Censis 2014
(di Felice Celato)
Come
ogni anno, alla prima settimana di dicembre,
eccomi qua a raccomandare la lettura dell’annuale Rapporto sulla situazione sociale del Paese, presentato dal Censis
. L’interesse per questa annuale riflessione è tale che mi permetterò di
sconfinare – anche con ampie citazioni testuali (in corsivo; i grassetti
invece si riferiscono a quelle che mi sembrano "le parole chiave") – dal consueto
“limite” dimensionale di questi post
(una cartella dattiloscritta, circa 700 parole). Ne chiedo scusa ai lettori,
che ben potranno non leggere questa estrema sintesi.... sempreché leggano però le ampie parti del Rapporto
scaricabili dal sito del Censis, o almeno le Considerazioni generali che introducono il Rapporto.
Dunque
la metafora di quest’anno è quella di un' Italia ormai "incestata" in 7 giare, in sette contenitori di segmenti della società isolati
l’uno dall’altro e internamente fermentanti ma incomunicanti fra loro ed
inefficaci all’esterno di essi stessi: il loro ricco patrimonio di capitale
inagito vive su se stesso, senza efficacia
collettiva….senza processi esterni di scambio e dialettica: il circuito
sovranazionale (non più padroneggiato
da una cerchia di protagonisti capaci di fare planning e orientamento allo sviluppo mondiale ma oramai in cammino per proprio conto lasciando le economie
nazionali a fare da spettatrici passive a eventi e periodi di sofferenza); la
politica nazionale (ormai confinata
al giuoco della sola politica); le minoranze vitali (con la loro vitalità senza efficacia collettiva); le
istituzioni (un mondo tutto a giuoco
interno, senza alcun serio servizio alla dimensione superiore); la gente
del quotidiano ( un mondo enorme,
articolato, liquido, molecolare, di moltitudine…che non riesce ad avere dinamica); il sommerso (divenuto strutturale, riferimento adattativo
di molti milioni di italiani); i media (ormai incardinati al perno del binomio opinione-evento, in dimensioni
tali da domandarsi quali pezzi della società alla fine…rispecchino, di quali
blocchi sociali avvertano le vibrazioni, di quali ceti intercettino malumori e
bisogni, e se abbiano effettivamente antenne protese a comprendere giorno per
giorno i cambiamenti reali in corso nella società).
La dinamica tutta interna alle 7 giare,
in assenza di una connessione sistemica e reciproca, chiama l’esigenza di una cultura
politica che comprenda l’articolazione e la separatezza dei mondi di
vitalità e di potere oggi esistenti e riannodi i loro meccanismi operativi e di
orientamento per evitare che la
dinamica tutta interna alle 7 giare porti ad una perdita di energia collettiva del sistema, ad una inerte
accettazione collettiva dell’esistente, al consolidarsi della grande articolata
deflazione…da quella economica…a quella delle aspettative individuali e collettive.
Concludo
questa sintesi sommaria, con l’integrale citazione dei passi finali delle Considerazioni
generali che presentano la Relazione,
dove, mi pare, l’analisi spietata e dolente si fa comunque – come è tradizione
del Censis – accorata ricerca di una via d’uscita.
Se la politica però vuole, nei confronti della dinamica sociale,
essere arte di guida e non coazione di comando, deve operare su se stessa una
torsione profonda, almeno in due direzioni.
In primo luogo, deve fare pulizia delle incrostazioni
accumulatesi negli ultimi anni: la tentazione
al moralismo come strumento politico di divisione e di delegittimazione delle
controparti; la invadente ipocrisia con cui la cosiddetta società civile ha
ostacolato ogni tentativo di decisionalità collettiva; l’innamoramento per i diritti che ha trasformato in dispute e
regolamentazioni giuridiche le spinte a una vitale libertà personale; la propensione a un bipolarismo
predicato senza mai avere chiaro quale fosse il
fundamentum divisionis; la presenza di una atonia intellettuale ben più
velenosa della pur circolante atonia
etica; la tentazione di una leadership
costruita su una empatia consensuale e generalista. Non avrà facile e immediato
successo questo impegno di pulizia
mentale, ma è un compito che vale la pena di perseguire, nella consapevolezza
che si attuerà non in una svolta, ma in una lenta transizione, con frutti di
medio periodo.
La politica deve altresì poter riacquisire coscienza di alcuni
suoi “fondamentali”, di alcune non transeunti virtù: in primo luogo, l’aderenza spietata alla realtà (“le
opinioni non radunano, la realtà è”), prosaicamente ricordando che il nostro
sviluppo è stato fatto da protagonisti magari conflittuali, ma legati sempre
alla situazione reale (da Valletta negli anni ’50 ai piccoli imprenditori degli
anni ’70, all’esplosione del made in Italy negli anni ’80); in secondo luogo, la fedeltà alle nostre radici (di
“scheletro contadino”, come abbiamo scritto in altre occasioni) rivisitate non
nella retorica dei valori, ma nell’aderenza alla serietà e sobrietà
comportamentale (Giulio Bollati, che ruralista non era, invitando un amico
scrive: “Qui troverai un po’ di erba e una buona minestra di ceci”); in terzo
luogo, non avere paura della dialettica,
l’unico strumento per confrontare opinioni, per maturare decisioni, per far
crescere classe dirigente; infine, il
coraggio di non imporre i propri pensieri, ma di sollecitare gli altri a
pensare con la propria testa (anche quando si sospetta che non ce l’abbiano, la
testa).
Con questo doppio passo (liberarsi dalle incrostazioni e
recuperare i fondamentali), il fare politica può recuperare l’antica eredità
dei greci (combinare pensiero alto e contaminazione pratica) e può riprendere
la sua funzione di promotore dell’interesse collettivo. Addirittura con
l’ambizione di essere quel “soggetto generale dello sviluppo” su cui si
articolò con successo il ruolo dello Stato, che ha governato l’Italia per
lunghi decenni, poi intellettualmente e istituzionalmente soffocato dalla
voglia di potere, di comando, di dominanza dell’apparato pubblico, quella
voglia ereditata dai partiti.
Si può pensare,
come è ovvio, qualsiasi cosa di queste riflessioni e di questo pensiero. E’
certo che a De Rita e alla sua squadra, che da tanti anni studia la società
Italiana per come è e per come è via via diventata, va riconosciuta, oltreché
uno scrupolo di documentazione e studio (che le quasi 600 pagine del rapporto illustrano), anche una profonda passione civile.
Roma 5 dicembre
2014
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