Perplessità referendarie
(di Felice Celato)
Sui referendum del
Lombardo Veneto abbiamo già espresso le nostre perplessità col post dell’altro giorno. Oggi i giornali
italiani offrono una larga messe di commenti e di valutazioni di varia natura,
sugli esiti e sulle prevedibili conseguenze. Perciò non è proprio il caso di
improvvisarne qui altre, forse nemmeno dotate di comprabile conoscenza degli
ambienti sociologici nei quali si sono svolte le consultazioni di cui
discutiamo.
Mi va però di soffermarmi brevemente sul commento che più mi
colpito per crudezza e semplicità. Mi riferisco all’articolo dello scrittore Ferdinando
Camon su La Stampa di oggi (titolo: Se la capitale diventa un nemico). Non
so se è vero quanto vi scrive lo scrittore veneto, commentando il referendum svoltosi nella sua regione: l’uomo
veneto odia Roma e tutto ciò che è romano, quindi anche l’Italia, sentita come
una provincia romana….L’odio verso
Roma è la spinta che fa emergere l’identità dell’uomo veneto, che si manifesta
soprattutto come identità economica e fiscale. L’uomo è i soldi che ha. E
questo, se così è, non è certamente bello; e – di per sé – sicuramente non foriero
di buone cose.
Quel che, fin d’ora, mi appare certo è che dal “successo”
del referendum Veneto (quello
Lombardo è stato, pare, un mezzo fallimento, organizzativo e numerico; si dice:
perché, in realtà, Milano è l’unica città Italiana veramente Europea; il che
giustificherebbe però il solo flop numerico) non potranno che nascere
non imprevedibili (e forse desiderate) beghe di portata largamente eccedente le
nostre capacità di soluzione. Almeno di quelle attualmente messe in vetrina
dalla governance politica di questo sciagurato paese.
Lasciamo da parte, perché proprio non mi appassionano, le
discussioni sulla natura dell’esito referendario ai fini degli equilibri
all’interno della Lega (o della coalizione di centro-destra): politicume inadeguato alla natura,
gravità ed urgenza dei nostri problemi, al di là di quello che ne possano pensare
gli ideologi dell’ottimismo per principio.
Il fatto è, però, che le interpretazioni che si danno al 98% dei
consensi espressi dal 57 % degli elettori veneti (che sono, tutti insieme, meno
del 10 % di quelli Italiani) al quesito (deamicisiano, lo definisce
Camon) sono a dir poco....vaste; comunque largamente eccedenti l’ambito
sociologico della consultazione. La
domanda era: Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori
forme e condizioni particolari di autonomia? Ai Sì, si daranno ora le valenze che si vorrà, comprese quelle già enunciate dal presidente della
Regione Veneto sui famosi residui fiscali di cui abbiamo parlato nel post
precedente.
La vicenda – della quale vedremo presto le conseguenze sul livello
di rissosità del nostro ambiente politico, in un tempo che proprio non ne
necessita – mi suggerisce una considerazione – se mi è consentito – di natura meta-politica,
starei per dire morale, sempre aggrovigliata però sul nodo del rapporto fra
opinione pubblica e politica.
Che la politica, in un sistema democratico, abbia necessità di un
saldo rapporto col detentore del potere (il dèmos)
è cosa fisiologica, insita negli stessi meccanismi della rappresentanza: i
politici, per così dire, si nutrono delle istanze del popolo e – attraverso il
meccanismo che li seleziona e li rende (o dovrebbe renderli) idonei allo scopo
– le interpretano, le rappresentano e, quando è possibile, le trasformano in
azione di governo, politicamente e tecnicamente mediata. Di più:
nell’esercitare tale rappresentanza, i politici possono anche alimentare il dèmos di stimoli che ne guidino le
sensibilità e ne arricchiscano la capacità di comprendere e anche di desiderare
una “riprogettazione” della società in cui vive. E’ questo – se vogliamo – il
lato attivo della rappresentanza politica, che, in qualche modo, costituisce l’essenza
della leadership che si desidera
incarnata dal politico.
Ma, nella vicenda Veneta, siamo lontani, secondo me, da questa
fisiologica dinamica che ho cercato di sintetizzare con povere parole. Qui, se
è vero l’odio di cui parla Camon, si è fatto leva su di esso per somministrare
al popolo una provocazione oscura, nell’intento di generarne una reazione
ingenuamente egoista sulla quale costruire
un’azione politica tuttora indefinita, che ora resta tutta affidata alla leadership del Presidente della Regione,
nel generato equivoco che essa possa, banalmente, produrre soldi.
Insomma la dinamica della leadership
è stata, ancora una volta, utilizzata per “grattare la pancia” di un limitato
numero di elettori, al fine di produrre un’eruzione di ostilità destinata all’ esaltazione
di un egoismo regionale. Pare – lo scrive Camon – con la “benedizione” del
Patriarca di Venezia.
Mah! Rimango perplesso. Ma anche speranzoso di sbagliarmi.
Roma 24 ottobre 2017
Nessun commento:
Posta un commento