Incontri del C.U.R.
(di Felice Celato)
Stamane,
mentre mi avviavo al mio meta-lavoro quotidiano, stavo ancora rimuginando (come
si richiede ad ogni buon Camminatore Urbano Rimuginante) le tesi, fieramente
contrapposte (sennò che gusto c'è?), di
una delle baruffe intellettuali nelle quali investo, con (mio) grande
godimento, i molti spazi di tempo libero che mi rimangono ogni giorno. E, lo
confesso, facevo fatica a celare a me stesso la soddisfazione per le mie performances
polemiche.
Ed
eccomi ad un incontro che, quasi provvidenzialmente, mi ha offerto una finestra
per riconsiderare il tema (del resto tipico fra noi paulotti: il cuore e/o la testa nel rapporto fra "pastori e
gregge"?) sul quale avevo investito il pomeriggio precedente (io sostenevo le ragioni della testa, ovviamente): alto e largo di spalle, sguardo forte di chi sa
sempre cosa pensare, eccomi comparire davanti un atletico giovane che dovevo
aver conosciuto in una delle tante fasi della mia vita in cui ho avuto a che
fare con banche internazionali; culturalmente - direbbe qualche mio amico - un bocconiano
(o forse un bostoniano) prestato al mondo. Ma - chi conosce l'ambiente
può capire quanto insolitamente - anziché indossare la "divisa"
d'ordinanza dello yuppie (gessato grigio, scarpe nere, camicia bianca
con cravatta in blu, possibilmente di Hermès) il giovane uomo, in maglietta,
recava sul petto uno di quei curiosi "marsupi " in cui si
"imbustano" i bambini piccoli. E difatti dal marsupio uscivano due
gambette esagitate di un bellissimo bambino (sette o otto mesi) che sorrideva
al mondo e sbadigliava. Mi fermo per un breve saluto (stavolta, lì per lì, non
ricordavo il nome del giovanotto); dopo qualche banalità riservata alla
insolita dedizione del mio interlocutore (che quasi se ne giustificava con
quello che forse era stato un suo "autorevole" cliente: era a Roma
per un meeting e aveva trovato tempo di dedicarsi un po' al suo
piccolino, che di solito vede solo per il fine-settimana!) e qualche
inevitabile complimento al bambino (veramente simpatico), mi sono allontanato
soddisfatto dell'incontro consolante (un giovanottone nella insolita veste di
padre tenero, un bambino che metteva addosso il buonumore, in una mattina di
pieno sole e di caldo incipiente).
E poiché
noi cattolici siamo autorizzati dalla Rivelazione a cercare di immaginare, coi
nostri poveri mezzi, l'occhio di Dio sul mondo, il mio pensiero è andato al
Padre Eterno. Me Lo sono immaginato mentre da poco aveva sollevato, con lieve
fastidio, la serranda della notte sul mondo, certo non soddisfatto di dover
dare lo sguardo quotidiano a queste Sue creature confuse e pecione; ma anche
improvvisamente attratto dalla scena che io stesso avevo appena vissuto. E ho
provato ad immaginare che sentimenti dovesse suscitarGli lo splendore
sgambettante del bambino agganciato al petto del fiero genitore (con
quell'aggeggio che, però, presumo non debba piacerGli troppo, abituato com'è
alle più tenere posture della Sua Madre terrena).
Dio mi
perdoni, ma L'ho pensato ad un tempo tenero ed indulgente: tenero come solo si
può essere di fronte a quell'esplosivo concentrato di speranza che è un ilare
bambino sgambettante; ed indulgente verso il giovane padre, fiero detentore di
incrollabili certezze provvisorie con le quali ogni giorno classifica il mondo;
ma ad esse provvisoriamente sottratto per ben più nobili incombenze: pazienza
se crede di sapere una sacco di cose, col tempo capirà; ora stava dedicandosi
con affetto alla cosa giusta, e dunque, si sarà detto il Padre Eterno, sorridiamo della ingenua saccenza.
Con queste
forse datate (e magari, per alcuni, mielose) sensazioni in testa, ho fatto
fatica a tornare col pensiero alle
baruffe fra il cuore e la testa dei
"pastori"; e la soddisfazione per le mie performances
polemiche si è un po' attenuata. Non del tutto, però; gradevolmente.
Roma 31
maggio 2017
Nessun commento:
Posta un commento