venerdì 18 novembre 2022

Il mantello

Appunti liberal-democratici

(di Felice Celato)

Diciamoci la verità: da qualche tempo (l’avranno notato i miei ventiquattro lettori) non mi va più di scrivere questi post, che pure per tanto tempo hanno costituito il filo conduttore di gradevoli (e interessanti) conversazioni asincrone con amici coi quali vale la pena di scambiare idee e visioni del mondo. Anche se gli stimoli della realtà che ci scorre dattorno (e nella quale scorrono le nostre vite) sarebbero tanti, complessi e sicuramente meritevoli della nostra attenzione (e delle nostre preoccupazioni), il soffermarsi su di essi mi pare un inutile esercizio ansiogeno, destinato ad essere travolto dall’ansia successiva (e anche da qualche rabbia, suscitata persino dalla quotidiana inevitabile lettura di qualche giornale). 

Come mi è stato insegnato, quando il vento è forte e fastidioso meglio avvolgersi nel proprio mantello e tenerselo stretto come se un semplice mantello possa costituire un rassicurante (o illusorio?)  ubi consistam per resistere ai venti.

Con questo spirito, imbottitomi di letture un po' fuori del tempo (per esempio: mi sono appassionato – con varie letture sull’argomento - alla figura di Abramo!), ho rivisitato con me stesso i fondamenti delle mie riflessioni politiche, non per impalcarmi a politologo (quale certamente non sono!), ma solo per confortarmi nei fondamenti della mia cittadinanza mentre spirano i venti.

Questo lungo post (ben più delle circa 750 parole che costituiscono “lo stile” di questi scritti) è una piccola relazione di questa (forse oziosa) rivisitazione.

Cominciamo dalle fondamenta: la nota citazione di Churchill (è stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono finora sperimentate) andrebbe – a mio modo di vedere “ristretta” come segue: la democrazia liberale è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono finora sperimentate. “Ristretta” perché mi pare che la storia anche recente abbia chiaramente insegnato che possono ben sussistere democrazie illiberali, nelle quali, appunto, la democrazia è un mero meccanismo procedurale di formazione del potere all’interno di una comunità, meccanismo che, come noto (vedasi da ultimo il post Lessico e nuvole del 18 settembre u.s.) può essere anche radicalmente disgiunto dall’essenza liberale dei fondamenti statuali

Da un recente libro di F. Fukuyama (Il liberalismo e i suoi oppositori, Utet, 2022) traggo questa citazione del filosofo inglese John Gray: comune a tutte le varianti della tradizione liberale è una concezione tipicamente moderna di uomo e società […]. Sicché il liberalismo è individualista in quanto asserisce il primato della persona rispetto alle pretese di qualsiasi collettività sociale; egualitario nella misura in cui attribuisce a tutti gli uomini il medesimo status morale (….); universalista perché afferma l'unità morale della specie umana e attribuisce un'importanza secondaria alle differenze storiche fra società e forme culturali specifiche; e migliorista poiché considera tutte le istituzioni sociali e le strutture politiche passibili di miglioramenti e correzioni. 

Dunque – secondo il filosofo inglese non certo noto per le sue piene simpatie verso il liberalismo – è liberale quella democrazia che possa dirsi ad un tempo individualista, egualitaria, universalista e migliorista (nel senso appena detto).

Personalmente sono portato a riformulare (e semplificare) questi principi in termini che mi paiono più adatti al tempo ed ai contesti attuali. E quindi ad individuare come segue i tre punti cadine del “mio” liberalismo: (1) il primato e la centralità dell’individuo come elemento base della società; (2) l’iniziativa privata e il libero mercato come insostituibili strumenti di produzione della ricchezza e del benessere materiale dei cittadini; (3) lo stato – disciplinato nei suoi poteri dalla rule of law – come organizzazione degli individui per collettivamente essere difesi, per gestire l’amministrazione della giustizia, per tutelare il buon funzionamento del mercato, per legiferare (secondo procedure democratiche) in materia di convivenza civile nel quadro Costituzionale, per amministrare i beni pubblici, per gestire i rapporti internazionali, per regolare la fiscalità (senza pregiudicare il funzionamento dei mercati) e la previdenza sociale (nelle sue varie forme, finanziariamente sostenibili), per tutelare i più deboli (anche gestendo – sia pure in forma aperta alla concorrenza – scuola e sanità).

Per definire meglio il quadro nei contesti attuali, sembra opportuno soffermarsi sul tema della giustizia lato sensu (che in fondo, mi pare, costituisca il senso politico del profilo egualitario del liberalismo moderno), perché esso consente di inquadrare il tema degli equilibri sociali di cui anche il liberalismo più puro finisce per avere bisogno (se si vuole il concetto è quello del liberalismo inclusivo, di cui parlano Salvati & Dilmore in Liberalismo inclusivo, Feltrinelli 2021). Eccoci allora a quelle che io chiamo le tre giustizie politiche:

La giustizia commutativa

  • Il suo presupposto è il libero incontro fra la domanda e l’offerta di beni fra gli attori per la produzione della ricchezza.
  • I suoi strumenti sono il contratto ed il prezzo. Il suo “luogo” è il mercato.
  • Lo Stato ha il dovere e l’interesse a tutelarne il corretto funzionamento per la maggiore produzione di ricchezza e di benessere materiale dei suoi cittadini.

La giustizia distributiva

  • Il suo presupposto sta nella responsabilità morale dello Stato di tutelare i più deboli assicurando una efficace (e ragionevole) distribuzione della ricchezza prodotta dal mercato.
  • Il suo strumento principe è la tassazione.
  • Lo Stato ha il dovere e l’interesse di fare in modo che un’eccessiva tassazione non “deprima” il funzionamento del mercato.

La giustizia sociale

  • Anche qui, il  suo presupposto sta nella responsabilità morale dello Stato di tutelare i più deboli assicurando una efficace (e ragionevole) distribuzione della ricchezza prodotta dal mercato nonché un'accessibile parità di opportunità.
  • I suoi strumenti sono molteplici: la previdenza pubblica, l’accesso universale all’istruzione ed alla sanità, etc
  • Lo Stato ha il dovere e l’interesse a far sì che gli strumenti che usa siano, oltreché finanziariamente sostenibili, anche compatibili con la produzione di ricchezza e di benessere materiale da parte del mercato a beneficio dei suoi cittadini.

NB. Non esiste un interesse dello stato diverso da quello dei suoi cittadini.

Lo Stato, il produttore delle norme di primo grado all’interno della norma fondamentale (Costituzione) e della legislazione comunitaria che da questa trae legittimazione, ha inoltre, come già detto, il dovere e l’interesse a tutelare il corretto funzionamento dei mercati, perché essi sono la “macchina” che fa funzionare la produzione della ricchezza e del benessere materiale dei suoi cittadini (senza la quale anche la democrazia è a rischio).

Questo è il mio mantello per i tempi ventosi (del resto il mantello è un soprabito fuori moda, in uso ormai solo a qualche vecchio paesano).

Roma, 18 novembre 2022

(poco più di 1000 parole, comprese queste)

2 commenti:

  1. Grazie Francesco, per questa illuminante lezione sul ruolo dello stato e del liberalismo.

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  2. Avvolto nel suo mantello, Felice ringrazia

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