Che dire?
(di Felice Celato)
Da
qualche tempo, mi viene difficile appassionarmi alle vicende politiche
Italiane, tanto confuso ed isterico mi pare lo scenario della nostra governance; e così mi limito a seguire
le vicende economiche – delle quali è impossibile dimenticarsi – e anche quelle
Greche, che, per tanti aspetti, mi paiono paradigmatiche (quando si saranno
stabilizzate, ne commenteremo gli insegnamenti, che, fin d’ora, mi paiono
rilevanti).
Ma
uno dei tanti scambi di mail con
amici coi quali vale la pena di scambiarsi le idee mi ha riportato,
neghittosamente, alla realtà corrente in materia politica. Il tema, appunto, è
quello della governance del Paese,
nel contesto dato (che è –ricordiamolo - Europeo). Confesso però di non riuscire
a costruirmi una tesi, un’affermazione anche sintetica che possa fare mia con stabile
convinzione; e, allora, leggo di malavoglia le cose che si pubblicano qua e là
(qualche articolo di fondo, ma solo delle firme da me arbitrariamente
accreditate di acutezza e saggezza o di una qualche capacità di pensare controcorrente,
il che, per antica natura, mi appassiona
facilmente), esprimo a me stesso e ai soliti amici un certo consenso o dissenso
su questo o su quello, e poi, se posso, passo ad altro, nella scettica
convinzione che le cose scorrano – forse e per ora – al di là di ogni possibile temporaneo
consolidamento.
Alla
fine però, come accennavo, mi rimane difficile abbozzare, anche per me stesso,
una conclusione; mi rimane invece quasi sempre
una domanda, uguale e contraddittoria:
“come fare a dar torto a X o a Y?”, anche se X e Y sembrano esprimere
valutazioni opposte. E così: come fare a dar torto allo straordinario senso di
urgenza che esprime la governance di
Renzi, forse anche cosciente più degli altri della decisiva importanza dei
segnali di cambiamento che siamo tenuti a dare a noi stessi e a chi – a ragione
– ci considera un paese impantanato nel bizantinismo e nelle ideologie? Ma
anche, come fare a dar torto a Zagrebelsky che pone in luce i seri rischi di quello che
chiama “il tempo esecutivo” (vedasi http://www.eddyburg.it/2015/02/la-politica-al-tempo-dellesecutivo.html)?
O come si fa a dar torto alla
Spinelli (che nemmeno mi è “ideologicamente” simpatica) quando parla di “decostituzionalizzazione” strisciante ad
induzione Europea (vedasi http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-02-27/l-apatia-democrazia-081927.shtml?uuid=ABUZuW1C&fromSearch) ?
Ma anche, come si fa a dar
torto a chi (ora proprio non ricordo), commentando, l’altro giorno, la
cosiddetta legittimazione democratica delle misure economiche gravanti sulla
Grecia, acutamente ricordava che ormai in Europa la legittimazione democratica
di una misura economica o finanziaria va valutata anche alla luce del mandato
democratico ricevuto dai governi dei paesi creditori, non solo di quelli
riottosi debitori?
Si potrà pensare che l’età porti
naturalmente ad un’incertezza di giudizio che, peraltro, riterrei persino saggia; ma, purtroppo, non
credo sia questa la ragione del dépaysement
di cui io e, magari, anche qualche mio amico soffriamo.
Credo piuttosto – e questa,
invece, è una tesi sulla quale ho pochi dubbi– che il problema stia appunto
nella dilagante incongruità del presente, come dicevamo negli ultimi post, cioè nella diffusa insufficienza
culturale ( e - perché no?- spirituale) delle classi dirigenti, forse Europee
ma sicuramente Italiane; una insufficienza che impedisce la visione d’insieme (e
quindi la sintesi politica) e soggiace alle disordinate tensioni ideologiche di
cui pullulano rumorosamente le nostre piazze o le nostre aule parlamentari,
dove le ugole hanno preso il posto
delle meningi, rivelando
l’inconsistenza di ogni coesione e la generalizzata inadeguatezza delle
risposte rispetto alla natura dei problemi; ma anche, forse (e su questo magari
ritorneremo dopo più matura riflessione), l’avanzare di nuovi parametri
democratici ai quali molti non si sono rassegnati ma con i quali occorre fare i
conti.
Volendo fare dell’autoironia (cosa sempre
saggia per moderare i moti dell’animo), potrei domandarmi se è il presente ad
essersi fatto incongruo o se invece –con l’età – lo sono diventato io. Ma anche
a questo non so (o non voglio) trovare risposte, per ora.
Roma 1 marzo 2015
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