…in vasta materia
( di
Felice Celato)
Non voglio entrare nelle valutazioni giuridiche che afferiscono
(molto criticamente) alla natura ed alla formulazione dei due referendum
consultivi regionali di domenica prossima in Lombardia e Veneto (nel
Lombardo-Veneto, si sarebbe detto nel Risorgimento, quando l’Italia si faceva;
è vero: prima di fare gli Italiani!).
E nemmeno voglio entrare in
quelle di natura economico-fiscale (i cosiddetti residui fiscali) che si
vorrebbe porre a supporto delle rivendicazioni delle regioni interessate: sul
calcolo dei residui fiscali (differenza fra contributi che ciascun
individuo fornisce al finanziamento dell’azione pubblica e benefici che ne riceve
sotto forma di servizi pubblici, misurata, per lo scopo, a livello di aggregati
regionali) anche gli specialisti hanno dubbi molto rilevanti, in ordine ai
criteri di calcolo e, di conseguenza, agli importi menzionati nel mini “dibattito” che va, tardivamente,
nascendo sui giornali.
E tuttavia è bene avere
presente che, in linea di principio, lo scostamento da una teorica uguaglianza
dei residui fiscali dei singoli cittadini (o se si preferisce delle singole
regioni) per modo che ciascuno non riceva solo in ragione di quanto dà, è un
tipico strumento di redistribuzione delle risorse e, in fondo – chiamiamola
così – di solidarietà fiscale. Non a
caso (vedansi i dati pubblicati da Fabrizio Tuzi su lavoce.info del 17
10 17) sono, ovviamente, le regioni a reddito pro-capite più basso (e
quelle a statuto speciale) a ricevere i flussi redistributivi originati in
quelle a reddito pro-capite più alto (e ciò in parziale indipendenza dai
livelli di spesa pubblica pro-capite su base regionale!).
Starei per dire che,
francamente, non ci trovo nulla di strano, né nulla cui abbia senso ribellarsi
sia pure con uno strumento “democratico” come quello del referendum (e
sia pure a base regionale e di natura consultiva): né, infine, ci trovo un
valido fondamento per rivendicare una ridistribuzione delle competenze fra
Stato e Regione. Anzi, al di là di ogni considerazione etica (che pure va
fatta), pur senza essere uno specialista del diritto costituzionale lo
squilibrio dei residui fiscali mi
parrebbe, infatti, una diretta conseguenza del principio, appunto
costituzionale, della solidarietà basata
sulla capacità contributiva (art. 2 e 53 della Costituzione). Quanto alla
conseguente postulazione di ulteriori competenze (a “riequilibrio” degli
squilibrati residui fiscali) penserei che la riforma del Titolo V della
Costituzione (anno 2001 ) abbia già fatto sufficienti danni da imporre un’
urgente riconsiderazione (magari in senso restrittivo).
D’altra parte, però, non si
può non riconoscere che, dal punto di vista “politico” (nel senso deteriore del
termine, come si usa in Italia), l’iniziativa referendaria consultiva del
Lombardo-Veneto sia quanto mai azzeccata: nei modi (in fondo un eventuale esito
positivo per i proponenti non mira ad altro che ad avviare un negoziato
Stato-Regioni, senza “sgarri” in salsa Catalana ); nei tempi (a valle di
fermenti autonomistici europei e a monte di prossime elezioni politiche cui
aggiungere altre motivazioni a presa vivace); e, infine, nelle suggestioni proposte
(non a caso, per esempio, la Lombardia pone - al punto 7 del fascicolo col
quale ha presentato agli elettori il referendum - fra le competenze che
dovrebbero riequilibrare i residui fiscali negativi più alti d’Italia, le
materie di sicurezza, immigrazione ed ordine pubblico).
Ma, lasciatemi dire una
cosa che non crederete, non voglio nemmeno discutere di politica, perché di
questa politica delle opportunità tattiche e contingenti ne ho piene le tasche:
o cominciamo a guardare più avanti del nostro naso o prima o poi batteremo il
muso!
Solo mi voglio porre una
serie di domande, alle quali temo di dover trovare risposte (che, perciò, non
provo a darmi): a che cosa porta - in prospettiva, se si vuole, paradossale
- il ragionamento che sorregge l’iniziativa
in discorso? A un’Italia dei Comuni e magari, poi, delle corporazioni? Che tipo
di cittadini, che tipo di società, che tipo di Stato si immagina chi porta
avanti questi referendum? E in quale personale “versione” dell’Europa?
Quale visione del mondo supporta questo lento “accompagno” dell’interesse
“nazionale”, cui, in tanti tavoli, si dice di tenere, almeno nei confronti
dell’Europa?
Si potrà obbiettare che
siffatto tipo di domande implica l’abbandono della (più realistica e certamente
prevalente) prospettiva tattico-contingente della provocazione referendaria; e forse a ragione. Ma non per questo
diventa accettabile riportare materie che suscitano tali domande all’esito di
due discussi e discutibili processi referendari, sia pure regionali (in 2 delle
21 regioni), sia pure consultivi.
Roma 18 ottobre 2107
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