Dalla opzione
fondamentale al Dio della fede
(di Felice Celato, ma in gran parte liberamente messo a fuoco grazie a Introduzione al Cristianesimo di J. Ratzinger, un libro che segnalo a tutti per la potenza del suo argomentare)
La
fede, in fondo, è un atto della volontà, una scelta libera fra due opzioni in
sé entrambe rispettabili: si può infatti legittimamente credere che esista solo
ciò che si vede (si tocca, si gusta, si odora, si misura, etc.); questa è l’opzione atea. Ma si può anche credere,
con altrettanta “legittimità”, che tutto ciò che si vede, si tocca, si misura,
etc. non esaurisca il reale, e che, anzi, esista (per dirla in breve) un mondo
invisibile che addirittura sorregge ogni altra realtà. E questa è l’opzione della fede.
Bene:
fin qui siamo nel dominio del pensiero, delle convinzioni accettate o accettabili.
Ora
andiamo nel dominio dell’esperienza, che ovviamente si apre di fronte a chi sia
convinto di aver fatto l’opzione della fede: l’esperienza religiosa,
paradigmaticamente, muove da due tipi di esperienza del “divino”, diversi ma
anche possibilmente contemporanei: quella in cui questa realtà invisibile è anzitutto
potenza (tipicamente partendo dalla contemplazione del mondo) e quella in cui
questa realtà invisibile è anzitutto alterità, diversità, assenza di limiti
(tipicamente partendo dall’uomo e dalla sua contingenza).
Qui,
essendo avvezzo a sentire mia, più della prima, la seconda delle “modalità
esperienziali” appena indicate, faccio un’osservazione personale aggiungendo
una considerazione induttiva: credo che non si possa dubitare che l’uomo è il “principe”
di quello che solitamente chiamiamo creato; è l’animale più intelligente, più
potente, più creativo, l’animale che parla, che ricorda, che scrive, che ama,
che innova, che inventa, che compone il bello, etc.. Ebbene, non ci dice niente
che questo “principe del creato” abbia in sé, da sempre, un’inquietudine
profonda che lo porta continuamente verso il proprio limite con l’ansia di ciò
che c’è oltre tale limite (sia questo limite il tempo, lo spazio, la vita o
quel che si vuole), come se da questo al di là emanasse un richiamo d’infinito,
un senso (appunto) di un’alterità scevra da quei limiti che sono propri
dell’uomo e che lo costringono, appunto nel tempo, nello spazio, nella vita? Io
questo richiamo lo definisco la prima
voce di Dio che, come tale, non dovrebbe essere lontana da tutti quelli che
si siano disposti alla opzione della fede. A questa ultima condizione, la prima
voce di Dio, credo, la possono sentire tutti (tutti quelli che hanno fatto
l’opzione per la fede).
Fin
qui però siamo giunti, al massimo, a quello che (mi pare di aver capito) Ratzinger
chiama il Dio dei filosofi: siamo
partiti dal postulare una realtà invisibile; con un passo successivo siamo
anche arrivati a poter ammettere di averla “sentita”, questa realtà invisibile,
o come Potenza (tipicamente creatrice) o come Alterità (tipicamente senza
limiti, di fronte ai limiti del “principe del creato”); fin qui arrivati,
possiamo al massimo anche “immaginarla” come puro Ente, potente (ideatore e
creatore) e senza limiti: un Dio dei filosofi, a-relazionale, un Ente Supremo
che ben potrebbe disinteressarsi degli uomini e vivere la sua atemporalità in
assoluta indifferenza rispetto al mondo.
Eccoci
dunque arrivati al passaggio fondamentale, dal Dio dei filosofi (che
riassumerei con l’affermazione “esiste solo, un Dio”, che, al massimo,
ha ideato e creato) al Dio della (nostra) fede (che
riassumerei con l’affermazione biblica “esiste un solo Dio”): qui, forse, il
passaggio (cruciale!) esige un duplice chiarimento, filosofico e, poi, storico;
il chiarimento filosofico: questo
Pensiero creatore non può che essere consapevole del suo creato e quindi non
può che amarlo. Il chiarimento storico:
per noi il Pensiero creatore (che anche ama il suo creato) è la Persona che ci ha parlato di sé dal
roveto ardente, che, tramite Mosè (Es 3),
si è proclamato il Dio dei nostri padri e che ci ha parlato per il tramite del
Suo figlio. L’unico senso sotto il quale cade questa percezione è l’udito (Visus, tactus, gustus in Te fallitur, sed
auditu solo tuto creditur, da Adoro
Te devote, attribuito a san Tommaso d’Aquino), l’udito di ciò che crediamo
rivelato.
Alla
fine di questo ragionamento, constatiamo di aver accettato due opzioni, per così dire meta-razionali: quella
fondamentale per la fede e quella particolare per la rivelazione della fede
Cristiana. Il resto, forse, è solo frutto della ragione ( e dell’esperienza di
una Potenza e di un’Alterità).
Roma
24 marzo 2015
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