Middle-grounds?
(di
Felice Celato)
Da
qualche giorno vado ruminando un articolo uscito come saturday essay sul WSJ di un paio di settimane fa. In estrema
sintesi, il lungo articolo (l’autore è il commentatore economico Greg Ip e il
titolo: We are not the world) muove
da una citazione di Marine Le Pen (la
linea di frattura non è più fra destra e sinistra ma fra globalisti e patrioti)
e la “affina” progressivamente introducendo anche una distinzione, sulla quale
vale la pena riflettere, fra globalizzazione
e globalismo.
Ciò
contro cui si battono i vari movimenti che si riconoscono in qualche modo nella
“sentenza” di M. Le Pen (e quindi i – vincenti – supporters di Trump o della Brexit, per ora), non è tanto e
direttamente la globalizzazione
(intesa come tale la libera circolazione di persone, capitali e beni), quanto,
piuttosto, il suo supporto ideologico, il globalismo,
l’atteggiamento mentale (mind-set),
cioè, che – nell’assunto che la globalizzazione sia sempre una cosa buona e
giusta –
si
dispone ad accettare (o addirittura ad invocare) una progressiva crescita di governances sovranazionali, accompagnate, ovviamente, da una contemporanea
contrazione delle sovranità nazionali. Secondo l’autore del saggio, a questo mind-set (addirittura consacrato
ideologicamente “trionfante” a Davos negli anni 2000), corrispondono, sul piano
della storia recente, l’EU, il WTO, la Nato, l’ ONU, il NAFTA (North American
Free Trade Agreement), etc., divenuti, tutti, ormai tradizionali bersagli dei
movimenti che si riconoscono in queste aspirazioni anti-globalism; movimenti che –peraltro – non hanno alcuna idea di
come sostituirli (la Brexit docet, da
questo punto di vista).
Bisogna
ammettere, scrive il WSJ (giornale economico americano di orientamento
conservatore ma certamente non “Trumpista”),
che i globalisti hanno fortemente sottovalutato, sui fronti interni, i rischi economici
della loro “ideologia” e della stessa globalizzazione (ricorderanno i lettori
di questo blog l’apologo
dei due pollai che abbiamo usato in uno Stupi-diario del C.U.R. del 25 giugno
2016); ma, d’ altra parte, non si può negare che l’opposta ideologia anti-globalism si nutra di sentimenti
xenofobici, sicché si può essere genuinamente scettici sul fatto che essa possa costituire una secular, democratic alternative to globalism.
Probabilmente,
argomenta l’autore del saggio, l’esito di questo scontro fra self-styled patriots e confounded globalists dovrà passare per
una sorta di duplice arretramento dei globalisti: da un lato dovranno
riesaminare le loro politiche, almeno congelando ogni ulteriore espansione di
soluzioni sovranazionali; dall’altro dovranno far saltare l’equazione fra razzismo
e tutele culturali e confinarie. “There is some sort of middle-ground between
a nationalist and a globalist approach”, conclude il WSJ citando un advisor della campagna elettorale
repubblicana.
Bene;
fin qui l’articolo sommariamente sintetizzato. Quanto alle mie opinioni al
riguardo, ammesso che possano interessare a qualcuno, sono queste, anche qui in
estrema sintesi: per me la globalizzazione è un fatto, per molti aspetti
inevitabile e, a livello mondiale, benefico. Punto. Da comprendere, accompagnare
con intelligenza e gestire con saggezza, senz’altro (per esempio, venendo al
nostro piccolo pollaio italiano: scambiare l’accoglienza per l’integrazione non
è affatto una cosa intelligente; anzi è un favore ai “sentimenti” xenofobi;
cantilenare sul mancato aiuto dell’Europa al nostro problema dell’immigrazione,
non è cosa saggia; anzi è un favore ai nazionalisti; etc.etc.). Non credo che i
nazionalismi siano il modo intelligente e saggio per effettuare questa manovra
del presente verso il futuro; anzi essi mi sembrano una manovra verso un
passato di cui, pure, abbiamo sperimentato i frutti tragici. D’altro canto però
non vedo disponibili grandi e diffuse riserve di intelligenza e di saggezza e
di capacità di leadership. Se ci
sono, bisogna urgentemente nutrirle di pazienza, costanza e cultura. Conclusione? Non so.
L’Europa
che uscirà dal 2017 sarà un segnale da leggere con attenzione.
Roma
16 gennaio 2017
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