venerdì 5 dicembre 2014

Il capitale inagito


Censis 2014
(di Felice Celato)
Come ogni anno, alla prima settimana di dicembre,  eccomi qua a raccomandare la lettura dell’annuale Rapporto sulla situazione sociale del Paese, presentato dal Censis . L’interesse per questa annuale riflessione è tale che mi permetterò di sconfinare – anche con ampie citazioni testuali (in corsivo; i grassetti invece si riferiscono a quelle che mi sembrano "le parole chiave") – dal consueto “limite” dimensionale di questi post (una cartella dattiloscritta, circa 700 parole). Ne chiedo scusa ai lettori, che ben potranno non leggere questa estrema sintesi.... sempreché  leggano però le ampie parti del Rapporto scaricabili dal sito del Censis, o almeno le Considerazioni generali che introducono il Rapporto.

Dunque la metafora di quest’anno è quella di un' Italia ormai  "incestata" in  7 giare, in sette contenitori di segmenti della società isolati l’uno dall’altro e internamente fermentanti ma incomunicanti fra loro ed inefficaci all’esterno di essi stessi: il loro ricco patrimonio di capitale inagito vive su se stesso, senza efficacia collettiva….senza processi esterni di scambio e dialettica: il circuito sovranazionale (non più padroneggiato da una cerchia di protagonisti capaci di fare planning e orientamento allo sviluppo mondiale ma oramai in cammino per proprio conto lasciando le economie nazionali a fare da spettatrici passive a eventi e periodi di sofferenza); la politica nazionale (ormai confinata al giuoco della sola politica); le minoranze vitali (con la loro vitalità senza efficacia collettiva); le istituzioni (un mondo tutto a giuoco interno, senza alcun serio servizio alla dimensione superiore); la gente del quotidiano ( un mondo enorme, articolato, liquido, molecolare, di moltitudine…che non riesce ad avere dinamica); il sommerso (divenuto strutturale, riferimento adattativo di  molti milioni di italiani); i media (ormai incardinati al perno del binomio opinione-evento, in dimensioni tali da domandarsi quali pezzi della società alla fine…rispecchino, di quali blocchi sociali avvertano le vibrazioni, di quali ceti intercettino malumori e bisogni, e se abbiano effettivamente antenne protese a comprendere giorno per giorno i cambiamenti reali in corso nella società).

La dinamica tutta interna alle 7 giare, in assenza di una connessione sistemica e reciproca, chiama l’esigenza di  una cultura politica che comprenda l’articolazione e la separatezza dei mondi di vitalità e di potere oggi esistenti e riannodi i loro meccanismi operativi e di orientamento per evitare che la dinamica tutta interna alle 7 giare porti ad una perdita di energia collettiva del sistema, ad una inerte accettazione collettiva dell’esistente, al consolidarsi della grande  articolata deflazione…da quella economica…a quella delle aspettative individuali e collettive.

Concludo questa sintesi sommaria, con l’integrale citazione dei passi finali delle Considerazioni generali che presentano la  Relazione, dove, mi pare, l’analisi spietata e dolente si fa comunque – come è tradizione del Censis – accorata ricerca di una via d’uscita.

Se la politica però vuole, nei confronti della dinamica sociale, essere arte di guida e non coazione di comando, deve operare su se stessa una torsione profonda, almeno in due direzioni.
In primo luogo, deve fare pulizia delle incrostazioni accumulatesi negli ultimi anni: la tentazione al moralismo come strumento politico di divisione e di delegittimazione delle controparti; la invadente ipocrisia con cui la cosiddetta società civile ha ostacolato ogni tentativo di decisionalità collettiva; l’innamoramento per i diritti che ha trasformato in dispute e regolamentazioni giuridiche le spinte a una vitale libertà personale; la propensione a un bipolarismo predicato senza mai avere chiaro quale fosse il fundamentum divisionis; la presenza di una atonia intellettuale ben più velenosa della pur circolante atonia etica; la tentazione di una leadership costruita su una empatia consensuale e generalista. Non avrà facile e immediato successo questo impegno di pulizia mentale, ma è un compito che vale la pena di perseguire, nella consapevolezza che si attuerà non in una svolta, ma in una lenta transizione, con frutti di medio periodo.
La politica deve altresì poter riacquisire coscienza di alcuni suoi “fondamentali”, di alcune non transeunti virtù: in primo luogo, l’aderenza spietata alla realtà (“le opinioni non radunano, la realtà è”), prosaicamente ricordando che il nostro sviluppo è stato fatto da protagonisti magari conflittuali, ma legati sempre alla situazione reale (da Valletta negli anni ’50 ai piccoli imprenditori degli anni ’70, all’esplosione del made in Italy negli anni ’80); in secondo luogo, la fedeltà alle nostre radici (di “scheletro contadino”, come abbiamo scritto in altre occasioni) rivisitate non nella retorica dei valori, ma nell’aderenza alla serietà e sobrietà comportamentale (Giulio Bollati, che ruralista non era, invitando un amico scrive: “Qui troverai un po’ di erba e una buona minestra di ceci”); in terzo luogo, non avere paura della dialettica, l’unico strumento per confrontare opinioni, per maturare decisioni, per far crescere classe dirigente; infine, il coraggio di non imporre i propri pensieri, ma di sollecitare gli altri a pensare con la propria testa (anche quando si sospetta che non ce l’abbiano, la testa).
Con questo doppio passo (liberarsi dalle incrostazioni e recuperare i fondamentali), il fare politica può recuperare l’antica eredità dei greci (combinare pensiero alto e contaminazione pratica) e può riprendere la sua funzione di promotore dell’interesse collettivo. Addirittura con l’ambizione di essere quel “soggetto generale dello sviluppo” su cui si articolò con successo il ruolo dello Stato, che ha governato l’Italia per lunghi decenni, poi intellettualmente e istituzionalmente soffocato dalla voglia di potere, di comando, di dominanza dell’apparato pubblico, quella voglia ereditata dai partiti.

Si può pensare, come è ovvio, qualsiasi cosa di queste riflessioni e di questo pensiero. E’ certo che a De Rita e alla sua squadra, che da tanti anni studia la società Italiana per come è e per come è via via diventata, va riconosciuta, oltreché uno scrupolo di documentazione e studio (che le quasi 600 pagine del rapporto illustrano), anche una profonda passione civile.
Roma 5 dicembre 2014



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