venerdì 20 gennaio 2017

Stupi-diario degli insulti

Profeti scatologici
(di Felice Celato)
No, non è un refuso. Tutti noi che abbiamo frequentato, oltreché le elementari, anche la “dottrina” in parrocchia, sappiamo bene cos’è l’escatologia, cioè quella parte della teologia che si occupa dei destini ultimi dell’uomo (dal greco éskhatos che vuol dire, appunto, ultimo). La scatologia, invece, dal greco skatòs, genitivo di skor, è invece la trattazione – usualmente con intento osceno o volgare – di temi legati alla deiezione. (Potrei anche usare i caratteri greci ma non voglio far sfoggio di maturità classica; basterà dire che skor si scrive con l’omega).
Chiarito questo, vi dico subito che io chiamo “profeti scatologici” quegli stralunati barboni, dall’aria appunto profetica, che, per strada, senza alcuna ragione, scagliano ad alta voce insulti gravemente osceni ai passanti, spesso prendendo di mira solo l’ultimo passato e per qualche secondo, salvo poi immediatamente ripetere la performance col successivo, sempre senza alcuna ragione. Sarà capitato senz’altro anche a voi di sentirsi bersagliato per qualche secondo da una caterva di apostrofi scatologiche – spesso lessicalmente molto interessanti e anche articolate con fantasia – senza alcuna ragione; e noi tutti ascoltiamo, magari sorridiamo, e passiamo oltre, forse pensando anche a che tipo di turbe sia stato sottoposto il “profeta” per esplodere con tanta ostilità e disprezzo contro il primo malcapitato.
Dunque il vostro C.U.R. (Camminatore Urbano Rimuginante) non è stato affatto turbato quando, oggi, passando da piazza del Gesù, è stato preso di mira da una “profetessa scatologica”, assatanatasi nel coprirlo dei più volgari insulti con parole e concetti precisi che non starò qui a riferire. Tenete solo presente che, come dicevo, i concetti erano complessi, inusuali (almeno per quanto ne so) e apparentemente studiati. Ho sorriso, come tutti in questi casi, scambiandomi uno sguardo divertito con qualche altro passante e, ovviamente, non ci ho pensato più.
Ma non starei qui a raccontarvelo, sia pure per farvi - ogni tanto - sorridere, se non fosse accaduto un fatto sorprendente.
Poco meno di un chilometro oltre, all’uscita dal “ghetto” verso ponte Garibaldi, mi sono imbattuto in un altro “profeta scatologico”, un uomo stavolta, che – sempre senza ragione – mi ha sottoposto ad analogo trattamento mirato. Anche qui, pur notata la buffa coincidenza del bis in idem nella stessa giornata, non avrei trovato nulla di cui fare menzione: a Roma ce n’è tanti di barboni stralunati che non dovrebbe essere statisticamente raro trovarne, nella stessa giornata, due della stessa specie “profetica”.
Il fatto è però che non solo i concetti – ripeto: complessi e originali – ma anche le parole erano proprio le stesse usate poco prima con me dalla “profetessa”! Identiche pure nella loro strutturazione!
Scartata per l’assoluta improbabilità la spiegazione convegnistica (tipo: sono convenuti a Roma, magari per un congresso, i membri di una setta “profetica” ispirata ad una comune matrice lessicale e semiologica) ho dovuto, ahimè, ripiegare su una spiegazione di tipo personale: c’è, o magari c’è stato in quel preciso momento, qualcosa in me (o nel mio aspetto) che ha determinato, nella separata valutazione di due autonomi “profeti”, la convergenza su una tipologia di insulti lessicalmente complessa, va bene, ma – soprattutto – mirata e percutant. In particolare un insulto strutturato mi è risultato sconvolgente nella sua ripetizione, perché mirato a “fotografare” un presunto aspetto della mia personalità che – proprio – troverei incompatibile con il peggior concetto che io possa avere di me, anche nei momenti di più acuta auto-disistima.
Di che insulto si tratta? Non posso dirvelo sia per la decenza del luogo (cui molto teniamo) sia ….per il timore che possiate trovarlo azzeccato.
Roma 20 gennaio 2017


P.S. Col prossimo post torniamo seri (ahinoi!), prometto.

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