Post-democrazia?
(di
Felice Celato)
Accennavamo,
qualche giorno fa, alla possibilità che stiano cambiando, negli stati del XXI
secolo, alcuni fondamentali parametri democratici; tema, questo, per me
sicuramente arduo: di tutto posso essere accusato….ma non di essere un
“politologo”, anzi forse, col tempo, sono diventato un politofobo. E quindi…non mi impalco. Però alcune domande (delle
quali ignoro le risposte “giuste”) continuo a pormele.
Non
vi pare che la rivoluzione mediatica che i nostri anni stanno conoscendo abbia
cambiato radicalmente le modalità di aggregazione del consenso, ne abbia
stabilmente modificato i tempi di coagulo, accorciando il circuito volontà
democratica- azione politica? E, anzi, che ne abbia addirittura mutato la
natura?
Secondo
me non c’è dubbio che l’inoculazione di massicce dosi di comunicazione iper-cinetica
(dai twitter alla continua
sollecitazione di opinionismi
istantanei, al dilagante sondaggismo reattivo), soprattutto in paesi a bassa
cultura diffusa (come il nostro), ha accelerato la dinamica del consenso, che –
con ciò – si è reso anche più mobile e meno affidante: quelle che anni fa
potevano essere le maree del consenso (che crescono e calano lentamente e
si esprimono fisicamente in piazze
gremite di folla e voti di massa fortemente ideologizzati) oggi sono diventate
ondate, più o meno mutevoli, di umori cangianti; il quadro dell’azione
politica, che una volta potevamo senza imbarazzo assimilare ad una navigazione
verso una meta, più o meno lontana ma pur sempre una meta democraticamente
individuata, sembra diventato quello di un continuo surfing sull’onda più alta o più veloce agitata dal soffio del
vento.
Si
dirà: ma poi, vivaddio!, arriva il redde
rationem elettorale e lì il consenso si conta!
Ma
credete veramente che il voto, oggi, sia quello cui eravamo abituati una volta,
cioè l’ipostasi relativamente stabile di un consenso lievitato? O, forse, anche
il voto non si sottrae ad un diffuso fluttuare delle emozioni, tanto più ampio
quanto più tecniche (e, quindi,… oligarchiche) sono diventate le decisioni a disposizione del
politico e quanto più ampio è il contorno mediatico che agita quelle emozioni?
La grande esternalizzazione di sovranità politica che l’UE ha portato con sé
negli stati Europei non ha forse mutato (stabilmente…per ora) l’area
dell’operabile da parte di un agente politico radicato nel tessuto opinionale
del singolo paese? E la gran parte dei messaggi che costituiscono questo
tessuto non sono forse – come insegna la vicenda Greca – solo velleità
destinate a mettere in moto un’altra onda, pronta ad infrangersi sulla
scogliera della realtà? I tecnicismi di cui è fatta oggigiorno la gestione di
problemi cruciali (come, per esempio, la gestione del debito pubblico) sono
forse, per loro natura, assoggettabili a un dibattito politicamente sensato nel
contesto mediatico che (in prevalenza) ci contorna di pulsioni superficiali più o meno
irrazionali? E comunque, non è forse, come scrive Moisès Naìm (La fine del potere, Mondadori, 2013),
che “ottenere la maggioranza dei voti non
garantisce più la capacità di prendere decisioni, in quanto una moltitudine di
‘micropoteri’ [ o ‘macropoteri’, NdR]
può porre il veto a tali decisioni, rinviarle oppure ridurne la portata”? [Anche qui, Grecia docet!].
Ancora
si dirà: ma allora tu vuoi, in qualche modo, negare anche il senso di un
qualsiasi giudizio politico, quasi come se questa categoria del nostro pensiero
sia definitivamente scomparsa?
No,
non direi: il fatto è che esso, il giudizio politico, o si radica ai fatti, giudicandoli ex-post (anche se talora, in concreto,
scorrelati dall’azione politica che si conclama!) e solo dopo che si sono
consolidati, o altrimenti non trova appigli stabili di giudizio ex–ante, se non si dispone di
un’attrezzatura tecnico-critica che si sappia destreggiare, nei residui spazi
di sovranità che restano ai singoli paesi, fra i tecnicismi e i travisamenti e
le dissimulazioni della continua competizione per il consenso.
Come
che sia, e qualunque sia il peso che si voglia dare a queste disordinate
domande, mi pare che occorra prendere atto che, parafrasando Moisès Naìm, anche
la democrazia, come il potere, certamente…..non è più quella di una volta, checché
ne dicano i (comprensibili) nostalgici del primato della politica. Non
potremmo, forse, chiamarla meglio “consensocrazia mediatizzata”?
Roma,
6 marzo 2015
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