Profeti scatologici
(di Felice Celato)
No,
non è un refuso. Tutti noi che abbiamo frequentato, oltreché le elementari,
anche la “dottrina” in parrocchia, sappiamo bene cos’è l’escatologia, cioè
quella parte della teologia che si occupa dei destini ultimi dell’uomo (dal
greco éskhatos che vuol dire,
appunto, ultimo). La scatologia, invece, dal greco skatòs, genitivo di skor, è
invece la trattazione – usualmente con intento osceno o volgare – di temi
legati alla deiezione. (Potrei anche usare i caratteri greci ma non voglio far
sfoggio di maturità classica; basterà dire che skor si scrive con l’omega).
Chiarito
questo, vi dico subito che io chiamo “profeti scatologici” quegli stralunati
barboni, dall’aria appunto profetica, che, per strada, senza alcuna ragione,
scagliano ad alta voce insulti gravemente osceni ai passanti, spesso prendendo
di mira solo l’ultimo passato e per qualche secondo, salvo poi immediatamente
ripetere la performance col
successivo, sempre senza alcuna ragione. Sarà capitato senz’altro anche a voi di
sentirsi bersagliato per qualche secondo da una caterva di apostrofi
scatologiche – spesso lessicalmente molto interessanti e anche articolate con
fantasia – senza alcuna ragione; e noi tutti ascoltiamo, magari sorridiamo, e
passiamo oltre, forse pensando anche a che tipo di turbe sia stato sottoposto
il “profeta” per esplodere con tanta ostilità e disprezzo contro il primo
malcapitato.
Dunque
il vostro C.U.R. (Camminatore Urbano Rimuginante) non è stato affatto turbato
quando, oggi, passando da piazza del Gesù, è stato preso di mira da una “profetessa
scatologica”, assatanatasi nel coprirlo dei più volgari insulti con parole e
concetti precisi che non starò qui a riferire. Tenete solo presente che, come
dicevo, i concetti erano complessi, inusuali (almeno per quanto ne so) e
apparentemente studiati. Ho sorriso, come tutti in questi casi, scambiandomi
uno sguardo divertito con qualche altro passante e, ovviamente, non ci ho
pensato più.
Ma
non starei qui a raccontarvelo, sia pure per farvi - ogni tanto - sorridere, se non fosse
accaduto un fatto sorprendente.
Poco
meno di un chilometro oltre, all’uscita dal “ghetto” verso ponte Garibaldi, mi
sono imbattuto in un altro “profeta scatologico”, un uomo stavolta, che –
sempre senza ragione – mi ha sottoposto ad analogo trattamento mirato. Anche
qui, pur notata la buffa coincidenza del bis
in idem nella stessa giornata, non avrei trovato nulla di cui fare
menzione: a Roma ce n’è tanti di barboni stralunati che non dovrebbe essere
statisticamente raro trovarne, nella stessa giornata, due della stessa specie
“profetica”.
Il
fatto è però che non solo i concetti – ripeto: complessi e originali – ma anche
le parole erano proprio le stesse usate poco prima con me dalla “profetessa”!
Identiche pure nella loro strutturazione!
Scartata
per l’assoluta improbabilità la spiegazione convegnistica (tipo: sono convenuti
a Roma, magari per un congresso, i membri di una setta “profetica” ispirata ad
una comune matrice lessicale e semiologica) ho dovuto, ahimè, ripiegare su una
spiegazione di tipo personale: c’è, o magari c’è stato in quel preciso momento,
qualcosa in me (o nel mio aspetto) che ha determinato, nella separata
valutazione di due autonomi “profeti”, la convergenza su una tipologia di
insulti lessicalmente complessa, va bene, ma – soprattutto – mirata e percutant. In particolare un insulto
strutturato mi è risultato sconvolgente nella sua ripetizione, perché mirato a
“fotografare” un presunto aspetto della mia personalità che – proprio –
troverei incompatibile con il peggior concetto che io possa avere di me, anche
nei momenti di più acuta auto-disistima.
Di
che insulto si tratta? Non posso dirvelo sia per la decenza del luogo (cui
molto teniamo) sia ….per il timore che possiate trovarlo azzeccato.
Roma
20 gennaio 2017
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