Poveri noi!
(di Felice Celato)
Dunque
monsignor Gianfranco Todisco, Vescovo di Melfi, Rapolla e Venosa, con una
vigoroso intervista rilasciata al Fatto
Quotidiano ha detto la sua: “Bergoglio
(i.e. il Papa Francesco, NdR) ci ha
invitato a ‘non essere timidi nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa
mentalità di corruzione pubblica e privata’ che può danneggiare ‘gli onesti
lavoratori’”. E su questo assunto
programmatico, ha illustrato la sua lettera a Marchionne sul lavoro
domenicale in uno stabilimento della Fiat.
Ora,
si sa, i Vescovi non sono sempre accorti nei rapporti coi media; è capitato – pare – anche a Galantino con Famiglia Cristiana, figuriamoci se non
poteva accadere anche allo sventurato Vescovo meridionale con un giornale
certamente non di ispirazione cattolica. Ma, di sicuro – beninteso, semplicemente
lo spero da fedele affezionato anche alla dignità intellettuale della sua
Chiesa – qualcosa non deve avere funzionato nella comunicazione fra Todisco ed
il suo intervistatore. E perché presumi ciò? direte voi, miei poveri lettori.
Perché,
appunto da fedele che non ha rinunciato all’uso della testa, mi rifiuto di
pensare che un Vescovo possa avere detto queste cose, e anche in maniera così
fatua. Esemplifico:
“A Melfi il riavvio dell’attività è avvenuto
dopo due anni di cassa integrazione. E’ stata una boccata d’ossigeno per
ottomila famiglie….mi ero già augurato che il lavoro domenicale non continuasse
a lungo. Sono al corrente della necessità del lavoro (sic!), la cui mancanza mortifica le persone, ma
finito (sic!) questo tempo di grazia (sic!) permettiamo ai dipendenti di passare il
tempo (sic!) con la famiglia…..perché
quando il profitto viene messo al primo posto la famiglia diventa un albergo a
cinque stelle (sic!) in cui c’è tutto
quello che serve, ma dove non si sta più insieme….Un devoto mi ha scritto su
WhatsApp (sic!): ‘complimenti per la lettera’…il turno domenicale è un sacrificio per i
lavoratori, non deve essere la norma…ora è il tempo di vacche grasse (sic!) e ci sta, ma mi auguro che poi ripensino i
modelli di produzione…la domenica deve essere per tutti, anche per quelli che
vogliono lavorare (sic!).
Consideriamo anche che molti lavoratori vengono sfruttati, prendono 50 anziché
100 (sic!).”
Ora,
una simile congerie di sciatterie non può, lo dico da fedele, guelfo e papista,
costituire l’oggetto di una comunicazione di un Vescovo! A meno che, nell’ansia
di acquisire l’odore delle pecore, il pastore non abbia perso la testa,
infilando una serie di infortuni che francamente non sarebbero capitati nemmeno
al più populista dei laici! Credo che bastino i “sic!” a commentare la sciatteria degli enunciati attribuiti
(sperabilmente “per colpa del solito giornalista”) al Vescovo di Melfi; mi
limiterò ad una osservazione di fondo che, certamente al Vescovo di Melfi
(dichiarato conoscitore della Caritas in
Veritate) non può essere sfuggita. Dunque, la domenica lavorano almeno:
forze dell’ordine (carabinieri, finanza, polizia, vigili etc.), addetti alla
sicurezza (vigili del fuoco e guardie forestali), addetti alla sanità (medici,
infermieri, portantini, etc.), addetti al funzionamento di aeroporti, trasporti
pubblici e privati, etc. etc.. E anche le Guardie Svizzere! Si dirà: ma quelli
lavorano a tutela di ordine, sicurezza, sanità, mobilità, etc.; mentre quelli
di Melfi lo fanno per far conseguire alla loro impresa l’orrido profitto!
Vero;
ma si dà il caso che dalla possibilità di quel profitto dipendano, almeno: (1)
l’occupazione e quindi la retribuzione dei lavoratori; (2) il pagamento dei
contributi agli enti previdenziali per pagare le pensioni; (3) il pagamento dei
fornitori di impianti e di materie prime; (4) il pagamento delle imposte
dirette ed indirette (che a loro volta rendono possibile l’erogazione dei
servizi dello stato e quindi, fra l’altro, le retribuzioni di quegli addetti ai
servizi essenziali che lavorano anche di domenica, invece di passarla “nell’albergo a 5 stelle” dove sicuramente
abitano le loro famiglie); e (5) gli interessi passivi alle banche che hanno
prestato soldi attingendoli ai risparmi dei lavoratori depositati presso di
loro; e se ce ne avanza – il che non a sempre è accaduto per esempio alla Fiat in Italia – anche il
dividendo agli azionisti.
Sono
certo che domani leggeremo la chiara smentita di Mons. Todisco che il giornale non mancherà di
pubblicare. Beh! Almeno io lo spero (per prudenza comunque domani non compro il
Fatto Quotidiano: non reggerei alla mancanza di smentita!).
Roma,
20 agosto 2015
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