martedì 24 marzo 2015

L'incrocio fondamentale

Dalla opzione fondamentale al Dio della fede
(di Felice Celato, ma in gran parte liberamente messo a fuoco grazie a Introduzione al Cristianesimo di J. Ratzinger, un libro che segnalo a tutti per la potenza del suo argomentare)
La fede, in fondo, è un atto della volontà, una scelta libera fra due opzioni in sé entrambe rispettabili: si può infatti legittimamente credere che esista solo ciò che si vede (si tocca, si gusta, si odora, si misura, etc.); questa è l’opzione atea. Ma si può anche credere, con altrettanta “legittimità”, che tutto ciò che si vede, si tocca, si misura, etc. non esaurisca il reale, e che, anzi, esista (per dirla in breve) un mondo invisibile che addirittura sorregge ogni altra realtà. E questa è l’opzione della fede.
Bene: fin qui siamo nel dominio del pensiero, delle convinzioni accettate o accettabili.
Ora andiamo nel dominio dell’esperienza, che ovviamente si apre di fronte a chi sia convinto di aver fatto l’opzione della fede: l’esperienza religiosa, paradigmaticamente, muove da due tipi di esperienza del “divino”, diversi ma anche possibilmente contemporanei: quella in cui questa realtà invisibile è anzitutto potenza (tipicamente partendo dalla contemplazione del mondo) e quella in cui questa realtà invisibile è anzitutto alterità, diversità, assenza di limiti (tipicamente partendo dall’uomo e dalla sua contingenza).
Qui, essendo avvezzo a sentire mia, più della prima, la seconda delle “modalità esperienziali” appena indicate, faccio un’osservazione personale aggiungendo una considerazione induttiva: credo che non si possa dubitare che l’uomo è il “principe” di quello che solitamente chiamiamo creato; è l’animale più intelligente, più potente, più creativo, l’animale che parla, che ricorda, che scrive, che ama, che innova, che inventa, che compone il bello, etc.. Ebbene, non ci dice niente che questo “principe del creato” abbia in sé, da sempre, un’inquietudine profonda che lo porta continuamente verso il proprio limite con l’ansia di ciò che c’è oltre tale limite (sia questo limite il tempo, lo spazio, la vita o quel che si vuole), come se da questo al di là emanasse un richiamo d’infinito, un senso (appunto) di un’alterità scevra da quei limiti che sono propri dell’uomo e che lo costringono, appunto nel tempo, nello spazio, nella vita? Io questo richiamo lo definisco la prima voce di Dio che, come tale, non dovrebbe essere lontana da tutti quelli che si siano disposti alla opzione della fede. A questa ultima condizione, la prima voce di Dio, credo, la possono sentire tutti (tutti quelli che hanno fatto l’opzione per la fede).
Fin qui però siamo giunti, al massimo, a quello che (mi pare di aver capito) Ratzinger chiama il Dio dei filosofi: siamo partiti dal postulare una realtà invisibile; con un passo successivo siamo anche arrivati a poter ammettere di averla “sentita”, questa realtà invisibile, o come Potenza (tipicamente creatrice) o come Alterità (tipicamente senza limiti, di fronte ai limiti del “principe del creato”); fin qui arrivati, possiamo al massimo anche “immaginarla” come puro Ente, potente (ideatore e creatore) e senza limiti: un Dio dei filosofi, a-relazionale, un Ente Supremo che ben potrebbe disinteressarsi degli uomini e vivere la sua atemporalità in assoluta indifferenza rispetto al mondo.
Eccoci dunque arrivati al passaggio fondamentale, dal Dio dei filosofi (che riassumerei con l’affermazione “esiste solo, un Dio”, che, al massimo, ha ideato e creato)  al Dio della (nostra) fede (che riassumerei con l’affermazione biblica “esiste un solo Dio”): qui, forse, il passaggio (cruciale!) esige un duplice chiarimento, filosofico e, poi, storico; il chiarimento filosofico: questo Pensiero creatore non può che essere consapevole del suo creato e quindi non può che amarlo. Il chiarimento storico: per noi il Pensiero creatore (che anche ama il suo creato) è la Persona che ci ha parlato di sé dal roveto ardente, che, tramite Mosè (Es 3), si è proclamato il Dio dei nostri padri e che ci ha parlato per il tramite del Suo figlio. L’unico senso sotto il quale cade questa percezione è l’udito (Visus, tactus, gustus in Te fallitur, sed auditu solo tuto creditur, da Adoro Te devote, attribuito a san Tommaso d’Aquino), l’udito di ciò che crediamo rivelato.
Alla fine di questo ragionamento, constatiamo di aver accettato due opzioni, per così dire meta-razionali: quella fondamentale per la fede e quella particolare per la rivelazione della fede Cristiana. Il resto, forse, è solo frutto della ragione ( e dell’esperienza di una Potenza e di un’Alterità).

Roma 24 marzo 2015

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