venerdì 6 marzo 2015

In cerca di risposte/2

Post-democrazia?
(di Felice Celato)
Accennavamo, qualche giorno fa, alla possibilità che stiano cambiando, negli stati del XXI secolo, alcuni fondamentali parametri democratici; tema, questo, per me sicuramente arduo: di tutto posso essere accusato….ma non di essere un “politologo”, anzi forse, col tempo, sono diventato un politofobo. E quindi…non mi impalco. Però alcune domande (delle quali ignoro le risposte “giuste”) continuo a pormele.
Non vi pare che la rivoluzione mediatica che i nostri anni stanno conoscendo abbia cambiato radicalmente le modalità di aggregazione del consenso, ne abbia stabilmente modificato i tempi di coagulo, accorciando il circuito volontà democratica- azione politica? E, anzi, che ne abbia addirittura mutato la natura?
Secondo me non c’è dubbio che l’inoculazione di massicce dosi di comunicazione iper-cinetica (dai twitter alla continua sollecitazione di opinionismi istantanei, al dilagante sondaggismo reattivo), soprattutto in paesi a bassa cultura diffusa (come il nostro), ha accelerato la dinamica del consenso, che – con ciò – si è reso anche più mobile e meno affidante: quelle che anni fa potevano essere le maree del consenso (che crescono e calano lentamente e si  esprimono fisicamente in piazze gremite di folla e voti di massa fortemente ideologizzati) oggi sono diventate ondate, più o meno mutevoli, di umori cangianti; il quadro dell’azione politica, che una volta potevamo senza imbarazzo assimilare ad una navigazione verso una meta, più o meno lontana ma pur sempre una meta democraticamente individuata, sembra diventato quello di un continuo surfing sull’onda più alta o più veloce agitata dal soffio del vento.
Si dirà: ma poi, vivaddio!, arriva il redde rationem elettorale e lì il consenso si conta!
Ma credete veramente che il voto, oggi, sia quello cui eravamo abituati una volta, cioè l’ipostasi relativamente stabile di un consenso lievitato? O, forse, anche il voto non si sottrae ad un diffuso fluttuare delle emozioni, tanto più ampio quanto più tecniche (e, quindi,… oligarchiche)  sono diventate le decisioni a disposizione del politico e quanto più ampio è il contorno mediatico che agita quelle emozioni? La grande esternalizzazione di sovranità politica che l’UE ha portato con sé negli stati Europei non ha forse mutato (stabilmente…per ora) l’area dell’operabile da parte di un agente politico radicato nel tessuto opinionale del singolo paese? E la gran parte dei messaggi che costituiscono questo tessuto non sono forse – come insegna la vicenda Greca – solo velleità destinate a mettere in moto un’altra onda, pronta ad infrangersi sulla scogliera della realtà? I tecnicismi di cui è fatta oggigiorno la gestione di problemi cruciali (come, per esempio, la gestione del debito pubblico) sono forse, per loro natura, assoggettabili a un dibattito politicamente sensato nel contesto mediatico che (in prevalenza) ci contorna  di pulsioni superficiali più o meno irrazionali? E comunque, non è forse, come scrive Moisès Naìm (La fine del potere, Mondadori, 2013), che “ottenere la maggioranza dei voti non garantisce più la capacità di prendere decisioni, in quanto una moltitudine di ‘micropoteri’ [ o ‘macropoteri’, NdR] può porre il veto a tali decisioni, rinviarle oppure ridurne la portata”? [Anche qui, Grecia docet!].
Ancora si dirà: ma allora tu vuoi, in qualche modo, negare anche il senso di un qualsiasi giudizio politico, quasi come se questa categoria del nostro pensiero sia definitivamente scomparsa?
No, non direi: il fatto è che esso, il giudizio politico,  o si radica ai fatti, giudicandoli ex-post (anche se talora, in concreto, scorrelati dall’azione politica che si conclama!) e solo dopo che si sono consolidati, o altrimenti non trova appigli stabili di giudizio ex–ante, se non si dispone di un’attrezzatura tecnico-critica che si sappia destreggiare, nei residui spazi di sovranità che restano ai singoli paesi, fra i tecnicismi e i travisamenti e le dissimulazioni della continua competizione per il consenso.
Come che sia, e qualunque sia il peso che si voglia dare a queste disordinate domande, mi pare che occorra prendere atto che, parafrasando Moisès Naìm, anche la democrazia, come il potere, certamente…..non è più quella di una volta, checché ne dicano i (comprensibili) nostalgici del primato della politica. Non potremmo, forse, chiamarla meglio “consensocrazia mediatizzata”?

Roma, 6 marzo 2015

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