondo me, da questa fisiologica dinamica che ho cercato di sintetizzare con povere parole. Qui, se è vero l’odio di cui parla Camon, si è fatto leva su di esso per somministrare al popolo una provocazione oscura, nell’intento di generarne una reazione ingenuamente  egoista sulla quale costruire un’azione politica tuttora indefinita, che ora resta tutta affidata alla leadership del Presidente della Regione, nel generato equivoco che essa possa, banalmente, produrre soldi.
Insomma la dinamica della leadership è stata, ancora una volta, utilizzata per “grattare la pancia” di un limitato numero di elettori, al fine di produrre un’eruzione di ostilità destinata all’ esaltazione di un egoismo regionale. Pare – lo scrive Camon – con la “benedizione” del Patriarca di Venezia.
Mah! Rimango perplesso. Ma anche speranzoso di sbagliarmi.
Roma 24 ottobre 2017











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