domenica 15 ottobre 2017

Ecologia della convivenza / 6

L’analisi semantica
(di Felice Celato)
Quattro o cinque anni fa – si era anche allora, come sempre del resto in Italia, in periodo elettorale – su questo blog ci siamo variamente intrattenuti sull’igiene delle opinioni, suggerendoci vicendevolmente varie misure di autoprotezione dal degrado (dall’igiene del linguaggio, al controllo della sanità delle fonti, alla misura nelle dosi di polemica quotidiana, etc).
A distanza di tempo, non si può negare che le sensazioni allarmanti per la nostra convivenza civile siano aumentate. Anzi si sono fatte, se possibile, più vive; da un lato, per la dilagante confusione dei linguaggi e delle parole; e, dall’altro, per il moltiplicarsi di situazioni in cui, in Europa, sembrano manifestarsi i segni di un diffuso cupio dissolvi che, quand’anche variamente innervato, tuttavia alimenta in senso sinergico l’inquietudine sistemica. La quale, a sua volta, proprio per l’essere vaga come ogni inquietudine, alimenta la dispersione dei linguaggi.
Può apparire ingenuo, bizzarro o addirittura sciocco, continuare a ritenere  che, in tale quadro, valga la pena di ancora tornare a concentrarsi su esercizi di controllo delle proprie convinzioni. Eppure, nella chiara percezione della individuale impotenza al cambiamento di questo tipo di dinamiche, per tenace fiducia nelle virtù del ragionare mi va di proporci un ulteriore esercizio che, ho sperimentato, può risultare utile – anzi: salutare – se praticato con costanza e determinazione, soprattutto nel contesto mistificatorio in cui ho la sensazione di vivere: l’analisi semantica. L’analisi semantica, secondo come qui la intendo, è il processo attraverso il quale si assegna un senso ad un’espressione linguistica complessa; attraverso il quale, cioè, i significanti – le parole – vengono confrontati ai loro significati, articolati in un “messaggio” complesso. Proviamo cioè ogni giorno (per un po’, ossessivamente; poi ci verrà più facile) a soffermarci attentamente – ascoltando politici, giornalisti e conduttori televisivi e radiofonici o altri silence fillers nazional-popolari – sull’analisi del significato delle cose che vengono dette. La frequenza impressionante dei messaggi di cui siamo bombardati determina un impercettibile, progressivo sfarinamento dell’attenzione all’analisi dei contenuti; il più delle volte percepiamo il senso di tali messaggi in maniera sintetica, come del resto si sforzano di imporci proprio i lanciatori di tali messaggi per sfruttare canali di memorizzazione e di consenso emotivo pre-razionale; e raramente abbiamo il tempo o la voglia di scendere all’analisi del significato delle singole componenti di un messaggio, perché automaticamente sopravanzati da un nuovo messaggio della stessa natura o di natura diversa, in una concitazione recettiva che, appunto, fa il gioco dei mistificatori di professione o dei mistificatori involontari (cioè quelli che non vorrebbero confondere le idee degli altri; ma che, purtroppo, le hanno confuse loro stessi). Raramente insomma, per dirla con parole semplici, esercitiamo appieno l’attenzione necessaria per cogliere le castronerie che ci vengono propinate all’interno di un discorso che, magari, ci può apparire accattivante, nella sua sintetica “proposizione”. E così il “messaggio” passa, senza essere analizzato, spesso senza essere veramente compreso; e talora fa presa e si stratifica nel nostro repertorio di (superficiali) opinioni.
L’esercizio beninteso non sostituisce quello dell’analisi critica; ne è solo un preambolo economico che serve ad accompagnarci in una prima verifica, ad un primo macro-screening che, magari, ci fa anche risparmiare tempo (di qui la sua qualificazione come esercizio economico); chi parla sa quello che dice? O – se vogliamo esser più buoni – connette coerentemente i significati ai significanti? Se sì, allora vale la pena di accingersi alla analisi critica, che è un esercizio più complesso, più articolato e anche più personale, ma al quale le persone raziocinanti sono – speriamo – già avvezze; altrimenti, forse vale la pena di arrestarsi lì, per non perdere tempo a controbattere (quand’anche nel più interno dei fori) imbecillità allo stato brado. Senza scendere ad esempi che potrebbero apparire sprezzanti, io, avendo ascoltato alcuni discorsi pre-elettorali e programmatici, mi sono convinto che ancora…ancora non valga la pena di esercitare l’analisi critica: proprio non si sapeva – così mi è parso – di che si parlava, anche se gli applausi erano entusiastici!

Roma 15 ottobre 2017

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