domenica 18 settembre 2022

Lessico e nuvole (politiche)

 Una precisazione… pedante

(di Felice Celato)

Nel blue mood che caratterizza le mie aspettative elettorali (credo di averne parlato fin troppo nei post più recenti), l’ultima cosa che vorrei aggiungere per rendermi definitivamente pesante è una precisazione “lessicale” alla quale, però, sono molto affezionato (tant’è che più volte ne ho scritto qui).

Per dimostrare che non è una solo mia ossessione, lo farò prendendo in prestito le parole recenti di Francis Fukuyama (in Il liberalismo e i suoi oppositori, Utet, 2022) per la loro succinta chiarezza (ma il concetto è tutt’altro che nuovo): a rigore, liberalismo e democrazia sono basati su differenti principi e istituzioni. La democrazia si riferisce al governo del popolo, che oggi è istituzionalizzato in periodiche elezioni multipartitiche, libere ed eque, basate sul suffragio universale degli adulti. Il liberalismo (….) si riferisce allo Stato di diritto, un sistema di regole formali che limitano i poteri dell'esecutivo, anche se quello esecutivo viene democraticamente legittimato tramite un'elezione.

In sostanza siamo di fronte a due concetti di diversa natura (ma, nella mia visione, necessariamente “consustanziali”): procedurale, il primo, perché attiene al metodo di formazione della volontà politica di un paese (la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, come recita appunto il secondo comma dell’art. 1 della nostra carta costituzionale); il secondo, di natura effettivamente valoriale, perché attiene, appunto, ai valori (stato di diritto, primato morale della persona, eguaglianza, diritto all’autonomia, libertà di parola, di associazione, di fede, di vita politica, etc.) che incarnano le fondamenta di una convivenza civile.

Nel suo magnifico (e profetico!) libro (The future of freedom, Norton & Co., 2003, ormai quasi “ventenne” e qui più volte citato), Fareed Zakaria analizza in ottica globale le frizioni fra democrazia e libertà e i pericoli cui quest’ultima è talora esposta quand’anche uno stato possa dirsi – dal punto di vista meramente  procedurale – uno stato democratico. E Anne Applebaum, più recentemente (cfr. Il tramonto della democrazia – Il fallimento della politica e il fascino dell’autoritarismo, Mondadori, 2021), in qualche modo aggiorna le esemplificazioni al riguardo; come pure avevano fatto – anche in ottiche diverse –  Steven Levitsky e Daniel Ziblatt (cfr. Come muoiono le democrazie, Laterza, 2019, ebook) e Yascha Mounk (cfr. Popolo vs Democrazia – Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale, Feltrinelli 2018, ebook), tutti segnalati su queste colonnine. 

Dunque, per venire alla conclusione di questa pedante notarella e con riferimento ad alcune focose prese di posizione di questi tristi giorni di campagna elettorale, oserei dire che la riaffermazione di "valori democratici" (perché la volontà di uno stato si è formata democraticamente, per esempio in Ungheria) non mi dà alcun conforto circa la natura di quel modello (se di modello si trattasse per qualcuno); a meno che non possa anche dirsi che quella democrazia è anche una democrazia liberale (nel senso sopra detto).

Di una democrazia illiberale non abbiamo  né desiderio né rimpianti (in fondo anche Mussolini nel 1924 ed Hitler nel 1933 ricevettero un ampio consenso democratico, e non credo che tale consenso fosse solo apparente, ancorché espresso in forme di sicuro democraticamente non limpide). Anzi, più brutalmente, (e mi si scusi l’autocitazione da un post del 7 aprile 2017) non saprei che farmene dei cosiddetti valori democratici (in termini più rigorosi: di governanti scelti democraticamente dalla maggioranza) se non fossero indissolubilmente connessi coi valori liberali che stabiliscono il primato della persona sullo stato e, a questo, fissano limiti invalicabili.

Roma 18 settembre 2022

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