L’analisi semantica
(di Felice Celato)
Quattro o cinque anni fa –
si era anche allora, come sempre del resto in Italia, in periodo elettorale –
su questo blog ci siamo variamente
intrattenuti sull’igiene delle opinioni,
suggerendoci vicendevolmente varie misure di autoprotezione dal degrado (dall’igiene
del linguaggio, al controllo della sanità delle fonti, alla misura nelle dosi
di polemica quotidiana, etc).
A distanza di tempo, non si
può negare che le sensazioni allarmanti per la nostra convivenza civile siano
aumentate. Anzi si sono fatte, se possibile, più vive; da un lato, per la
dilagante confusione dei linguaggi e delle parole; e, dall’altro, per il
moltiplicarsi di situazioni in cui, in Europa, sembrano manifestarsi i segni di
un diffuso cupio dissolvi che,
quand’anche variamente innervato, tuttavia alimenta in senso sinergico l’inquietudine
sistemica. La quale, a sua volta, proprio per l’essere vaga come ogni
inquietudine, alimenta la dispersione dei linguaggi.
Può apparire ingenuo,
bizzarro o addirittura sciocco, continuare a ritenere che, in tale quadro, valga la pena di ancora
tornare a concentrarsi su esercizi di controllo delle proprie convinzioni.
Eppure, nella chiara percezione della individuale impotenza al cambiamento di
questo tipo di dinamiche, per tenace fiducia nelle virtù del ragionare mi va di
proporci un ulteriore esercizio che, ho sperimentato, può risultare utile –
anzi: salutare – se praticato con costanza e determinazione, soprattutto nel
contesto mistificatorio in cui ho la sensazione di vivere: l’analisi semantica.
L’analisi semantica, secondo come qui la intendo, è il processo attraverso il
quale si assegna un senso ad un’espressione linguistica complessa; attraverso
il quale, cioè, i significanti – le parole – vengono confrontati ai loro
significati, articolati in un “messaggio” complesso. Proviamo cioè ogni giorno
(per un po’, ossessivamente; poi ci verrà più facile) a soffermarci attentamente
– ascoltando politici, giornalisti e conduttori televisivi e radiofonici o
altri silence fillers
nazional-popolari – sull’analisi del significato delle cose che vengono dette.
La frequenza impressionante dei messaggi di cui siamo bombardati determina un
impercettibile, progressivo sfarinamento dell’attenzione all’analisi dei
contenuti; il più delle volte percepiamo il senso di tali messaggi in maniera
sintetica, come del resto si sforzano di imporci proprio i lanciatori di tali
messaggi per sfruttare canali di memorizzazione e di consenso emotivo
pre-razionale; e raramente abbiamo il tempo o la voglia di scendere all’analisi
del significato delle singole componenti di un messaggio, perché automaticamente
sopravanzati da un nuovo messaggio della stessa natura o di natura diversa, in
una concitazione recettiva che, appunto, fa il gioco dei mistificatori di
professione o dei mistificatori involontari (cioè quelli che non vorrebbero
confondere le idee degli altri; ma che, purtroppo, le hanno confuse loro
stessi). Raramente insomma, per dirla con parole semplici, esercitiamo appieno l’attenzione
necessaria per cogliere le castronerie che ci vengono propinate all’interno di
un discorso che, magari, ci può apparire accattivante, nella sua sintetica
“proposizione”. E così il “messaggio” passa, senza essere analizzato, spesso
senza essere veramente compreso; e talora fa presa e si stratifica nel nostro
repertorio di (superficiali) opinioni.
L’esercizio beninteso non
sostituisce quello dell’analisi critica; ne è solo un preambolo economico che serve ad accompagnarci in
una prima verifica, ad un primo macro-screening
che, magari, ci fa anche risparmiare tempo (di qui la sua qualificazione come
esercizio economico); chi parla sa
quello che dice? O – se vogliamo esser più buoni – connette coerentemente i
significati ai significanti? Se sì, allora vale la pena di accingersi alla
analisi critica, che è un esercizio più complesso, più articolato e anche più
personale, ma al quale le persone raziocinanti sono – speriamo – già avvezze;
altrimenti, forse vale la pena di arrestarsi lì, per non perdere tempo a controbattere
(quand’anche nel più interno dei fori) imbecillità allo stato brado. Senza
scendere ad esempi che potrebbero apparire sprezzanti, io, avendo ascoltato
alcuni discorsi pre-elettorali e programmatici, mi sono convinto che ancora…ancora
non valga la pena di esercitare l’analisi critica: proprio non si sapeva – così
mi è parso – di che si parlava, anche se gli applausi erano entusiastici!
Roma 15 ottobre 2017
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