Sangue giusto
(di Felice Celato)
Dopo tanto tempo e dopo diversi saggi segnalati su queste colonne,
torniamo ad occuparci di letteratura (che per la verità anche come lettore ho
un po’ trascurato in questi ultimi mesi). Lo facciamo col romanzo di Francesca
Melandri Sangue giusto (Rizzoli,
2017) che, anche complici due notti praticamente insonni, ho divorato in tre/quattro
giorni, non ostanti le più di 500 pagine in cui si dipana. Mi pare di aver
detto altre volte che il diritto ad un’estensione
così vasta lo riconosco a pochissimi romanzi; a questo no, ancorché si tratti
di un bellissimo racconto, narrato con una notevole abilità che, tuttavia, non
avrebbe certo sofferto di una qualche sforbiciata. Comunque, l’ho già detto, il
libro nel suo complesso si lascia leggere con piacere e con interesse perché si
confronta con due temi intrecciati fra loro e che, entrambi, ho trovato ben
pensati (e anche narrativamente ben strutturati). Il primo tema è quello più
intimistico: figli che scoprono di non conoscere il loro padre, un padre un
po’…disordinato ma affettuoso ed amato; o, meglio, di avere di lui un’immagine
falsa, costruita nel tempo da interessate narrazioni di sé che molto hanno
taciuto della vera vita vissuta e qualcosa hanno accomodato alle mutate sensibilità
dei tempi. Il secondo tema (quello che fa da principale scenario alle
“scoperte” dei figli sul padre) è costituito dalle politiche coloniali Italiane
ai tempi del fascismo; anzi, più precisamente, dalle tecniche di “governo” dei
territori della cosiddetta Africa Orientale Italiana, fra atteggiamenti
tipicamente colonialisti, ordinarie crudeltà e veri e propri crimini di guerra
(per lo più oscurati dalla nostra auto-percezione come “Italiani, brava
gente”). [N.B. questa parte del libro rivela anche un notevole scrupolo di
ricerca dell’autrice, tanto più significativo quanto più forte è il pudore
nazionale su questi temi, certamente sopravvissuto alla caduta del fascismo; ne
sono una riprova le ampie menzioni fra i “Ringraziamenti” dei supporti ricevuti
nella ricerca].
Intrecciando i due temi, lo si sarà capito, ci troviamo nel bel mezzo
di uno dei topos letterari da me più
amati: l’uomo e la storia, o, meglio, l’uomo “macinato” nei meccanismi della
storia, sballottato dai tempi e talora costretto a non eroici esercizi di
adattamento dei quali si rende conto solo quando se ne allontana. Il silenzioso
protagonista del libro (il padre “sconosciuto”) non è un criminale di guerra e
per lui sicuramente funziona il concetto della banalità del male; è un
vitalissimo galleggiatore spudorato e amorale, che ha fatto della propria
“flessibilità” uno scudo per vivere una vita tutto sommato accettabile,
considerate le drammatiche dinamiche dei tempi che ha attraversato.
Nel suo complesso dunque mi sento di raccomandare ai miei esigenti
lettori il libro intelligente di Francesca Melandri, non ostanti le diverse
pagine in eccesso e qualche indulgenza a giudizi stereotipati su passioni
politiche ancora calde (o meglio: ormai tiepide).
Roma, 3 ottobre 2017
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