sabato 14 febbraio 2015

Presente e memorie

La dilagante incongruità del presente
(di Felice Celato)
Ci sono delle giornate in cui mi torna in mente, purtroppo non come memoria ma come diagnosi sul presente, una frase che corse, tanti anni fa (quasi 20, di sicuro), in una conversazione serale, a fine lavoro, con un vicinissimo collega, in un momento di grave complessità e difficoltà della nostra vita di “fatica” in comune: “la quantità e la qualità dei problemi che abbiamo di fronte supera largamente la nostra capacità di risolverli”, mi disse più o meno l’amico e collega, non incline, di solito – come me, del resto – all’ottimismo.
Bene: più o meno è quello che mi capita di pensare in questi giorni sfogliando il giornale. Ho l’impressione che l’Europa e l’Italia in particolare – ma forse, starei per dire, il nostro mondo – stiano vivendo un periodo straordinariamente pericoloso e accidentato in condizioni di straordinaria debolezza del loro pensiero e della loro volontà: da un lato, venti di guerra fredda ad oriente, nemmeno poi completamente fredda, a giudicare dai morti, purtroppo; una marea montante di oscure minacce a meridione, annunciate da flussi di umanità terrorizzata che fatichiamo a comprendere e gestire giustamente; una vita economica affannata da recessione e disoccupazione, schiacciata da volumi di debito difficili anche da cifrare, scossa persino nella certezza della sua unità di misura; le stesse regole basilari di convivenza civile sembrano aggredite da fanatismi ciechi e sordi, violenti e  capaci di sottrarsi ad ogni misura di prevenzione. Dall’altro, l’inconsistenza di ogni coesione, l’incertezza di ogni di ogni volontà, l’ inaffidabilità di ogni punto di appoggio, come quando si cammina su una pietraia scoscesa, l’insicurezza di ogni valore condiviso, l’incoerenza caduca di ogni enunciato che consenta di sviluppare un discorso filato, l’inadeguatezza generalizzata delle risposte alla provocazione delle domande.
Si dirà, non senza saggezza: la storia dell’Italia e dell’Europa hanno conosciuto ben altro, per sgomentarsi di venti, ondate, affanni, minacce, incertezze; e spesso in condizioni non meno liquide e melmose delle presenti. Certamente vero, in prospettiva storica.
Ma il presente, per quanto figlio della storia, non è mai, esso stesso, la storia; e, quand’anche questa ci insegni a relativizzare le oscillazioni dei tempi e ad attendere le loro maturazioni, noi, vivendo nel presente, hic et nunc, non possiamo sottrarci alla dolorosa constatazione della dilagante incongruità del presente; che la storia, magari, per strade che non vediamo, sanerà, nel tempo, ma che oggi ci colpisce, oggi ci sgomenta, oggi ci preoccupa.
Fateci caso: provate a sottoporre, riflettendo accuratamente, alla prova di congruità – o, se volete, di adeguatezza, di rispondenza, di appropriatezza – ogni corrente enunciato (di giudizio o di volontà) rispetto ad ogni corrente problema e forse – anzi, ne sono certo – proverete anche voi la sensazione di vuoto che mi pare di provare ogni volta che mi affaccio sulle le opinioni e sulle azioni con le quali tentiamo di inquadrare e gestire i problemi che ci affannano.
E’ vero, ritornando alla frase del mio (allora) sconsolato collega ed amico, poi “la storia” che seguì ci aiutò a trovare la strada e anche qualche efficace soluzione che ha resistito all’usura del tempo; ma quella sera – era una sera di inizio primavera – tornammo a casa quasi disperati, come se un perdurante inverno della realtà soffocasse sul nascere la speranza della primavera che cercavamo di sentire nell’aria; un po’ come oggi, sul finire di questo carnevale.
Roma, 14 febbraio 2015, mielosa festa di San Valentino.




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