Emozioni e commozione
(di
Felice Celato)
Lo
sanno, i miei lettori più antichi, che i giorni di Ognissanti e della
Commemorazione dei morti mi suscitano un flusso di emozioni e di ricordi sui
quali mi viene naturale indugiare (anche su queste “colonne”, diventate diario
per l’occasione) perché li vivo con animo grato per tutto quello che ho avuto
dalla Fede, dalla fede nella comunione dei santi e dall’amore dei miei cari
passati.
C’è
un bellissimo passaggio conclusivo della liturgia cattolica dei defunti che mi
commuove ogni volta che lo sento recitare, perché congiunge mirabilmente –
quasi con grazia coreografica – il mondo da cui la morte ci allontana con
quello nel quale crediamo che vivremo e nel quale speriamo di ritrovare tutti
gli affetti che la vita disperde nel tempo, purificati dalla misericordia di
Dio: Venite santi di Dio, accorrete angeli
del Signore: accogliete la sua anima e presentatela al trono dell’Altissimo;
una grande “mobilitazione”, richiesta a gran voce da tutti i fedeli, per qualcuno
che ci precede di qualche passo e al quale spetterà di presentarci al trono dell’Altissimo quando sarà giunto il nostro passo.
Oggi,
nel piccolo cimitero dei miei genitori e dei miei nonni, le orme sulla ghiaia
triste risuonavano – come è d’uso in queste giornate – più numerose del solito,
quasi come se la grande “mobilitazione” cominciasse da lì; come se la
presentazione al trono dell’Altissimo cominciasse col lustrare le lapidi, come
faceva una signora armata di straccio e detersivo su una lapide recente. E, in
fondo, anche questa cura era – senza volerlo – un piccolo segno della comunione
che supera i confini della morte…perché
riunisce assieme tutti coloro che hanno
ricevuto lo Spirito Santo (J. Ratzinger : Introduzione al Cristianesimo,
Queriniana, 2005, pg 324-325).
Quest’anno
triste aggiunge al tempo dei santi e dei morti le emozioni del sisma nel cuore: nel cuore silenzioso dell’Italia,
nei luoghi dove nacque, dallo sfacelo dell’impero Romano, l’anima cristiana
dell’Europa; nei luoghi, anche, della mia giovinezza e di quella dei miei
genitori. Non ci sono altri morti, per fortuna, dopo i tanti di qualche mese fa;
c’è “solo” la distruzione di un patrimonio di venerate memorie, custodite fra i
monti da comunità di forte spessore umano, schiacciate nelle loro sostanze e
segnate nelle loro esistenze. Non c’è un requiem
da recitare, solo una difficile speranza da alimentare.
Roma
31 ottobre 2016
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