La tana dell’odio
(di Felice Celato)
Non
mi pare di aver segnalato agli appassionati di letture questo romanzo (La tana dell’odio, appunto, Edizioni San
Paolo) di Giovanni D’Alessandro che merita senz’altro di essere letto e anche
amato (si tratta di un romanzo storico ambientato nella Bosnia di vent’anni fa,
di cui è protagonista un giovanissimo profugo adottato da Italiani e da noi poi
diventato un medico che cerca le sue radici).
Li
ho conosciuti, questo autore e questo libro, grazie ad una bella recensione che
ne fa il p. Ferdinando Castelli SJ sul numero 3913 del 6 luglio u.s. di Civiltà
Cattolica, alla quale rimando per una
più colta e approfondita disamina del libro [nello stesso numero c’è
anche un interessante articolo del p. Ottavio De Bertolis SJ – ben noto ai
lettori di questo blog – su “Le
parole della legge” che raccomando ai cultori di temi filosofico-giuridici e,
quindi, lato sensu, politici].
Proprio
da questa recensione del p. Castelli vorrei partire per riprendere il tema –
che evidentemente mi appassiona molto! – della (mi si lasci usare questa
definizione rozza e forse irritante) “giustificazione” culturale del romanzo
(e, per quanto mi riguarda, delle molte ore, prevalentemente notturne, che ad
esso dedico).
Dunque:
mi pare che il p. Castelli (che a differenza di me, è senz’altro un “vero”
critico letterario, e, per di più, di quelli – per me rari – al cui giudizio ci
si può affidare con sicurezza), nelle premesse al commento, svolga delle
considerazioni che largamente confortano quanto andavo umilmente dicendo nei
post su Yellow Birds di Kevin Powers
(segnalazione del 14 luglio u.s.) e su E
l’eco rispose di Khaled Hosseini (segnalazione del 3 luglio u.s.). Dice,
infatti, il p. Castelli che il libro di D’Alessandro “ridona alla letteratura
la dignità di opera formativa della coscienza e informativa della
nostra storia” (le sottolineature sono mie e servono ad evidenziare…il conforto
che mi pare di aver trovato nelle parole di uno specialista alle mie
dilettantesche considerazioni sul “senso” da dare alle “compulsive” ricerche,
fra i libri, di romanzi che valga la pena di leggere).
Bene.
Se così è, aggiungo il mio modesto suggerimento a quello assai più competente
del p. Castelli: il libro di D’Alessandro (disponibile anche in e-book) va letto e forse fatto leggere
anche ai nostri figli; in fondo la Bosnia non è lontana né nel tempo né nello
spazio e ciò che ha insegnato al mondo è proprio quanto l’autore, quasi in
prima persona, considera alla fine del libro: “Voi tutti, che dimenticate ogni volta, giratevi….recitate ‘le tane
dell’odio sono sempre tra noi, anche quando non si vedono. Noi abbiamo imparato
che ciò è vero, come il sole sorge ogni giorno. Non lo dimentichiamo. E
vigiliamo’. Date ai vostri figli i nomi di ogni tana dell’odio. Fatelo, se li
amate veramente. Per proteggerli. Per ammaestrali. Chiamateli: Auschwitz
Avaricum Bergen-Belsen Cefalonia Chatila Dachau Dresda Goli Otok Katyn Lidovice
Milay Marzabotto Pietransieri Sant’Anna Sabra Srebrenica Visegrad Zakplopaca e
raccontate cos’è successo lì…e quando i vostri figli vi chiederanno il perché
di nomi così strani, in lingue tutte diverse fra loro, rispondete che il nome
di ogni tana dell’odio è Auschwitz ed è Zaklopaka, ma soprattutto è Ovunque.”
E prima, citando un antico proverbio balcanico: “’L’odio dorme in una tana di neve, temi ogni giorno che si leva il sole’.
Lo copriva solo un esile strato di neve…e il suo sonno era leggero: anche il
sole, sorgendo senza colpa, ogni giorno poteva scioglierla, risvegliando ciò
che sotto dormiva”.
Orbetello,
5 agosto 2013
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